Il regista Wim Wenders arriva a Tokio, per un viaggio nella memoria alla ricerca di tutto ciò che possa ricordare Yasujiro Ozu, il grande maestro del cinema giapponese, morto povero e quasi dimenticato nel 1963, e, allo stesso tempo, per inquadrare con il proprio obiettivo l'odierna realtà metropolitana. Così alle interviste con Chisu Ryu, l'attore principale dei films di Ozu, e con Yuharu Atsuta, fedelissimo direttore di fotografia dello scomparso, Wenders alterna inquadrature ardite e allucinanti sequenze sulla vita della Tokio odierna. Solo 25 anni sono passati, eppure le trasformazioni subite dal tessuto urbano e dai ritmi stessi della vita appaiono incredibili.
SCHEDA FILM
Regia: Wim Wenders
Attori: Wim Wenders - Se stesso, Chishû Ryû - Se stesso, Werner Herzog - Se stesso, Yûharu Atsuta - Se stesso
Soggetto: Wim Wenders
Sceneggiatura: Wim Wenders
Fotografia: Edward Lachman
Musiche: Chico Rojo Ortega, Meche Mamecier, Loorie Petit Gand
Montaggio: Wim Wenders, Solveig Dommartin, Jon Neuburger
Durata: 85
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI
Produzione: WIM WENDERS PRODUKTION - GRAY CITY INC. - CHRIS SIEVERNIK FILMPRODUKTION - WESTDEUTSCHER RUNDFUNK
Distribuzione: ACADEMY (1986) - GENERAL VIDEO, SAN PAOLO AUDIOVISIVI
CRITICA
"Un documentario di un'ora firmato da Wim Wenders, visto l'altro anno a Cannes, alla sezione 'Un certain regard'. Il teatro del film, come dice il titolo, è la capitale giapponese, traversata da Wenders in un itinerario dalle molte facce e dalle molte linee; apparentemente separate e discordanti, in realtà tacitamente convergenti verso un punto comune, la figura di Yasujiro Ozu, il maestro del cinema nipponico scomparso più di vent'anni fa dopo averne percorso tutte le fasi storiche, dal muto al sonoro, da b/n al colore. (...) L'America trasformata, l'imitazione, la finzione, le ombre. Ancora la realtà e l'apparenza, il passato e il presente, ciliegi in fiore e rifiuti debordanti, l'oceanica moda del gol meccanizzato lo sforzo vano di piazzare l'obiettivo negli stessi posti, in cui lo mise Ozu, testimone e interprete di un'epoca diversa: 'non è più un mio film', confessa Wenders. E viaggiando con quegli struggenti vecchi treni di Ozu - incrociati nel montaggio con i moderni grovigli ferroviari di sopraelevate - nasce un trip che vuol essere, nella premessa, un modo 'di osservare così come si guarda con gli occhi, senza provare nulla'." (Claudio Trionfera, 'Il Tempo', 23 Aprile 1986)
"Una sottile, feconda vena di schizofrenia narrativa sostiene 'Tokyo Ga' ('Immagini da Tokyo'), film-documento girato nella primavera del 1983 da Wim Wenders ma ultimato solo lo scorso anno, in tempo per Cannes. A Tokyo per intervenire a una Settimana del cinema tedesco, Wenders e il suo operatore Ed Lachman girano un diario di viaggio molto soggettivo, alla maniera di Heine e degli illuministi. Partono apparentemente senza un metodo, alla deriva, nella metropoli, ma tenendo presente in realtà un complesso di immagini molto precise: il cinema di Jasuijiro Ozu, maestro del quotidiano, incomparabile narratore, dal muto al 1963, del declino della famiglia giapponese e della perdita di identità di una intera città. (...) Atsuta spiega gli ultimi anni di Ozu, la sua purezza stilistica racchiusa in un'unica posizione della macchina da presa, a pochi centimetri da terra, in quel tatami-shot che costringeva gli operatori a star sdraiati su una stuoia per lavorare. E finisce in lacrime scacciando gentilmente Wenders: 'Era più di un regista, era un re. Lasciatemi, ora. Qualche volta ci si sente soli'. Sulla tomba di Ozu c'è un unico monogramma, 'MU', il nulla. Neanche Wim Wenders, illuminista tedesco, ha il coraggio di spiegarci quali siano i suoi confini." (Gabriele Porro, 'Il Giorno', 22 Febbraio 1986)
"Wenders, che sempre, nel suo cinema, si è divertito a girovagare in aree metropolitane, rendendole specchio di personalità e contesto di caratteri (basti pensare a Alice nelle città), non fa domande e non dà risposte: accumula materia, anche in modo casuale, in una forma di cinema pura e tersa, che non appare però mai risultato di una bella forma, ma di un disagio interiore. Si ferma a guardare uno di quei lunghi treni che Ozu spesso mostrava nei suoi film, osserva i capricci di un bambino in metropolitana, interroga un attimo l'amico Werner Herzog che si trova per caso sulla torre di Tokyo: ma quello che gli dispiace è che questa città non sia quella che il cinema gli ha insegnato ad amare. Potrebbe essere un problema soltanto suo, o di pochi eletti. Per fortuna il suo stile, la sua capacità di sintesi espressiva, le interviste che fa ai collaboratori di Ozu (Chishu Ryu, il suo attore prediletto dice cose dolci e intelligenti), i momenti di appassionata verifica (la doppia inquadratura, girata con due obiettivi, di una stradina illuminata dalle insegne dei bar), la rappresentazione di una società di rockabilly che tenta disperatamente l'imitazione degli americani, la considerazione sul ridicolo potere centripeto della televisione, tutto ciò fa di 'Tokyo-Ga' un piccolo ma suadente e inimitabile film cui voler bene, perché lui vuol tanto bene al cinema." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 23 Febbraio 1986)