Autunno, anni Novanta. Un villaggio estone in Abcasia, dove le colline sono ricoperte da foreste, c'è il mare e i giardini sono colmi di alberi di mandarini. L'Abcasia è in guerra con la Georgia per la separazione. E' su questo sfondo che si svolgono le vicende dell'anziano Ivo e del suo vicino Markus, unici due abitanti a non aver abbandonato il villaggio. Ivo è contrario a cogliere il raccolto nel mezzo della guerra; Markus, invece, vuole aspettare i suoi mandarini. Nel frattempo il conflitto esplode proprio davanti ai loro occhi...
SCHEDA FILM
Regia: Zaza Urushadze
Attori: Lembit Ulfsak - Ivo, Mikheil Meskhi - Niko, Giorgi Nakashidze - Ahmed, Elmo Nüganen - Margus, Raivo Trass - Juhan
Sceneggiatura: Zaza Urushadze
Fotografia: Rein Kotov
Musiche: Niaz Diasamidze
Montaggio: Alexander Kuranov
Scenografia: Thea Telia
Costumi: Simon Machabeli
Altri titoli:
Tangerines
Durata: 89
Colore: C
Genere: DRAMMATICO GUERRA
Specifiche tecniche: (1:2.35)
Produzione: IVO FELT, ZAZA URUSHADZE PER ALLFILM, CINEMA24
Distribuzione: P.F.A. FILMS (2016)
Data uscita: 2016-05-26
TRAILER
NOTE
- CANDIDATO AL GOLDEN GLOBE 2015 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
- CANDIDATO ALL'OSCAR 2015 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
CRITICA
"Uno di quei drammi da camera che con grande economia di dialoghi e di ambienti ricreano (e disinnescano) in uno spazio limitato tutte le dinamiche di una guerra, facendo rinascere come in vitro tutte le ragioni della pace. (...) film piccolo quanto convincente (...). Una piccola lezione di cinema e di umanità (ogni tanto vanno ancora insieme) davvero da non perdere." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 2 giugno 2016)
"Realizzare un film antimilitarista è operazione più delicata di quanto sembri: sempre a rischio di moralismo, magari in buona fede, il genere cede spesso alle tentazioni dello schematismo e della 'purezza' facile. Non è il caso di 'Tangerines - Mandarini' (...). E' evidente che l'impianto del film ha un forte sapore di parabola umanista, imperniata sulla bestialità degli uomini, dei rancori atavici e della guerra; tanto più detestabili sullo sfondo di paesaggi naturali che sembrano ispirare serenità. E qui sta il pericolo, appunto, della fiaba moraleggiante. Per sua (e nostra) fortuna, il regista e sceneggiatore Zaza Urushadze sa come evitarlo. Intanto costruisce tutto il dispositivo sul personaggio di Ivo, uomo venerabile, saggio e melanconico cui affida una doppia consapevolezza: che la violenza è assurda e tuttavia, in circostanze date, inevitabile. Poco a poco. con gesti sobri e senza predicare, il vecchio insinua nei due nemici per la pelle il dubbio che l'altro possa essere accettato e rispettato, come qualcuno di - inaspettatamente - simile a sé. Però Urushadze fa di più, imponendo alla trama un paio di virate narrative di grande efficacia. In una prima sequenza il georgiano Nika è costretto a spacciarsi per ceceno, se vuole salvarsi la vita. In una successiva è il ceceno Ahmed a essere scambiato per georgiano da un ufficiale imbecille che milita nel suo stesso fronte; e i due nemici giurati devono allearsi contro la cecità di costui. L'episodio è liberatorio; e tuttavia, insieme, ribadisce l'eterno ritorno della violenza. È in questo episodio paradossale, soprattutto, che fa capolino una vena d'ironia amara; anche se meno evidente rispetto ad altri due film che questo fa venire in mente: 'No Man's Land' e (...) 'Perfect Day'. E l'ironia affiora anche in un piccolo episodio gustoso. Per far scomparire uno dei veicoli militari, i vecchi lo fanno precipitare in una scarpata, aspettandosi che prenda fuoco 'come al cinema'. Il che non avviene affatto. E allora Ivo, nella sua calma di vecchio saggio, commenta: «Il cinema è una grande truffa». Ma bisogna sentirlo dire dal protagonista Lembit Ulfsak, attore estone di cinema e di teatro molto popolare in patria, che somiglia a Jason Robards (...) ed è bravissimo." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 26 maggio 2016)
"Perché esiste la guerra? Ovvero, perché facciamo la guerra? Stimato cineasta georgiano, Zaza Urushadze ha in merito idee facilmente condivisibili, che peraltro lo avvicinano all'Ermanno Olmi di 'Torneranno i prati' o al croato Dalibor Matanic del piccolo caso, ancora in sala, 'Sole alto' (...). Sceneggiatore e regista classe 1965, figlio del calciatore Ramaz, Zaza ci riporta alla cruenta dissoluzione dell'impero sovietico, in uno dei tanti teatri di scontro, focolai di rivolta seguiti alla fine del 'sogno' unitario di Lenin e Stalin. (...) 'Tangerines - Mandarini' non è un'opera esibizionista, tutt'altro, nondimeno ha saputo farsi vedere e apprezzare in giro per il mondo. Nominato sia agli Oscar che ai Golden Globes nella categoria miglior film straniero (2015), ha rastrellato premi a ogni latitudine, forte di questa poetica sommessa e, a suo modo, rivoluzionaria: un war movie atipico, più interessato alle conseguenze esistenziali che non alle azioni belliche. Introspettivo e, qualità mutuata dal protagonista Ivo, assertivo, non brilla per una trama particolarmente inedita o avvincente, eppure, si snoda con la calma, inconfutabile necessità dell'apologo pacifico e pacifista, (di)mostrando come basti crearne le basi - la forzata convivenza di Ahmed e Niko - perché il dialogo attecchisca e dia frutti. Tra location suggestive e voltaggio paradigmatico, 'Tangerines' non concede nulla all''happy ending', ma molto alla speranza: non perdetelo." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 26 maggio 2016)
"Una storia semplice in un contesto tragicamente complesso dove solo in pochi riescono ancora a cogliere la differenza tra la vita e la morte. Protagonisti sono quattro uomini per certi versi simili nel seguire le proprie convinzioni ma diversi nel difenderle: Margus e la folle idea di raccogliere mandarini in tempo di guerra; Ivo e la testarda coerenza nel voler rimanere nel luogo che ama e odia e che ormai considera suo; Ahmed e Nika irretiti nelle proprie posizioni che non possono avere altro esito se non la devastazione. Questi quattro personaggi si ritrovano però a convivere, a istituire e rispettare delle regole. Questa è la sfida posta da Zaza Urushadze: mostrare quanto il baricentro dei nostri convincimenti sia fragile e quanto un atto eticamente condivisibile possa trasformarsi in un'azione scellerata o viceversa. Voler difendere la propria terra può significare rivendicare il senso di una vita e le relazioni che sono nate proprio in quel luogo, ma può anche spingere a bruciare tutto quello che è intorno, a uccidere e spezzare ogni forma di condivisione. Per paradosso, l'epilogo del film, che naturalmente non anticipiamo, non è poi così importante, se non ai fini di questa specifica storia. Che i nostri siano sopravvissuti o morti è un dettaglio in un mondo nel quale ogni luogo prima o poi sembra destinato alla distruzione e dove appare più redditizio e sensato costruire delle bare anziché delle cassette per mandarini." (Mazzino Montinari, 'Il Manifesto', 26 maggio 2016)