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Dall'Emilia a Urbino fino ad arrivare a Hollywood. Alessandro Carloni è una delle eccellenze italiane che lavora nella macchina dei sogni, anzi nel reparto più magico di quella macchina l'animazione: di casa presso i Dreamworks Studios dopo aver lavorato per mezza Europa come animatore, imparando il mestiere sul campo, Carloni è oggi venuto a Roma per presentare Kung Fu Panda 3, che lui stesso ha diretto assieme a Jennifer Yuh dopo aver curato le storie e le animazioni dei primi due film. E oltre ad aver presentato ha tenuto una lezione di cinema di fronte ai giornalisti ma soprattutto alle scuole presenti all'Auditorium Parco della Musica, nell'ambito del nuovo ciclo di anteprime che la Fondazione Cinema per Roma organizzerà nei prossimi mesi.
Carloni, attraversi immagini, storyboard, primi bozzi di animazioni e provini sia animati che con gli attori, ha raccontato il suo modo di essere regista: “ Ai produttori interessano soprattutto le storie, capire cosa succederà, dove andrà il racconto, se emozionerà il pubblico. Ma il regista secondo me deve creare dei personaggi: è meglio andare a rinnovare la patente con un amico fantastico o vivere una grande avventura con un personaggio odioso e insopportabile? La prima, per cui io mi concentro nel creare personaggi a cui il pubblico si affezioni, che voglia come amici, creando l'empatia, concetto che contrasta con tutta una tradizione di commedie, anche animate, fatte di personaggi sbruffoni che imparano l'umiltà. Ma così facendo, avrai forse una storia immediata, ma rischi di perdere il pubblico per strada”.
Carloni ha infatti mostrato i primi disegni di Po, nel primo film, come personaggio odioso che cambia, ma poi ha pensato che sarebbe stato meglio che Po amasse il kung fu come un bambino per creare empatia con i più piccoli e avere più situazioni comiche e non solo da sfruttare. Stesso meccanismo portato a esempio con il nuovo personaggi di Li, il vero padre di Po, che dapprincipio doveva essere l'opposto del figlio, rigido e ottuso, ma che invece funziona meglio come una sorta di doppio: “E' vero che le storie vanno avanti grazie ai conflitti dei personaggi, ma ci sono modi più interessanti di crearli che non il semplice scontro di caratteri”.
IL film è stato co-prodotto con la Cina, come molti film USA ad alto budget, una collaborazione che portato autenticità al progetto: “I cinesi ci hanno chiesto di collaborare fin dal primo film, così abbiamo ottenuto l'aiuto di molti artisti locali che ci hanno permesso di realizzare un film più vero. I dettagli, le scene, i vestiti eccetera li disegnavamo a istinto, ma spesso sbagliavamo foggia, date, colori, tipi di dettagli. E gli animatori e disegnatori cinesi hanno permesso di rendere il tutto più vero, e noi abbiamo così anche realizzato una versione direttamente per il mercato cinese, in cui i personaggi sono animati sugli attori locali, non semplicemente doppiati”.
Entrare nel processo creativo di kolossal come quelli di animazione fa riflettere sul ruolo culturale e industriale che i cartoon hanno nel panorama odierno: “Credo che nonostante tutto, la magia della creazione dal nulla di un film animato sia ancora fortissima e questo permetto agli autori di allargarsi nei temi e nei toni, di diventare più drammatici e adulti”. Ma anche da adulti, Kung Fu Panda 3 dimostra l'importanza della famiglia, in questo caso di una famiglia con due padri: “Spesso mi chiedono come mai nei film d'animazione muoia sempre la mamma. La risposta è perché se c'è la mamma, anche da sola, ci sentiamo più sicuri, sappiamo che lei risolverà tutto. Con il solo papà c'è più tensione, più imprevisto. E così ho voluto affiancare due padri, anche per parlare di un argomento molto attuale come le famiglie allargate o le famiglie omo-genitoriali”.
E alla sua famiglia, presente in teatro, Carloni deve molto: non solo per i tocchi biografici messi nel film, ma soprattutto per l'ispirazione: “Mio padre è un illustratore di un certo pregio e mia madre una grande narratrice. Sono sempre vissuto circondato da arti visive e racconti: mamma mi diceva che la vita è troppo breve per fare tutte le esperienze del mondo ed è per questo che hanno inventato le storie. Devo a loro se oggi faccio questo lavoro”. E se lo fa con successo, aggiungiamo noi.