Millie e Pinky, ambedue d'origine contadina, abitano insieme e lavorano come infermiere in un centro di rieducazione per anziani in pieno deserto californiano. Willie, invece, moglie del gestore di un "saloon", passa il tempo dipingendo figure surreali sulle pareti e il fondo di una piscina. Pinky ha per Millie un'ammirazione profonda, senza accorgersi che la sua amica è una donna patetica che si nutre di illusioni e vive ricalcando in maniera ridicola i "modelli" pubblicitari. I loro rapporti però, si guastano quando Pinky scopre che Millie è andata a letto col marito di Willie. Ferita dall'amica, cui aveva rimproverato il suo adulterio, Pinky tenta il suicidio e giace in coma per molti giorni. Quando torna in sé è ormai molto cambiata: respinge come sconosciuti i genitori chiamati al suo capezzale, si comporta verso Millie con sprezzante superiorità, pur assumendone tutti i suoi precedenti atteggiamenti. Tuttavia anche Millie è cambiata, non è più la sciocchina di un tempo, accetta i soprusi della compagna e si licenzia per starle accanto quando Pinky perde il lavoro. Quando Willie, che aspetta un bambino, è colta dalle doglie, Mille corre per assisterla ma il bambino nasce morto. Dopo una serie di tristi circostanze, le tre donne - spartitisi i ruoli di madre (Millie), figlia (Pinky) e nonna (Willie) - costituiscono una loro strana ma autosufficiente famiglia occupandosi loro stesse del saloon.
SCHEDA FILM
Regia: Robert Altman
Attori: Shelley Duvall - Mildred "Millie" Lammoreaux, Sissy Spacek - Pink Rose, Janice Rule - Willie Hart, Robert Fortier - Edgar Hart, Ruth Nelson - Sig.ra Rose, John Cromwell - Sig. Rose, Sierra Pecheur - Sig.na Bunweill, Craig Richard Nelson - Dr. Maas, Maysie Hoy - Doris, Belita Moreno - Alcira, Leslie Anne Hudson - Polly, Patricia Ann Huson - Peggy, Beverly Ross - Deidre, John Davey (II) - Dr. Norton
Soggetto: Robert Altman
Sceneggiatura: Robert Altman, Patricia Resnick - non accreditata
Fotografia: Charles Rosher Jr.
Musiche: Gerald Busby
Montaggio: Dennis M. Hill
Scenografia: James Dowell Vance
Effetti: J. Allen Highfill, Modern Film Effects
Altri titoli:
3 Women
Robert Altman's 3 Women
Durata: 130
Colore: C
Genere: PSICOLOGICO DRAMMATICO
Specifiche tecniche: PANAVISION, 35 MM (1:2.35), CINEMASCOPE - DE LUXE
Produzione: ROBERT ALTMAN PER LIONS GATE FILMS
Distribuzione: FOX
NOTE
- AFFRESCHI: BODHI WIND.
- PALMA D'ORO AL FESTIVAL DI CANNES A SHELLEY DUVALL COME MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA.
CRITICA
" [...] 'Tre donne' è una carta nuova che Altman gioca fidando sulle sue capacità di grande virtuoso del cinema, ma si tratta di una carta che non gli permette di vincere l'intera posta. Al sottofondo sociologico delle sue opere precedenti, si aggiunge qui la sovrastruttura della psicoanalisi: "E' un sogno" ha detto il regista a commento del film. E' con riluttanza perciò, pensando alla solare chiarezza di certe sue opere precedenti, ("Mash", "Nashville", "Buffalo Bill e gli indiani") che ci accingiamo a decifrare il significato delle tre donne: Millie dovrebbe rappresentare, nella sua ottimistica mitomania, il crollo di tutti i modelli a cui si usava attenersi; Pinky l'impossibilità, per chi ha l'animo puro, di integrarsi senza contaminarsi; Willie, infine, la resa dell'arte, capace ormai di produrre solo mostri. Con la sua America slabbrata, 'Tre donne' può anche definirsi un film femminista, nel senso che gli uomini vi vengono dipinti come figuri miserabili, capaci di tutte le viltà. Se una conferma della maestria di Altman esce da questo film, va individuata soprattutto nella direziono delle interpreti [...]." (Alfio Cantelli, 'II Giornale')
"[...] Il sogno: è il grande tema del film. Altman ha dichiarato che 'Tre donne' è nato da un sogno, le protagoniste non fanno che sognare, a occhi aperti e a occhi chiusi, lungo tutto il film. E' un sogno-incubo di Pinky a fare "precipitare" la vicenda verso un finale che del sogno ha l'atmosfera, i simboli, lo spessore e il mistero: Millie, Pinky e Willie vanno a vivere insieme dopo la morte (assassinio?) del "loro" uomo. Ciascuna assume una nuova identità, quella dei propri sogni finalmente realizzati. La fragile Pinky regredisce all'infanzia e trova in Millie la madre che ha sempre cercato; Willie, che ha smesso di dipingere, si esprime finalmente attraverso un rapporto autentico e alla pari con le amiche, in un universo completamente femminile. 'Tre donne' è anche un film sull'assenza degli uomini, visti solo nella loro dimensione, ripugnante e volgare, di maschi-padroni e come tali alla fine cancellati dalle tre donne, vittime in modo diverso della violenza di modelli e miti indotti. Il sogno è anche la chiave stilistica per entrare nei misteri di un film tutto giocato sull'alternanza, continua e ossessiva, tra reale e immaginario, tra razionale e irrazionale, tra fisico e metafisico: Altman, come Cari Gustav Jung, crede che "l'intera creazione è essenzialmente soggettiva, e il sogno è teatro ove il sognatore è al tempo stesso scena, attore, suggeritore, regista, autore, spettatore e critico". Raramente ci è accaduto, dopo certo Dreyer e l'ultimo Bergman, di vedere realizzata come in 'Tre donne' la specifica qualità del cinema di trasmettere la specifica qualità del sogno. L'America: se 'Nashville' e gli altri film di Altman erano riflessioni critiche sui miti americani (il denaro, la violenza, la musica, il cinema...), 'Tre donne' si colloca alla radice del costume e della cultura quotidiani degli States, analizzati da un punto di vista comportamentistico nella prima parte del film, messi in causa e rovesciati nella parte centrale e in quella finale. 'Tre donne' è un film disperato e angosciante nel suo fare "tabula rasa", ma anche aperto alla speranza, con la finale utopia della comunità femminile. Quelli che precedono sono solo appunti di lettura che non pretendono di esaurire la straordinaria ricchezza tematica e stilistica di 'Tre donne', un film da prendere o da lasciare "emotivamente": nella carriera di Altman - questo cineasta esploso tardi e perciò laboriosissimo si colloca in un posto-chiave e sembra aprire una nuova strada dopo il passo falso di 'Buffalo Bill e gli indiani' [...]." (Sandro Rezoagli, 'L'Avvenire')
"Vedo che anche la pubblicità all'edizione italiana di 'Tre donne' arzigogola molto intorno al sogno, al mistero, alla metamorfosi, come se le immagini femminili del film facessero parte di una pittura metafisica. E' vero, il sogno c'è, la parabola è, come già avvertimmo dal festival di Cannes (dove Shelley Duvall ha preso il premio per la miglior interpretazione). Ma bisogna respingere l'affollarsi dei simboli (che sarebbero troppi) e tirare la storia alla sua dimensione descrittiva, "fenomenologica". Dopo, tutto viene facilmente, se uno vuole: la solitudine femminile dentro un quadro di uomini assenti o violenti, l'ambiguità dei rapporti dentro una nuova famiglia di sole donne, un ritratto pietoso e frigido dell'America [...]. Altman, se non diamo credito ai suoi arabeschi sul sogno, ha fatto un bel film: i ritratti delle prime due amiche sono splendidi per naturalezza, tutta la realtà è catturata con la finezza del documentarista che è allo stesso modo interprete. Altman può avere delle debolezze ideologiche, delle debolezze oniriche; ma su quello che si vede, ma con le immagini è spesso ineguagliabile." (S.R., 'La Stampa')
"Riecco, dopo 'Nashville', un film di Robert Altman, cioè di un cineasta che ha molto da dire, e per il quale la parola "regista" appare limitativa. Come interprete della società americana, e più in generale del nostro tempo in quanto per molti aspetti quella società percorre la nostra, Altman ormai non racconta più il film nostra, Altman ormai non racconta più film ma parabole. Si tratta a volte di parabole enigmatiche, perché contraddittorio e complesso è il mondo in cui viviamo, e dunque anche la sua rappresentazione simbolica non può essere univoca e didascalica. Ne deriva, al di là del semplice arco narrativo della singola opera cinematografica, descrittiva di minuti ed evidenti fatti quotidiani, un'intenzione arcana di interpretazione del mondo, un rinvio a un ordine, a volte soltanto intravisto, di evidenze superiori. Tale è anche il caso di 'Tre donne'. Il film appare condotto simultaneamente su due registri: il piano descrittivo, fattuale, narrativo, che registra un'amicizia fra due e poi tre ragazze nel quadro di una desolata periferia americana: il piano simbolico, che rinvia a un ordine di significati generali, grosso modo riducibili a una riaffermazione del mondo come incubo violento ed estraniato nel quale nuove solidarietà hanno da coagularsi su scala diversa, per esempio in una fragile aggregazione affettiva fra donne contro una civiltà in cui i valori del denaro e la prevalenza maschile avrebbero fatto il loro tempo. Tuttavia, ridurre il film al "messaggio" femminista significa potarlo della sua polivalenza e ambiguità, perché 'Tre donne' è opera sfuggente come l'acqua, che allude senza dire e provoca nascondendosi dietro l'ambivalenza delle immagini. [...] Ritroviamo in 'Tre donne' la maestria narrativa di Altman, il suo stile scorrevole, acquatico, vegetale, la capacità ineguagliata di aggregare al racconto i motivi più secondari e di recuperarli al livello dei grandi temi. C'è però stavolta un salto fra svolgimento ed epilogo: quanto il primo è minuzioso e motivato e circostanziato, tanto il secondo si sovrappone d'improvviso, senza preparazione e con un sospetto di violenza tematica, di prevaricazione onirica e simbolica. E' questa irruzione inattesa dell'apocalittico nel quotidiano che infirma la perfezione di un'opera altrimenti acutissima. Dev'essere stato questo il motivo per cui 'Tre donne' a Cannes si è preso solo un premio per l'interpretazione femminile. Comunque, non si può parlare per Altman di declino, semmai dì eccessiva fiducia nei propri mezzi, e il cineasta resta, tra i colleghi americani, forse il più acuto osservatore di quella zona quotidiana, che sconfina nel mitologico, l'autore che dice sempre qualcosa di più rispetto a ciò di cui sta parlando." (Sergio Frosali, 'La Nazione')
"[...] Metafora di un incubo storico, il film rappresenta la progressiva perdita d'identità dell'America, raggiunta attraverso il crollo di tutti i modelli l'impossibilità di uscire dallo stadio infantile, l'arrendersi dell'arte. Dando tre volti diversi a un'unica immagine femminile del suo paese, e dipingendo i maschi con colori derisori, Altman cade nella desolazione, nel silenzio della storia e della natura. La scena chiave del film è quella in cui due anziani genitori tentano di riconoscere se stessi in un abbraccio notturno. Ma è appunto un amplesso di vecchi, è la memoria del sogno americano, cui si giustappone all'epilogo la finzione di una sterile famiglia. L'intelligente ambientazione, molti accurati particolari, la compiutezza dei ritratti, le gocce di ironia che correggono l'angoscia, fanno di 'Tre donne' un film per molti aspetti di grande interesse e confermano che Altman, pur restando un architetto un po' asmatico, è un eccezionale inviato speciale nelle atmosfere americane, cosi artificiali e ossessive. Le brave attrici sono Shelley Duvall, deliziosa nel fatuo, preziosa nel perplesso, la Sissy Spacek di 'Carrie' che mescola luci bambine al suo sguardo satanico, e Janice Rule, bloccata in un torvo mutismo." (Giovanni Gazzini, 'Il Corriere della Sera')
"[...] Un gioco e un dramma, dunque. Qua convincente e quasi affascinante, là molto meno. Vediamo dove convince. Anzitutto in quel ritorno di Altman ai film 'stretti attorno a figure singole' che gli permette di architettare con finissime cure psicologiche i caratteri delle tre donne, non solo all'inizio, quando ce li propone (Pinky e Millie in primo piano, Willie sempre di sfondo, vagamente misteriosa), ma anche in seguito, quando il carattere dell'una si trasferisce in quello dell'altra, e viceversa. Altro elemento convincente, come rilevavo giorni or sono da Cannes dove il film era in programma nella Sezione competitiva, l'ambientazione che, nella prima parte, fa da sfondo alla vicenda, quel bagno termale che Altman veste di note funebri, anticipatrici, nonostante il loro apparente sapore quotidiano, di quello che verrà dopo: con una tensione continua, un sovrabbondare di interrogativi e di problemi insoluti che troveranno in seguito la loro sublimazione nell'epilogo, abilmente a doppio taglio,complesso. Convince meno, invece, e quasi stupisce, il tentativo di fare approdare il cronistico e minuzioso realismo della storia (e della regia) a momenti "visionari" che sembrano spesso addirittura tributari del cinema hollywoodiano sugli indemoniati, snaturando, con queste insistite ricerche, la mediata ampiezza delle architetture in quelle pagine che si stringono attorno ai mutamenti di Pinky, al suo improvviso incattivirsi e, da ultimo, al suo altrettanto improvviso e poco motivato regredire all'infanzia. A queste fratture (di tono e di stile) si aggiunga la contraddizione - scarsamente giustificata in Altman, autore di severi impegni - di quel gioco che, ad ogni passo, con i suoi piccoli e grandi misteri, con le sue situazioni costantemente ribaltate e i suoi colpi di scena a catena, tende ad aggiungersi e quasi a sostituirsi al dramma: con logica dubbia e con risultati, qua e là, abbastanza sconcertanti. Il gioco e il dramma, comunque (insisto sull'accoppiamento) hanno spesso dimensioni accattivanti ed anche se a questo Altman di oggi - intento a scrivere un testo alla... Tennessee Williams mettendolo poi in scena come un regista intellettuale che però ha visto 'L'esorcista' - io preferisco quello corale e sociale di 'Nashville', non posso non seguirlo in parte anche su questa strada. Non foss'altro per quei tre personaggi femminili che campeggiano nel film e che, innegabilmente, pur con le loro astratte parvenze, quasi da caso limite, hanno radici profonde nell'anima e nella realtà americana; rispecchiate, in più momenti con sottile fedeltà [...] (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo')
" [...] Scusi il lettore se il riassunto non suona chiaro. In realtà non suona chiaro neanche il film. La prima parte, minuziosa descrizione di come Pinky e Millie si conoscano e coabitino, è ricca di annotazioni sottili e gustose, ma si prolunga oltre misura, ne prepara coerentemente la seconda: tanto che, perché il vampirismo psichico di Pinky si manifesti, la sceneggiatura deve ricorrere all'espediente di un incidente fisico. Nella seconda, parte, poi, la figura di Willie non riesce a configurarsi drammaticamente, e i vari spostamenti di personalità, che dovrebbero avere in lei il principale catalizzatore, sono risolti attraverso sequenze di un surrealismo figurativamente assai dozzinale, sequenze nelle quali, oltretutto, si smarriscono le intenzioni di indagine psicologica del film: dato e non concesso che il film ne avesse in partenza. All'attivo di 'Tre donne' va invece ascritta la descrizione dei luoghi in cui l'azione si svolge: dalla strana atmosfera dell'istituto termale geriatrico a quella tutta leziose minuzie della casa arredata da Millie, con puntate in rarefatti esterni dove domina una magmatica presenza maschile in contrasto con il preciso accento femminile degli interni. E va ascritta anche l'interpretazione di Shelley Duvall, che disegna con grande finezza il velleitario arrabattarsi di Millie tra illusioni e realtà quotidiane; mentre Sissy Spacek, pur brava, ha senza dubbio un gioco più facile, nei netti contrasti di Pinky, una due e tre; e Janice Pule, a parte la grandguignolesca sequenza dell'aborto, non deve far altro che apparire bella e misteriosa, cosa che del resto le riesce assai bene. [...]" (Guglielmo Braghi, 'II Messaggero')
"[...] Robert Altman non dà alcun significato al suo film. "Andate a vederlo, dice, e poi ne parlerete. Il significato è nel film, come la musica nella musica. Non si può andare in giro con delle etichette. Ognuno in un'opera cerca quel che vuole. Non tocca a me dire cosa". L'unica puntualizzazione che fa è quando gli chiedono se somiglia a qualche suo film precedente. "L'unico al quale posso avvicinarlo" - spiega - "è 'Images'. Ci sono implicazioni psicologiche che in qualche modo riguardano le due opere"... Comunque è l'undicesimo film di Altman in sette anni. Il regista americano ne iniziò le riprese nell'agosto del 1976, e per gli esterni venne scelta Palm Springs e i suoi dintorni. Per il personaggio di Millie Lammoreaux, ha scelto Shelley Duvall, una delle sue attrici preferite. Scritturò quindi Sissy Spacek (l'attrice che abbiamo conosciuto in 'Carrie' e 'La rabbia giovane') per il ruolo di Pinky Rose e completò il cast con Janice Rute per la parte di Willie, una pittrice incinta e misteriosa. 'Tre donne' è il secondo film di Altman per la Fox che aveva già distribuito 'Mash', il film, appunto, che lo rivelò a Cannes come portatore di idee innovatrici". (M. Colonna, 'L'Araldo')