Allontanata dal paese natale quand'era una ragazza per il suo fare trasgressivo, una ricca signora vi ritorna dopo vent'anni. E si prende una rivincita sconvoglendo i paesani con la sua solarità esuberante e il suo potere seduttivo. Dal romanzo di Jorge Amado "Tieta de Agreste". Con Sonia Braga, l'ex-regina delle telenovelas brasiliane.
SCHEDA FILM
Regia: Carlos Diegues
Attori: Sonia Braga - Tieta, Marília Pêra - Perpetua, Chico Anysio - Ze' Esteves, Padre Di Tieta, Claudia Abreu - Leonora, Frank Menezes - Jaino, João Phelippe - Pet A 8 Anni, Jorge Amado - Se Stesso, André Valle - Barbozinha, Debora Adorno - Elisa, Heitor Martinez Mello - Cardo, Leon Goes - Ascanio, Patricia Franca - Tieta A 17 Anni, Noelia Montanhas - Tonha
Soggetto: Jorge Amado
Sceneggiatura: Carlos Diegues, João Ubaldo Ribeiro, Antonio Calmon
Fotografia: Edgar Moura
Musiche: Caetano Veloso
Montaggio: Karen Harley, Mair Tavares
Scenografia: Lia Renha
Costumi: Ocimar Versolato, Luciana Buarque
Durata: 102
Colore: C
Genere: COMMEDIA
Tratto da: TRATTO DAL ROMANZO DI JORGE AMADO "TIETA DO AGRESTE"
Produzione: SKYLIGHTCINEMA/SERENE
Distribuzione: BIM DISTRIBUZIONE - MONDADORI VIDEO
NOTE
REVISIONE MINISTERO OTTOBRE 1997
CRITICA
"Naturalmente ci si può anche divertire, a patto di adagiarsi nel piacere narrativo del romanzone, inseguendo i filoni tipici della telenovelistica radicata nel luogo, perfino il match del Diavolo contro l'Acqua Santa, perfino il meccanico intervento del flashback in bianco e nero. Ma la storia è superficiale e datata, prevedibile e troppo folkloristica nel teatrino dei parenti (serpenti, è ovvio), degli amici e dei padroni delle ferriere, come un identikit caratteristico dell'Italia strapaesana anni '50 con Totò, Peppino e Tina Pica. Veglie funebri, veglie di carnevale, veglie di passione; e feste in piazza con i botti, spiagge del desiderio: la vocazione turistica di Diegues è irrefrenabile. La polemica ecologica soccombe di fronte ai brevi amorosi turbamenti tra Tieta e il giovanotto in convalescenza edipica che si scoprirà presto un'altra vocazione, mandando in bestia la zia. Morale di prima battuta: 'L'amore è una malattia che non si dovrebbe prendere'. Morale di ritorno: 'Con i soldi si compra tutto'. Ma l'ultima occhiata di miss Braga, più che altro per rispettare il contratto, è naturalmente malinconica." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 28 aprile 1997)
"Tratto dal romanzone di Jorgé Amado Tieta do Agreste (in apertura lo scrittore appare spiritosamente nei panni di se stesso, chiedendo che 'qualcuno mi spieghi la morale di questa storia, sempre che esista'), il film del veterano Carlos Diegues è una commedia permissiva un po' sul modello di Donna Flor e i suoi due mariti: e la presenza di Sonia Braga, piuttosto appesantita nel fisico ma sempre sorridente; e vitale, introduce un ulteriore elemento di vicinanza. Solo che Diegues non è Bruno Barreto. Bombardato dalle musiche di Caetano Veloso e fotografato da Edgar Moura con qualche cedimento cartolinesco alle bellezze del paesaggio, Tieta do Brasil riduce all'osso la trama del libro per proporsi come una ballata birichina e frastornante sulle risorse del potere femminile. Funziona? Mica tanto, e non si tratta di essere snobista. È che il film è scritto così così, recitato a corrente alternata e immerso in un clima sovraeccitato di folclore locale che stinge nel cliché." (Michele Anselmi, 'L' Unità', 22 aprile 1997)
'Travolgente lo è davvero, Tieta, soprattutto perché la incarna con scatenata energia e con una vena ironica Sonia Braga, che offre generosamente alla cinepresa di Edgar Moura il paesaggio del suo corpo non più giovanissimo ma sempre bello e sensuale, e una faccia segnata dagli anni e dai molti sorrisi. Così, nonostante le indulgenze promozionali ai piaceri del paesaggio brasiliano e i troppi finali, il film di Carlos Diegues è destinato a conquistare il pubblico soprattutto grazie alla sua interprete e al suo spregiudicato buonumore, accompagnati dalla splendida colonna musicale firmata da Caetano Veloso che mette addosso un'allegra irrequietezza." (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 12 aprile 1997)