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“Ho detto agli altri attori: non pensate che io sia il protagonista. Perché Ligabue non era il protagonista, né della sua vita, né di quella degli altri che gli stavano intorno. Ognuno vicino a lui si sentiva un po' il protagonista. Chi si prendeva un suo quadro, uno scarto, un pezzo di scultura, sentiva di aver fatto un sacrificio per aiutarlo, o un gesto di qualche significato e si sentiva importante. Quindi abbiamo lavorato molto sulla considerazione degli altri. In questo l’eccellente trucco prostetico ci ha aiutato perché sicuramente è il simbolo di un aspetto repellente, diverso, che è specchio di un anima sofferente che non è protagonista delle vite degli altri ma di cui ne è anzi l’ultima comparsa”.
Elio Germano racconta così la sua prova in Volevo nascondermi, nuovo film di Giorgio Diritti che stasera sarà presentato in anteprima mondiale al 70° Festival di Berlino per poi arrivare nelle sale italiane il 27 febbraio, distribuito da 01.
Volevo nascondermi - Foto Chico De LuigiNon è solo il talento di Elio Germano ad accomunare i due titoli italiani in concorso alla Berlinale. Tanto Volevo nascondermi di Giorgio Diritti quanto Favolacce dei fratelli D’Innocenzo dialogano entrambi con valori dal sapore arcaico.
In Volevo nascondermi l'attore ci restituisce la vita del pittore Antonio Ligabue, un uomo che ha vissuto nella sola maniera che poteva, con il pennello stretto tra le mani rachitiche o nella bocca trasfigurata da una smorfia di dolore, e una tavolozza colma di quei colori cangianti che la realtà non gli concedeva.
Antonio Ligabue ha dipinto e si è dipinto dove la società non l’ha voluto, tra quelle case e persone che non lo accoglievano. Elio Germano di quell’anima sofferente ha saputo ritrovare e rappresentare l’essenza in Volevo Nascondermi. Trasformandosi nel pittore, gobbo, con gli occhi annebbiati da una sottile forma di ritardo mentale. E tanto è riuscita l’immedesimazione che è pressocché impossibile distinguere la copia dall’originale.
“Ligabue ha avuto per me tanti livelli di affascinazione", spiega Giorgio Diritti. “Innanzitutto è un uomo che sin da subito ha scoperto il dolore e la sofferenza come condizione esistenziale. È stato abbandonato dalla madre. Poi dalla famiglia adottiva che lo aveva preso in affidamento per necessità economiche. Negli anni '20 adottare un orfano significava prendere un sussidio. Si è poi trovato a vivere con problematiche fisiche gravi, il rachitismo, i disturbi psichiatrici, la misofonia, che è quella condizione caratterizzata da una reazione negativa e intollerante a uno o più suoni, che può scatenare apparentemente ingiustificate reazioni di rabbia, ansia o addirittura panico. Ma è la scoperta della pittura il cuore del nostro film, a cui ci si è attaccato con tutte le sue forze, la voglia di esistere, la determinazione. Ligabue della pittura ha fatto la sua identità”.