Il Golden Gate, il meraviglioso ponte che è un luogo magico e misterioso, oltre che il simbolo di San Francisco, detiene al suo attivo un triste primato, quello del maggior numero di suicidi. Ogni anno, infatti, sono molte le persone che decidono di porre fine alla loro vita lanciandosi nel vuoto dal Golden Gate. Il regista Eric Steelberg, insieme alla sua troupe, ha trascorso un intero anno, il 2004, sorvegliando attentamente la balaustra del ponte. Le loro macchine da presa hanno documentato quasi ogni minuto di luce e hanno filmato la maggior parte delle due dozzine di suicidi e dei numerosi tentativi falliti. Le immagini sono accompagnate dalle parole di amici e parenti delle vittime, accorsi sul posto, e da quelle di passanti, automobilisti, ciclisti, ragazzi a bordo di un surf o di una barca che, improvvisamente, si sono trovati davanti la morte.
SCHEDA FILM
Regia: Eric Steel
Soggetto: Tad Friend - articolo
Fotografia: Peter McCandless
Musiche: Alex Heffes
Montaggio: Sabine Krayenbühl
Altri titoli:
The Bridge - Il ponte dei suicidi
The Bridge - Il ponte
Durata: 93
Colore: C
Genere: DRAMMATICO DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Tratto da: ispirato all'articolo "Jumpers" di Tad Friend nella rubrica 'Letter from California' del 'The New Yorker' (2003)
Produzione: EASY THERE TIGER PRODUCTIONS, FIRST STRIPE PRODUCTIONS, RCA
Distribuzione: WARNER BROS PICTURES ITALIA, VIDEA CDE (2007)
Data uscita: 2007-04-27
NOTE
- PRESENTATO ALLA I^ EDIZIONE DI 'CINEMA. FESTA INTERNAZIONALE DI ROMA' (2006) NELLA SEZIONE 'EXTRA'.
CRITICA
"Nel documentario 'The Bridge', l'autore Eric Steel ha piazzato due cineprese fisse col grandangolo sul ponte per tutto il 2004, anche nei giorni senza nebbia. E ha impresso nella pellicola ben 23 suicidi (ne manca uno, il 24mo), maggio e agosto i mesi più frequentati, oltre ai tentativi falliti. Eppure sono voli di 67 metri, di 4-7 secondi a 190 km l'ora: si annega, si muore d'impatto, d'infarto, ma qualcuno ce la fa. Con questo film che abiterà a lungo nel subconscio, il cinema riprende dalle origini: il cine occhio di Dziga Vertov, il teorico russo e poi il cinema verità nato da una costola della nouvelle vague. È un documento impressionante e forse per questo, nonostante molti premi e passaggi ai festival, dal Tribeca di De Niro a Roma, in America non ha ancora avuto un'uscita ufficiale, ma proiezioni alternative e polemiche sulla morte in diretta: in Italia forse uscirà. (...) La logica somiglia a quella di Andy Warhol che negli anni 60 piazzava una cinepresa fissa su un grattacielo, su un uomo addormentato: l'ipercinema. Qui c' è in più un valore umano, forse poetico: sono molti a chiedersi il perché del Golden Gate, torna l'alone dell'analisi romantica, il dubbio della causa genetica della depressione e si curiosa nella vita dei suicidi, molti giovani, e dei loro malumori, vite in cui 'un uomo li vale tutti e tutti lo valgono' come avrebbe detto Sartre. Oltre ai disperati per malattia, fisica o mentale: 'La schizofrenia - si dice - è come guardare insieme 44 canali alla tv'. Il film non dà risposte ma interessa nel fare domande. E nell'osservare i legami tra vivi e morti, oltre che nel chiedersi perché il suicidio sia esibito in pubblico, davanti a centinaia di persone che magari non ci fanno caso. Forse perché la tv ha insegnato a vivere sempre in uno show infinito che arriva al next level come si dice nel film, che per noi è l'Aldilà." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 17 ottobre 2006)
"'The Bridge', il documentario di Eric Steel, è uno shock salutare. Anche se lo vedi con un senso crescente di pena e di ansia, unito a una punta di morbosità. Lì per lì non capisci. L'uomo che appare nell'incipit, ripreso col teleobbiettivo, sembra un normale pedone. Invece eccolo, di colpo, issarsi sul parapetto, farsi il segno della croce e lanciarsi, fino a scomparire tra i flutti. Quasi nessuno sopravvive. (...) Eppure The Bridge non è voyeuristico. Nel suo raccontare 'la morte al lavoro', spinge a interrogarci sulle vite di quei poveretti (ne vediamo tanti che si gettano, giovani e meno, in tuta da ginnastica e vestiti di pelle, per lo più uomini), per risalire, attraverso le testimonianze di parenti e amici, ai motivi di quel gesto estremo. Malattie, psicosi, disoccupazione, abuso di alcol: il quadro sociale che emerge dal film è impressionante, e fa capire il tarlo che rode, in profondità, un certo sistema di vita occidentale. Consola sapere che il diuturno controllo di Steel ha permesso di salvare qualche vita: è bastata una telefonata per bloccare l'aspirante suicida un attimo prima che i demoni l'ingoiassero." (Michele Anselmi, 'Il Giornale', 18 ottobre 2006)
"Facce. Domande. Risposte. E un indubbio interesse insieme a un persistente senso di inadeguatezza artistica e imbarazzo morale. Non basta filmare per tutto il 2004 il Golden Gate e la baia di San Francisco, fingendo di fare riprese turistiche per catturare le immagini dei suicidi e dei loro occasionali salvatori. Non basta giocare sulla suspense (si butta, non si butta?), né parlare di quelle vite spezzate per coglierne il senso profondo. Steel indica il cammino ma si ferma a metà. E non ci convince mai di avere il diritto di filmare ciò che ha filmato." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 27 aprile 2007)
"The Bridge è un film che suscita interesse, ma lascia inevase parecchie domande. Per saperne di più sulla 'Porta d'oro', divenuta per alcuni la porta dell'inferno, siamo risaliti all'articolo di The New Yorker (ottobre 2003) da cui il regista ha preso lo spunto: 'Jumpers' (saltatori) di Tad Friend, abituale redattore della rubrica 'Letters from California'. Spulciando fra le notizie apprendiamo che il 19 marzo 2003 si registrò anche un suicidio politico, quello di uno che protestava per la strage dei civili in Iraq. La percentuale media di jumpers è di uno ogni due settimane: videocamere, telefoni e pattugliamenti servono a qualcosa, ma non sempre. Servirebbe l'elevazione della barriera di cui si parla da cinquant' anni. Quelli contrari adducono motivi di estetica: perché rovinare uno storico manufatto come il ponte a causa di pochi dementi? Il reverendo Jim Jones promosse un rally a sostegno della barriera antisuicida, ma un anno e mezzo dopo guidò lui stesso un suicidio di massa in Guyana. Friend deplora che i media parlino dei «saltatori» solo se coinvolgono celebrità o fermano il traffico. Un agente che ha dissuaso più di 200 candidati al suicidio si confessa pessimista: sorrisi e buone parole a volte bastano, più spesso no." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 27 aprile 2007)
"Meno esauriente sul piano dell'informazione dell'articolo di Friend, 'The Bridge' resta comunque un documento che impressiona: se la motivazione al suicidio resta avvolta nel mistero, in certo modo si capisce (ed è inquietante) la scelta del luogo, ovvero l'attrattiva di quel lungo ponte sospeso tra cielo e mare in una cornice di conturbante bellezza." (Alessandra Levantesi,'La Stampa', 27 aprile 2007)