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Sully (2016)
Chi se non Clint Eastwood poteva raccontare in modo così efficace ed emozionante la portentosa vicenda del capitano Chesley Sullenberger, detto Sully? Il pilota che nel gennaio del 2009 decise il destino di 155 persone, salvandole tutte.
L’aereo, in fase di decollo, prese in pieno uno stormo di uccelli che mandò in tilt entrambi i motori. Tre minuti per decidere: Sully optò per planare sul fiume Hudson.
Il “miracolo” fece scalpore, le immagini dei passeggeri mezzi congelati sulle ali dell’U.S. Airways Flight 1549 girarono su tutti le televisioni del mondo. La storia, tratta dall’autobiografia dello stesso Sully, incomincia parallelamente con l’indagine delle autorità assicurative, che rischia di distruggergli carriera e reputazione, mentre nell’immaginario collettivo è già un eroe.
Clint EastwoodRuolo che Tom Hanks (invecchiato e quasi identico al vero Sullenberger) recita alla perfezione: un veterano, un uomo con molta esperienza alle spalle, una persona coscienziosa che ha fatto il suo dovere. Ma si chiedono in molti: poteva fare ritorno all’aeroporto di La Guardia, di New York, da cui era partito senza mettere in pericolo centinaia di vite? Eastwood, il grande patriota che col passare del tempo non ha mai smesso di credere nel suo Paese riesce a far dondolare sul baratro capitano e spettatore, entrambi in balia delle immagini, della tensione, dello spazio di tempo in cui si prende una decisione. Ossessionato da quei pochi istanti dilatati e ripetuti nella sua testa e sullo schermo, Sully non ha dubbi. Come la città che nei 24 minuti successivi si muove all’unisono con tutti i mezzi a disposizione (elicotteri, barche, sommozzatori) per salvare i sopravvissuti, senza perderne neanche uno.
Non c’è nessuno come Eastwood, altrettanto versatile, coraggioso e idealista. A 86 anni, è ancora il cowboy di Sergio Leone, l’attore che per tutta la vita ha osservato e imparato dagli altri. Dall’amico e mentore Don Siegel a cui deve Dirty Harry (Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo!), ruolo che ha segnato profondamente la sua carriera. In un’epoca in cui l’uso della forza era visto (sullo schermo) come giusta soluzione per sconfiggere i nemici, criminali, serial killer o vietcong del caso, Eastwood diventa simbolo di un paese senza debolezze. Lo stesso uomo, con la sua casa di produzione Malpaso, segue un disegno personale, scrivendo la controstoria americana film dopo film (Brivido nella notte, esordio dietro la macchina da presa è dello stesso anno di Dirty Harry, ’71). La lista è lunga: 50 anni di cinema, oltre 30 da regista, ogni volta un’opera diversa. Senza continuità, se non quella di sperimentare, al di là di generi e classificazioni.
Come ci ha detto una volta: “Mi interessano le persone in grado di cambiare, qualsiasi sia il cammino che debbano intraprendere”. Sarà un caso che negli ultimi anni siano eroi, anche per caso, a incrociare la sua strada?