“Questa è una storia piena di conflitti, miserie e paure. Tempo fa un grande criminale mi disse che l’errore che può fare chi li guarda dal di fuori è quello di pensare che loro non temano nulla, quando in realtà è esattamente l’opposto”.

Marco D’Amore passa per la prima volta dietro la macchina da presa e lo fa con un progetto non da poco, L’immortale (nelle sale dal 5 dicembre, in 450 copie con Vision Distribution), lungometraggio incentrato sul personaggio di Ciro Di Marzio, iconico protagonista della serie Gomorra, che “moriva” alla fine della terza stagione.

L'immortale

Il corpo di Ciro sta affondando nelle acque scure del Golfo di Napoli, colpito al petto da Genny Savastano, il suo unico, vero amico. E mentre sprofonda sempre più, affiorano i ricordi. I suoni attutiti dall’acqua si confondono con le urla di persone in fuga...

È il 1980, la terra trema, i palazzi crollano, ma sotto le macerie si sente il pianto di un neonato ancora vivo: è Ciro di Marzio, da quel giorno in poi tutti lo chiameranno l'Immortale. Anni dopo, quello stesso bambino ormai adulto, sopravvive anche a quel fatidico sparo: allora è vero quello che si dice, l'Immortale non lo uccide nessuno.

“Ciro è un personaggio romantico in un certo senso: è il male assoluto, il gesto efferato, la violenza ingiustificabile. Ma è anche la tenerezza improvvisa di una carezza, la compassione per il dolore, il gesto eroico del sacrificio”, dice ancora l’attore/regista, anche sceneggiatore del film insieme a Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Francesco Ghiaccio e Giulia Forgione.

Marco D'Amore sul set del film

“Si tratta di un’operazione completamente nuova – spiega Riccardo Tozzi, fondatore Cattleya, casa di produzione di Gomorra La Serie e ora del film, insieme a Vision –. Di solito ci sono film che vengono dopo le serie. Qui siamo di fronte a qualcosa di più complesso, ovvero un film che si inserisce nella serie, ci dialoga e la cambia, tenendo insieme i due linguaggi ma mantenendone la completa autonomia. Il progetto del film nasce da un’intuizione di Marco D’Amore, che all’inizio è sembrata molto scandalosa ma che ha trovato in Nicola Maccanico il primo fiero sostenitore”.

“Quando con Andrea Scrosati abbiamo ideato Vision il senso era proprio questo, tentare di creare un disegno che un’operazione come quella di questo film rappresenta alla perfezione: siamo arrivati qui grazie alla qualità unica di Cattleya, perché la capacità di rischiare in questo modo non poteva trovare luogo produttivo migliore. Ma quello che c’è stato dietro a Gomorra e a L’immortale è un enorme gioco di squadra, capace di generare talento anziché succhiarlo”, dice Nicola Maccanico, ad Vision Distribution e EVP Programming di Sky.

Come detto, L’immortale è un progetto crossmediale inedito, dato che per la prima volta nella storia della serialità, un film a sé stante diventa anche un segmento del racconto a cavallo tra le due stagioni di una serie televisiva, facendo da ponte tra la quarta e la quinta stagione, tuttora in lavorazione.

L'immortale

“Ogni stagione della serie l’abbiamo sempre immaginata come fosse l’ultima e non abbiamo mai pensato di avere un progetto meccanico. La quinta c’è, poi si vedrà: non sappiamo ancora quando debutterà, stiamo lavorando sulla sceneggiatura con le riprese che inizieranno a primavera-estate prossima”, spiega ancora Tozzi, che nuovamente è chiamato a rispondere alla questione del “rischio emulazione” quando si tratta di tematiche e personaggi di questo tipo: “Compito di un film è di essere bello, se ci riesce. Quella del pericolo emulazione è una polemica che va avanti da tempo, iniziò con Andreotti nel ‘47-‘48 quando si scagliò contro il neorealismo. Poi la storia ha fatto giustizia, visto che del neorealismo pensiamo una cosa e di Andreotti un’altra. La cifra di Gomorra, che questo film mantiene inalterata, è sempre la stessa, epica ma senza alcun tipo di apologia”.

“Credo che il concetto dell’emulazione vada aggiornato, alla luce della riflessione sul ruolo del cinema oggi. Dove c’è polarizzazione il rischio emulazione inconsapevole aumenta, mentre il cinema implica una riflessione, un pensiero”, aggiunge Maccanico.

Ambientato in due contesti temporali e geografici differenti, con Ciro bambino (Giuseppe Aiello) nella Napoli anni ’80 e Ciro adulto redivivo ma costretto “all’esilio” in Lettonia, a Riga, il film è un continuo via vai dall’infanzia per strada alle fredde estati del nord Europa, dai primi furti all’ultima guerra tra fazioni in lotta: tutto per sopravvivere a un mondo dove l’immortalità in fondo è solo una condanna.

Giuseppe Aiello è Ciro da bambino - L'immortale

“Faccio fatica a parlare di ispirazioni, credo che ciascuno di noi sia il frutto di ciò che ha amato nella propria vita”, dice Marco D’Amore, che aggiunge: “Questo film ha dei principi di innovazione ma allo stesso tempo una radice fortemente popolare: quello che ci interessava davvero era raccontare la povertà, dalla quale si parte per finire in certe situazioni. Ciro bambino è un orfano del terremoto che viene intercettato da quella criminalità che poteva apparire piratesca e guascona, quella del contrabbando di sigarette, per poi tramutarsi nel corso degli anni in qualcosa d’altro, con gli affiliati, i trafficanti di droga e via dicendo”.

E sul rischio che un personaggio ormai così iconico e radicato come Ciro Di Marzio possa in qualche modo “fagocitare” la sua stessa carriera d’attore, Marco D’amore conclude: “Le scelte hanno a che fare con i percorsi, non ho mai pensato di voler fare questo o quel personaggio, a me ossessionano le storie. Tutto dipende da come si interrogano tanto le storie quanto i personaggi”.