Nella Berlino post-unificazione, l'ex giornalista Jaecki Zucker, ormai giocatore d'azzardo incallito, dopo la morte di sua madre sta per rincontrare suo fratello Samuel con cui non parla da anni. Nella divertente commedia degli equivoci che ne nasce, Jaeckie dovrà inventarsi un'identità ebrea ortodossa per ricevere una fetta dell'eredità materna...
SCHEDA FILM
Regia: Dani Levy
Attori: Henry Hübchen - Jaeckie Zucker, Hannelore Elsner - Marlene Zucker, Udo Samel - Samuel Zuckermann, Golda Tencer - Golda Zuckermann, Steffen Groth - Thomas, Anja Franke - Jana, Sebastian Blomberg - Joshua Zuckermann, Elena Uhlig - Lilly, Rolf Hoppe - Rabbino Ernst Ginsberg, Inga Busch - Irene
Soggetto: Dani Levy, Holger Franke
Sceneggiatura: Dani Levy, Holger Franke
Fotografia: Carl-Friedrich Koschnick
Musiche: Niki Reiser
Montaggio: Elena Bromund
Scenografia: Christian M. Goldbeck
Costumi: Lucie Bates
Effetti: Björn Friese, Bffx
Altri titoli:
Tutto sullo zucchero
Zucker
Durata: 90
Colore: C
Genere: COMMEDIA
Specifiche tecniche: (1:1.85)
Produzione: BAYERISCHER RUNDFUNK (BR), WESTDEUTSCHER RUNDFUNK (WDR), X-FILME CREATIVE POOL, ARTE
Distribuzione: LADY FILM (2005)
Data uscita: 2005-11-25
CRITICA
"L'umorismo è una delle cose più belle e toccanti quando viene fuori dalla sofferenza e 'Zucker!... come diventare ebreo in sette giorni' di Dani Levy è esattamente questo: una commedia che mette in scena con pesante leggerezza i disastri della vita e lo scontro fra due culture. Gli sfaceli familiari, d'altronde, spesso danno vita a grandi commedie. In più, il film è ben scritto, pieno di battute politically uncorrect, sfacciate, appassionate e soprattutto autoironiche. Perché, come dice il regista, 'Dio ride. Ed essendosi sconsideratamente eletti come suo popolo, noi ebrei non possiamo che ridere di noi stessi'." (Roberta Bottari, 'Il Messaggero', 25 novembre 2005)
"Naturalmente è una commedia. Scritta e diretta da un regista, Dani Levy, che, essendo ebreo anche lui, non ha timore di farsi beffe della mentalità e del modo di vivere dei suoi correligionari più ortodossi. Forse poteva essere meno irriverente, anche perché, in certi passaggi, le sue beffe rischiano di apparire stonate, la caratterizzazione dei vari personaggi, tuttavia è condotta con una disinvoltura indubbiamente colorita e i risvolti narrativi, pure un po' contorti, i risultati allegri cui tendevano li raggiungono. Qua e là anche con una certa malizia. Gli interpreti però non aiutano molto. Hanno tutti un passato fecondo, sia in teatro, sia in televisione e al cinema, ma qui da noi hanno scarsi richiami. Cito almeno il protagonista Henry Hubchen. Può divertire, ma si agita molto." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 25 novembre 2005)
"Pur nella scelta grottesca, lo sceneggiatore e regista del film Dani Levy, mantiene un tono equilibrato: alterna scene comiche con altre più serie, senza abbandonarsi alle tentazioni del cinismo. La sua è una commedia famigliare, non priva di sfumature psicologiche, nella tradizione dell'umorismo ebraico. Che - ce lo hanno dimostrato Lubitsch, Allen e altri grandi - si preoccupa assai meno del politicamente corretto che di rappresentare le debolezze umane in modo diretto, autoironico e, al caso, anche sfacciato." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 25 novembre 2005)
"Campione d' incassi tedesco, il film di Dani Levy, che da grande vorrebbe essere Billy Wilder, si concede il lusso di ironizzare sulla religione, mira l'ortodossia ebraica e sta in equilibrio delicato su un tema pericoloso con la sfacciataggine tipica dell'autoironia. È alla fine una divertente commedia-farsa degli equivoci (...) Ne capitano di ogni tipo, finti attacchi di cuore e vere sfide di biliardo, amori casalinghi, un dialogo spiritoso sul filo dell'understatement da Woody Allen, critica politica sulle due Germanie e un cast variopinto in cui nessuno è un vero ebreo. Importante era rompere il tabù con intelligenza, misura, affettuosa complicità: fatto!" (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 26 novembre 2005)