1973. L'Uruguay è governato da una dittatura militare. Una sera d'autunno, tre prigionieri tupamaro vengono sequestrati dalle loro celle nell'ambito di un'operazione militare segreta. L'ordine è preciso: "Dato che non li possiamo uccidere, facciamoli diventare pazzi". I tre uomini resteranno in isolamento per dodici anni. Tra loro c'è Pepe Mujica che diventerà presidente dell'Uruguay.
SCHEDA FILM
Regia: Álvaro Brechner
Attori: Antonio De La Torre - José Mujica, Chino Darín - Mauricio Rosencof, Alfonso Tort - Eleuterio Fernández Huidobro, Soledad Villamil - Psichiatra, Silvia Perez Cruz - Ivette, César Troncorso - Militare, Mirella Pascual - Lucy
Soggetto: Mauricio Rosencof - romanzo, Eleuterio Fernández Huidobro - romanzo
Sceneggiatura: Álvaro Brechner
Fotografia: Carlos Catalán (II)
Musiche: Federico Jusid, Silvia Perez Cruz
Montaggio: Irene Blecua, Nacho Ruíz Capillas
Scenografia: Laura Musso, Daniela Calcagno
Arredamento: Paula de Granvar Palomares-Martínez
Costumi: Alejandra Rosasco
Effetti: Reyes Abades
Suono: Nacho Royo-Villanova, Martín Touron, Eduardo Esquide
Durata: 123
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Tratto da: romanzo 'Memorias del calabozo' di Mauricio Rosencof e Eleuterio Fernández Huidobro
Produzione: MARIELA BESUIEVSKY, VANESSA RAGONE, FERNANDO SOKOLOWICZ, BIRGIT KEMNER, MARIANA SECCO PER TORNASOL FILMS, HADDOCK FILMS, ALEPH MEDIA, MANNY FILMS, SALADO
Distribuzione: BIM DISTRIBUZIONE, MOVIES INSPIRED.
Data uscita: 2019-01-10
TRAILER
NOTE
- TRA I PRODUTTORI ESECUTIVI: VANESSA RAGONE, MARIANA SECCO.
- IN CONCORSO ALLA 75. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2018), SEZIONE 'ORIZZONTI'.
CRITICA
"Si focalizza (...) sul periodo della prigionia di Mujica e dei suoi compagni il bellissimo film 'La noche de 12 años' (...) del regista ispanico-uruguayano Álvaro Brechner (...) capace di farci vivere dal di dentro l'oscuro mondo della tortura. Il film è basato sulle testimonianze delle esperienze vissute da tre delle figure più note dell'Uruguay contemporaneo: José 'Pepe' Mujica, appunto, Mauricio Rosencof, scrittore e poeta di fama, ed Eleuterio Fernández Huidobro, ex ministro della Difesa. (...). Una prova estrema anche peri tre bravissimi attori protagonisti (...), capaci di rendere con forza espressiva l'incredibile lotta giornaliera perla vita in uno stillicidio di giorni, anno dopo anno. E mentre i corpi si consumano nel gelo delle orride stanze e della crudeltà dei carcerieri fotografati con ironia nella loro stupidità, il regista mostra con tocco onirico e poetico i pensieri cui i prigionieri si aggrappano per vincere le allucinazioni, il ricordo della propria famiglia, il sogno di riabbracciare una madre." (Angela Calvini, 'Avvenire', 2 settembre 2018)
"Álvaro Brechner firma un film molto tradizionalmente militante che chiama a raccolta passioni ed emozioni, sentimentali, civili e morali." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 10 gennaio 2019)
"(...) il film di Brechner si concentra quasi esclusivamente sulla prigionia, seguendone le varie fasi. Però il realismo abbastanza piatto della regia, se sacrifica lo sfondo, non trova un senso né politico né estetico (né tanto meno metafisico alla Bresson), e anzi in alcune scene con flashback e visioni ha qualche caduta." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 10 gennaio 2019)
"Il regista Alvaro Brechner rievoca quei dodici anni di orrore attraverso tre personaggi che in seguito avrebbero avuto importante peso nella vita pubblica del Paese, a partire dal futuro presidente Pepe Mujica, ma lasciando vaghe le motivazioni politiche (per perseguire i loro ideali i tupamaro ricorsero anche ad azioni armate); e focalizzando l'attenzione sulla follia di una violenza fine a se stessa; e sull'umana capacità di sopravvivere in condizioni disumane. Girato con professionalità e nobile negli intenti, il film avrebbe tuttavia richiesto altro piglio per avere la concentrata forza drammatica e formale di analoghi kammerspiel, poniamo «Hunger» di Steve McQueen." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 10 gennaio 2019)
"(...) esempio riuscito di cinema civile (...) che racconta uno dei momenti drammatici vissuti fino agli anni '80 del secolo scorso da un Paese del Sud America. Stavolta è l'Uruguay del 1973, anno del golpe militare - il 27 giugno - dopo decenni di democrazia e benessere (al punto da essere definito «la Svizzera del Sudamerica»), interrotti però da una forte crisi economica che causò anche l'espansione della formazione di estrema sinistra dei Tupamaros. Composto da un miscuglio di tendenze ideologiche, il movimento Tupamaros - nato nel 1963 - era animato da un comune ideale socialista e dalla convinzione che la lotta armata fosse l'unica strada, in contrapposizione agli sterili dibattiti di quanti confidavano in una svolta. Ma non è tanto sul fenomeno guerrigliero che si concentra il film (...) quanto sulla dimensione shakespeariana di un «ostaggio» (così definito dagli stessi militari) in mano a una dittatura sanguinaria. «Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», scriveva il 'Bardo' e la frase viene ricordata oggi dal regista Alvaro Brechner. Per questo la pellicola descrive i sogni dei 3 personaggi: José "Pepe" Mujica, autore di una vita incredibile che l'ha visto passare dalla pazzia - sfiorata appunto in prigione - alla presidenza del Paese nel 2009, Eleuterio Fernandez Huidobro, poi ministro, e il letterato Mauricio Rosencof. Un film simile rischiava di restare anch'esso prigioniero, della staticità e dei confini imposti dal soggetto. Un pericolo evitato dal 42enne autore di Montevideo, a parte alcune scene più oniriche, grazie alla sapienza nel descrivere l'unica cosa che ogni dittatore non può rinchiudere: la fantasia. (...) E felice è la mano nel raccontare una dittatura mettendone in luce gli aspetti più ridicoli, come la goffaggine di un soldato innamorato che si riscopre umano ricorrendo al colto Rosencof per scrivere una lettera o la scena in cui Huidobro non può defecare perché limitato dalle manette e con ciò provoca un consulto di militari davanti al bagno, visto che nessuno riesce a disobbedire a un semplice ordine. Perché il lato ottuso e grottesco c'è in ogni regime, a qualunque latitudine e in qualunque secolo." (Eugenio Fatigante, 'Avvenire', 10 gennaio 2019)
"(...) un film nero, tutto tensioni, solitudini, soggettive da incubo e macchina in spalla nell'asciuttezza più rigorosa. Il canto melodioso di Silvia Pérez regala nel finale una magnifica 'The Sound of Silence'." (Claudio Trionfera, 'Il Messaggero', 10 gennaio 2019)
"Un film di denuncia che lascia parlare, soprattutto, le immagini." (A.S., 'Il Giornale', 10 gennaio 2019)