Una brillante e ambiziosa ballerina americana si reca in Europa per frequentare una scuola prestigiosa. Dopo il brutale assassinio di un compagno di studi e altre morti cruenti che mandano in frantumi la quiete del campus, la ragazza capisce che l'accademia probabilmente non è che la facciata di una minacciosa organizzazione.
SCHEDA FILM
Regia: Luca Guadagnino
Attori: Tilda Swinton - Mme Blanc, Dakota Johnson - Suzy Bannion, Chloë Grace Moretz, Malgorzata Bela - Madre, Jessica Harper - Anke, Sylvie Testud - Miss Griffith, Angela Winkler - Miss Tanner, Mia Goth - Sara
Soggetto: Dario Argento - sceneggiatura del 1976, Daria Nicolodi - sceneggiatura del 1976
Sceneggiatura: David Kajganich
Durata: 152
Colore: C
Genere: HORROR THRILLER
Produzione: LUCA GUADAGNINO, MARCO MORABITO, FRANCESCO MELZI D'ERIL, GABRIELE MORATTI, WILLIAM SHERAK, SILVIA VENTURINI FENDI PER FRENESY FILM COMPANY, MEMO FILMS, FIRST SUN
Distribuzione: VIDEA (2019)
Data uscita: 2019-01-01
TRAILER
NOTE
- REMAKE DEL FILM OMONIMO SCRITTO (INSIEME A DARIA NICOLODI) E DIRETTO NEL 1976 DA DARIO ARGENTO. - IN CONCORSO, ALLA 75. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2018). - CANDIDATO NASTRI D'ARGENTO 2019 PER: MIGLIOR FILM, REGIA, MONTAGGIO. VINCE CATEGORIA COSTUMI (GIULIA PIERSANTI). - CANDIDATO DAVID DONATELLO 2020 PER: MIGLIORE MUSICISTA, MIGLIORE SCENOGRAFIA, MIGLIORE TRUCCATORE (FERNANDA PEREZ), MIGLIOR ACCONCIATORE (MANOLO GARCÌA), MIGLIORI EFFETTI VISIVI VFX (LUCA SAVIOTTI).
CRITICA
"(...) remake a quarantun anni di distanza del film di Dario Argento, forse quello avvolto dall'aria più mitica, anche per merito della fotografia di Luciano Tovoli che col suo Technicolor TriPack trasformava le scene in incubi a occhi aperti. Guadagnino si affida invece (come per i suoi ultimi film) alle immagini del thailandese Sayombhu Mukdeeprom ma soprattutto al montaggio di Walter Fasano e alle musiche di Thom Yorke (Radiohead) per trovare quelle atmosfere di tensione e di angoscia che attraversano il film e lo differenziano dall'originale. (...) La differenza di partenza tra remake e originale è fondamentale per entrare nello spirito del film (centrato sul confronto estenuante e rigoroso del proprio corpo con una disciplina che chiede di misurarsi con quello che ognuno si porta nel profondo e che può emergere grazie al carismatico potere della maestra/coreografa) ma anche per innescare una serie di «bracci di ferro» tra razionalità e sogni, tra ambizioni e incubi. (...) la paura che crea il film non è quella del 'jumpscare', del salto sulla sedia, ma piuttosto quella insinuante che mette in discussione le certezze: che donne sono quelle che popolano questa versione di 'Suspiria'? Che cosa può fermare la loro aggressiva determinazione? Se Dario Argento chiudeva il film con un massacro liberatorio, Guadagnino (e la sceneggiatura di David Kajganich) evita di dare risposte, anzi gioca con le contraddizioni, come fa con il destino di Madame Blanc, che sembra pagare l'amore (materno? saffico?) che prova per Susie. Resta l'interrogativo più difficile: come reagirà il pubblico (soprattutto femminile) che ha decretato il successo di 'Chiamami col tuo nome' di fronte a un film che imbocca un percorso totalmente diverso, sospeso tra cult e horror giovanilista? Ma forse è una domanda da non porsi, prigionieri come siamo di una logica «d'autore» che vede nella coerenza dei temi e dello stile il metro d'analisi e di giudizio. Forse, invece, il cinema italiano ha proprio bisogno di un autore che insegua una sua programmatica incoerenza, alla ricerca del piacere anche un po' fanciullesco del «fare cinema» e che vede nella varietà e nelle contraddizioni la chiave privilegiata del suo percorso registico." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 2 settembre 2018) "Dimenticate Dario Argento. Il remake di 'Suspiria' è anzitutto un film di Guadagnino, con una sua autonomia, e anzi molto dentro il suo metodo e le sue ossessioni. Il lavoro sul genere horror (quasi completamente negato) è parallelo a quello sul cinema d'autore internazionale in 'Chiamami col tuo nome'. (...) se il film di Argento era un trionfo di colori in un mondo da fiaba, qui la Storia preme da tutte le parti (come spesso in Guadagnino) e la regia si nega ogni fascino facile, mantenendo un controllo totale, su toni cromatici spenti e scuri, a dare l'idea di un mondo plumbeo. (...) Il cast funziona, a cominciare dalla magnetica Tilda Swinton; e alcune trovate sono ingegnose. Il film insomma è ricco, complesso, forse anche troppo (...)." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 2 settembre 2018) "Le «analogie» tra 'Suspiria' di Luca Guadagnino, primo (magnifico) film italiano dei tre nel concorso veneziano, e l'«originale» di Dario Argento si fermano forse al titolo, quello del regista di 'Call Me by Your Name' non è un remake di un «classico» (eccentrico) dell'horror uscito nel '77, l'anno della rivolta, ma una reinterpretazione che attraversa il nostro contemporaneo. Sballato col rosso lisergico di Tovoli e la musica dei Goblin il film di Argento vive dentro il suo tempo, nelle ossessioni dell'autore che sceglie - e non a caso - come ispirazione il romanzo del lucidissimo «mangiatore d'oppio» Thomas De Quincey - 'Suspiria De Profundis' - (leggere le sue 'Confessioni'), ovvero esoterismo e rivoluzione. Guadagnino è nato in quegli anni, la sua è una passione cinefila, forse qualcosa di più, un gesto d'amore per un film e un autore che definisce per lui «fondamentale» (...). Ma il suo universo poetico è un altro - de Quincey rivisto da Peter Whithead -'Terrorism Considered One the Fine Arts', citato in 'Le livre d'image' di Godard - e di quei tempi c'è il riflesso, la narrazione e la Storia dalle primissime sequenze che quasi risucchiano lo spettatore dentro allo schermo: la macchina da presa accarezza gli oggetti della casa americana di Susie, si muove tra i sussurri sepolti fino al capezzale della madre morente. Una santa? La frase iniziale ci avverte che non è così, la Madre è una figura complessa, ambigua, stratificata. La Madre è l'inconscio archetipo dell'immaginario dell'umanità. E qui, nella relazione (e nel conflitto) tra «reale» e inconscio interno e esterno, memoria e Storia, corpo e anima dispiega la sua trama questo 'Suspiria' (...). L'audio degli archivi si alterna alla colonna sonora potente di Thom Yorke. Il clima è plumbeo, da incubo, il mondo si sdoppia in una realtà underground che respira nel montaggio del complice di sempre Walter Fasano. Più Fassbinder (Germania in autunno) o Straub-Huillet non riconciliati che Argento - Guadagnino non utilizza come lente la nostalgia degli anni Settanta cerca piuttosto (e senza soccombere alla fascinazione) di ritrovare l'energia destabilizzante attraverso l'arte, l'esperienza politica e poetica di una sovversione dei linguaggi, generi codici che inietta nel suo cinema, nell'immagine elegante, raffinata che non ha bisogno di rivendicare il virtuosismo. Il corpo performativo, grande protagonista teorico di questo film a partire dalle esperienze artistiche dell'epoca è terreno di scontro, viscere, fluidi, ossa spezzate, «decostruzione» di generi, un corpo posseduto da una forza che è la sovversione di linguaggi e generi e codici, è segno di una lotta disperata e estrema, arma ultima contro l'oppressione (...). Il suo cinema dissemina, suggerisce, lavora in profondità, e nel caos delle streghe, in quel tempo oggi già lontano di cui nel presente rimangono solo tracce invisibili, sceglie la memoria contro l'oblio del presente, il cinema come invenzione, il gesto di filmare come resistenza alla for mattazione dell'immaginario." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 2 settembre 2018) "(...) la somma delle sue parti è superiore al film, che al di là dell'eccessiva lunghezza (152') offre le cose meno convincenti proprio nel suo cuore, nell'intreccio spezzato di danza e magia. Lacrime, tenebre e, appunto, sospiri, non c'è horror, al più uno splatter innocuo, non c'è nulla che disturbi davvero, e forse nemmeno stupisce: nei fatti, è come se a Guadagnino interessasse di più l'atmosfera, splendidamente e puntigliosamente rievocata, la sorellanza non stregata e la Storia anziché questa storia. Per dire, un suo film su quegli annidi RAF, su quel cortocircuito di creatività artistica e distruzione politica per quel che s'intuisce avrebbe le stimmate del capolavoro o giù di lì. Eccezion fatta per la 'sotto trama' del terapeuta, 'Suspiria' avvince quando è centrifugo anziché centripeto: è meglio nel sociale che nello 'psicomagico', meglio sotto il sole, ovvero pioggia e neve, che nelle tenebre. (...) Guadagnino conferma coraggio artistico, stravaganza poetica e maestria stilistica, e sono medaglie invidiabili. Ma l'horror, anche questo così spurio, non è il suo territorio o comunque non l'ha fatto suo." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 2 settembre 2018) "Complesso, stratificato, avvolgente e sorprendente. Luca Guadagnino, il nostro regista più contemporaneo, firma la sua opera più ambiziosa (...). Prendendo come canovaccio il film 'Suspiria', uno dei capolavori di Dario Argento, lo tradisce per tradurlo in un film attualissimo anche se ambientato tra le due Germanie nel 1977, proprio l'anno di uscita dell'originale del maestro dell'horror che, dopo aver venduto i diritti del film, è sembrato un po' pentirsene. Trasformando dunque la sceneggiatura scritta da Dario Argento con Daria Nicolodi (...) in un film che rispecchia anche un modo di vedere la storia contemporanea attraverso gli occhi di un regista di una generazione, quella del '71, che quell'epoca sostanzialmente non l'ha vissuta. Senza tralasciare anche dei riferimenti al nazismo, alle vite divise, alle storie d'amore finite sui cuori intagliati su un muro che superano però il tempo (attenzione alla sequenza finale dopo i titoli di coda). Ecco perché il ricercatissimo e sorprendente colore rosso dell'originale 'Suspiria' sbiadisce in quello di una grigissima Berlino (...). Film solo di donne (...), dove i pochi uomini vengono anche sbeffeggiati (...), sembra urlare «tremate, tremate, le streghe sono tornate» proprio nell'epoca giusta, quella in cui il #metoo è all'ordine del giorno. Ovviamente l'idea del film è precedente all'attualità di questo movimento ma certo sa raccontare bene, attraverso soprattutto lo strumento della danza, che è un vero e proprio personaggio del film (le coreografie sono di Damien Jalet), la forza delle donne quando riescono ad avere il potere (...). Esteticamente debitore di certi volti del cinema di Fassbinder, 'Suspiria' trova la sua forza travolgente nella messa in scena proprio delle sequenze più oniriche e irrazionali. Grazie a una consapevolezza del mezzo cinematografico di cui Guadagnino è maestro e dal montaggio di Walter Fasano che riscrive le dinamiche a cui siamo abituati nei cosiddetti film dell'orrore." (Pedro Armocida, 'Giornale - Controcultura', 2 settembre 2018) "(...) il 'Suspiria' di Luca Guadagnino, il più ambizioso e riuscito del suo irregolare far cinema (...), montato spesso a colpi di martello in atmosfere lugubri, ma assai realistiche, intanto non è né un omaggio né il remake del cult di Dario Argento. E uno sgambetto a quel film, una reinvenzione speculativa, un felice sfruttamento di quell'impianto onirico orrorifico liberato negli interessi di un altro autore. (...) I piani, orrore nel magico, terrore nel reale, forse si specchiano un po'a forza. Più chiaro invece il personale teatro della crudeltà di Guadagnino che riflette sul gesto della creatività." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 2 settembre 2018) "L'unico modo per affrontare il remake di 'Suspiria' di Argento era rifarlo daccapo. A modo di Luca Guadagnino e quindi con il piacere del bambino saggio che conosce l'efficacia di pietas, Storia, danza moderna (lì c'era il balletto classico qui l'impeto di Pina Bausch e il rigore ascetico di Marta Graham) con colonna sonora di Thom Yorke dei Radiohead che ti sussurra al cuore rispetto al martellamento nel cervello dei Goblin del capolavoro argentiano. Tilda Swinton in tre ruoli (...), Johnson in cinquanta sfumature di complessità e la star dell'originale Jessica Harper in un commovente cammeo. L'originale era uno sballo psichedelico. Questo una straziante, autocoscienza di gruppo." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 2 settembre 2018)