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“Grazie a Pio e alla nostra amicizia è nato il mio rapporto con la Ciambra. E’ stato lui che mi ha scelto, voleva conoscermi. Mi seguiva ovunque fumando una sigaretta dopo l’altra e con addosso sempre la stessa giacca di pelle”. Così il giovane regista Jonas Carpignano racconta come è nata la storia del suo secondo lungometraggio dal titolo A Ciambra, che ci fa conoscere la famiglia Amato, una comunità rom che vive nei pressi di Gioia Tauro, e il suo protagonista, il quattordicenne Pio che è uno dei pochi in grado di integrarsi tra le varie realtà del luogo: gli italiani, gli immigrati africani e i membri della comunità rom.
“La prima volta che sono andato nella Ciambra ero molto nervoso. Ci ho messo tre anni per cercare di mettere in piedi questo film”, dice il regista italo-americano che ha incontrato gli Amato nel 2011 dopo che la sua Fiat Panda con dentro tutte le apparecchiature cinematografiche era stata rubata. Era lì a Gioia Tauro per girare A Chjana, il corto da cui poi sarebbe nato Mediterranea, il suo primo film che raccontava la storia di due immigrati africani dopo un pericoloso viaggio alla ricerca di una nuova vita in Italia. Lì tutto si svolgeva a Rosarno, ma anche qui al centro della storia c’è l’Italia del Sud e la Calabria. A Gioia Tauro racconta il regista quando sparisce una macchina la prima cosa da fare è chiedere agli zingari e così Carpignano aspettò tre giorni prima che gli fosse restituita. Tutta questa storia però ebbe un forte impatto su di lui che cominciò a scrivere la prima stesura del cortometraggio A Ciambra.
“Non avevo un messaggio da trasmettere. Volevo fare avvicinare il pubblico a questo mondo e mostrarne la realtà. La forza della comunità rom è anche il suo limite. Tra loro non si tradiscono. Non si puo’ mai essere completamente uno di loro e per questo non riescono mai a integrarsi nel tessuto sociale”, dice il regista italo-americano che poi racconta di aver incontrato anche alcune resistenze: “Per esempio non volevano farsi riprendere in pigiama, invece per quanto riguarda i furti ne andavano anche abbastanza fieri. Non si sentono dei ladri. E’ il loro modo di sopravvivere, è un lavoro. E sono diffidenti nei confronti dei giornalisti, hanno paura che vadano lì solo per prenderli in giro”. Invece come è stato rapportarsi con la ‘ndrangheta? “L’ho resa come la vedo. Lì si sente la presenza dell’ ‘ndrangheta. C’è, influisce su tutto, ma non lo vedi mentre cammini per strada. Non assisti alle sparatorie. E’ una cosa più sottile, non aggressiva”.
Presentato al festival di Cannes, A Ciambra concorrerà agli European Film Awards e sarà distribuito in 40 copie da Academy Two. Il film inoltre è stato prodotto da Martin Scorsese: “E’ stato molto importante ricevere i suoi commenti sulle diverse versioni del film. Ero molto nervoso quando ha visto la proiezione perché per me lui è un mito. Mi ha aiutato a trovare un equilibrio tra quello che è documentaristico e la storia”, commenta il regista che intanto ha in mente di girare un altro film sempre a Gioia Tauro su una ragazza che deve scegliere se rimanere in Calabria o andarsene. “Mi trovo bene qui”, dice lui, che ha trascorso la sua infanzia tra Roma e New York e che ha scelto di venire in Italia perché suo nonno lo ha fatto crescere con il neorealismo.
Ma dopo A Ciambra e questa grande esposizione mediatica è cambiato qualcosa per la comunità rom e soprattutto per il protagonista Pio? “No Pio appartiene a quella realtà. E’ venuto a Cannes ma finita l’anteprima voleva subito tornare a casa. Tutti parlano del film e tutti ne vogliono fare un altro. Ma non è cambiato nulla. La gente vede Pio e lo chiama l’attore. Ma lui si sente sempre uno zingaro della Ciambra”, conclude il regista.