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“Non c'è nostalgia nei confronti della mia terra, ma c'è molta rabbia mista a speranza. In tutte le mie storie metto sempre qualcosa di molto personale”. Così la regista palestinese Annemarie Jacir presenta il suo terzo lungometraggio dal titolo Wajib - Invito al matrimonio, che uscirà nelle sale il 19 aprile distribuito da Satine Film.
Il film narra la storia di un padre di nome Abu Shadi e di un figlio Shadi (Mohammed Bakri e Saleh Bakri, padre e figlio anche nella vita reale) che si trovano a Nazareth per consegnare personalmente le partecipazioni di nozze di Amal, rispettivamente figlia e sorella.
“Il Wajib è una forte tradizione palestinese in cui si danno a mano gli inviti. E' un'usanza ancora molto seguita nella Palestina del nord”, dice Annamarie Jacir che ha deciso di girare gran parte della storia all'interno di una macchina: “Vengo da una famiglia in cui le donne parlano molto mentre gli uomini tacciono. L'automobile era un contesto intimo che mi ha permesso di far dire a due persone cose importanti che altrimenti non si sarebbero dette. Inoltre il figlio sente la macchina come una trappola, rappresenta quel senso di soffocamento e prigione che prova tornando a Nazareth dall'estero dove ormai vive, mentre per il padre è tutto. Nel film ci sono molti dialoghi, ma è anche importante la parte dei silenzi e del non detto”.
Sullo sfondo, ma da protagonista, c'è Nazareth: “La più grande città della Palestina storica, ora Stato d'Israele, i cui abitanti sono 40% palestinesi cristiani e 60% musulmani. E' un luogo pieno di tensione perché dal 1948 i palestinesi hanno dovuto chiedere la cittadinanza israeliana, ma sono cittadini di serie b perché non hanno gli stessi diritti degli israeliani. Nel film a un certo punto i due vogliono salire dove c'è un insediamento per andare a consegnare un invito a un israeliano e quando siamo andati lì ci hanno cacciato, anche se avevamo il permesso, perché eravamo una troupe palestinese e parlavamo in arabo”.
“Nazareth ha dato ospitalità a molti palestinesi e al suo interno c'è un quartiere che è un campo profughi enorme. E' una città molto abitata dove dal 1948 non si fa altro che costruire l'uno sopra l'altro perché la terra è confiscata. C'è violenza e ignoranza, ma allo stesso tempo c'è anche amore e si ha il desiderio di avere una vita migliore”, aggiunge Saleh Bakri che, come suo padre, è un attore noto nel cinema e nel teatro palestinese.