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“Temo che il peggio debba ancora arrivare”. Non è ottimista il regista israeliano Ari Folman sui nostri tempi e sulla virata verso posizioni di estrema destra che stanno prendendo tanti paesi, in primis il suo Israele. E non è più neanche ingenuo come quando frequentava la scuola di cinema e pensava che avrebbe cambiato il mondo con i suoi film. “L’arte non può cambiarlo, i politici invece lo possono fare attraverso i trattati”, afferma. Ma una speranza ce l’ha: “Con il cinema si possono smuovere comunque un po’ le cose”.
Lui ci prova e già lo ha fatto in passato, con Valzer con Bashir (2008) sulla guerra in Libano. Adesso nuovamente tenta di smuovere, i giovani soprattutto, con un altro film d’animazione: Anna Frank e il diario segreto (titolo originale: Where is Anne Frank).
Presentato fuori concorso allo scorso festival di Cannes e in sala dal 29 settembre distribuito in 200 copie da Lucky Red, il film adatta il celebre Diario di Anna Frank e racconta la storia di Kitty, amica immaginaria a cui Anna confida i suoi segreti e i suoi sogni. Sono gli anni 2000 e la casa nascondiglio di Anna ad Amsterdam è stata adibita a museo attirando visitatori di tutto il mondo, Kitty, convinta che lei sia ancora viva, si mette sulle sue tracce.
“Mi ci sono voluti otto anni per realizzare questo film- racconta-. Mi è stato proposto dalla fondazione di Anna Frank di Basilea. All’inizio rifiutai perché pensavo che non ci fosse nulla da aggiungere a quella storia. Poi ho riletto il diario e sono rimasto profondamente colpito dalla sua scrittura e dal modo in cui si rivolgeva agli adulti”. E poi: “Ho anche scoperto che la famiglia di Anna Frank è stata deportata in uno degli ultimi treni che da Amsterdam andava ad Auschwitz-Birkenau e che esattamente nelle stesse date furono deportati anche i miei genitori. Ora mia madre ha cento anni. Quando l’ho finito mi ha detto: deve essere per forza un bel film perché ci hai messo il doppio del tempo di quanto ci ha messo l’Olocausto per fare tutto quello che ha fatto”.
Where is Anne Frank - cr Purple Whale FilmsAffiancato dalla disegnatrice Lena Guberman, più di 160mila disegni diversi (“abbiamo coinvolto 14 paesi e realizzato delle sculture poi fotografate e trasformate in personaggi in 2D per dare a ciascun animatore lo stesso punto di partenza, mentre l’appartamento di Anna Frank è stato realizzato dal team di Wes Anderson utilizzando set reali in 3D), Ari Folman ha posto solo tre condizioni nel realizzare questo film su commissione. “Mi è stato proposto, ma ho avuto completa libertà- dice-. Ho chiesto che fosse indirizzato ai giovani. Non volevo raccontare solo le parti buie e oscure di Anna Frank, ma volevo che fosse un film per bambini colorato con protagonista un personaggio delle favole fatto di inchiostro come Kitty che riesce a vedere, ma che non è vista. E poi ho voluto parlare degli ultimi sette mesi della vita di Anna, dopo che era stata deportata. Infine ho collegato il passato al presente pur non volendo fare paragoni tra la condizione dei rifugiati oggi e l’Olocausto, il genocidio degli ebrei”.
E poi: “Questo film segue l’eredità del padre di Anna Frank, che, tornato dal campo di concentramento, non sapeva che la figlia fosse morta. Lui dedicò la sua vita ad esaurire i desideri di sua figlia ovvero farla diventare la più giovane scrittrice al mondo, e in questo credo sia riuscito, e poi far diventare l’Olocausto un luogo di pietà nei confronti di tutti i bambini che vivono in guerra a prescindere dalla loro appartenenza etnica o religiosa. Investì tutti i soldi ricavati dalle vendite del Diario in organizzazioni che si occupano di aiutare i bambini in zone di guerra. Ecco, io vorrei che anche questo film generasse compassione nei confronti di questi bambini”.
Carta bianca dunque nella realizzazione di questo film. Ma gli artisti nel suo Paese sono liberi? “In Israele la casta dei cineasti è quella che combatte di più per ottenere la libertà- risponde-. Più volte è stata contrastata dal governo ma riesce a resistere. Nessun cantante lo ha fatto. I registi si fanno sentire sull’argomento. La libertà degli artisti non è qualcosa che tu chiedi, ma è qualcosa che ti prendi. Più che mancanza di libertà c’è l’autocensura e i registi spesso si chiedono dove possono avere maggiori chance per venire finanziati”.
Infine conclude parlando del suo prossimo progetto: “S’intitola La morte e il pinguino ed è tratto da una novella ucraina. È una storia molto divertente, ma anche triste con elementi dark, di cui mi ero innamorato tanti anni fa ma di cui non avevo acquistato i diritti. Parla del crollo del comunismo. Ma sicuramente nel mio film parlerò anche dell’attuale guerra in Ucraina”.