Sukiyaki Western Django

La rilettura nippo degli "spaghetti-movies" in Concorso. Bersaglio mancato da Takashi Miike, imballato nel Tarantino touch

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GIAPPONE 2007
I clan Genji ed Heike acerrimi nemici da centinaia d'anni, dai tempi della battaglia di Dannoura, sono entrambi coinvolti nella ricerca di un tesoro leggendario, nascosto in un piccolo villaggio di montagna. I conflitti non tardano a riaffacciarsi e sul posto hanno luogo una serie di combattimenti sanguinosi. A determinare la vittoria di uno o dell'altro clan potrebbe essere un misterioso pistolero errante e solitario, che porta su di sé le ferite di un dolore impossibile da dimenticare.
SCHEDA FILM

Regia: Takashi Miike

Attori: Hideaki Itô - Il pistolero errante, Kôichi Satô - Kiyomori, Yûsuke Iseya - Yoshitsune, Masanobu Andô - Yoichi, Renji Ishibashi - Benkei, Yoshino Kimura - Shiruka, Teruyuki Kagawa - Sceriffo, Masato Sakai - Shigemori, Shun Oguri - Akira, Quentin Tarantino - Piringo, Kaori Momoi - Ruriko

Soggetto: Takashi Miike, Masa Nakamura

Sceneggiatura: Takashi Miike, Masa Nakamura

Fotografia: Toyomichi Kurita

Musiche: Kôji Endô

Montaggio: Yasushi Shimamura

Scenografia: Takashi Sasaki

Costumi: Michiko Kitamura

Durata: 121

Colore: C

Genere: AZIONE WESTERN

Produzione: DENTSU PRODUCTIONS LTD., GENEON ENTERTAINMENT, SEDIC INTERNATIONAL INC., SONY PICTURES ENTERTAINMENT, TV ASAHI, TOEI COMPANY

NOTE
- PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 64. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2007).
CRITICA
Dalle note di regia: "Il duro creato dagli italiani mezzo secolo fa è tornato in patria, a Venezia, dopo una lunga odissea in Giappone. E' un film di questo tipo. Sarei onorato se venisse accolto gentilmente dal pubblico italiano."

"Regista infaticabile (in una quindicina d'anni ha diretto più di 70 film), Miike (questo è il cognome) si è costruito la fama di maestro dell'horror nipponico, ma anche di grande appassionato di cinema popolare italiano. A cominciare proprio dagli spaghetti western (il suo titolo di culto è 'Un dollaro bucato' di Giorgio Ferroni). Nessuno si è stupito, allora, che decidesse di mettere in cantiere un suo personalissimo omaggio al 'Django' di Sergio Corbucci e Franco Nero che Muller ha messo in concorso con autentico sprezzo del pericolo. L'operazione di Miike è colta e infantile allo stesso tempo. (...) Parlato in un improbabile inglese con accento nipponico (con Tarantino che invece si esibisce in alcune battute giapponesi con evidente inflessione statunitense) mescola e ingigantisce tutti i possibili luoghi canonici del genere, dall'abilità nelle sparatorie al sadismo nelle torture, dalle mitologie samurai al sangue che sprizza copiosissimo e al fango in cui non si può che agonizzare. Sono evidenti citazioni-omaggio al personaggio inventato da Corbucci lo spolverino lungo fino ai piedi del protagonista, la bara con la mitragliatrice dentro, il pestaggio in cui l'eroe ci lascia quasi la pelle, ma i fan hanno trovato anche richiami al 'Sartana' di Parolini e naturalmente a Sergio Leone, in un guazzabuglio di influenze e rimandi che ben si adattano al gusto variegato e per niente raffinato del sukyiaky, il popolaresco piatto di carne, tofu e verdure citato nel titolo." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 6 settembre 2007)

"Piaccia o dispiaccia, l'inclusione in concorso di un film bizzarro, cult, 'punk attitude' come 'Sukyiaki western Django' è un segno vistoso che i tempi sono cambiati (...) Diretto dal prometeico Takashi Miike il film è un delirio policromo che celebra, in una dimensione spazio-temporale fantastica, le nozze tra l'heike monogatari, il racconto epico giapponese, e il western; più precisamente lo spaghetti-western, sostituendo al nome del piatto tipico italiano quello giapponese del titolo. La cui ricetta è piena di componenti quanto quella del film (...) Ambientato nel dodicesimo secolo durante la guerra di Genpei, il film è una sorta di remake di 'Djiango' di Sergio Corbucci (del 1962, con Franco Nero) pieno zeppo di citazioni cinefile, e non solo di film western. L'immaginario della Frontiera incontra l'iconografia dei fumetti manga, la dinamica dei videogame e i sosia di Rambo e del Gollum, nel più impuro stile del grande Miike." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 6 settembre 2007)

"Nel grande mercato globale del cinema per generi, 'Western Django' ha il sapore dell'esotismo indotto di un McSushi, anche se è più corretto chiamarlo McTofu. Di base è un western, con ingredienti nord-americani, altri giapponesi, scritto sul menù in lingua inglese e un mare di salsine colorate." (Luca Mastrantonio, 'Il Riformista', 6 settembre 2007)

"Due film in concorso, entrambi modesti, da non sprecarci un biglietto a pagamento. In 'Sukiyaki Western Django' il regista Miike Takashi tenta con colori chiassosi e con gran strepito di vocianti di imitare un film di Sergio Corbucci incentrato sul personaggio di Django. (...) Nello sgangherato racconto si susseguono scontri a pugni nudi, con spade e altri oggetti di offesa. Sangue e sangue. Morti ammazzati. Qualche gag: un uovo che diresti magico che viene spezzato in una ciotola e serve da condimento a certe strane verdure, una spada trattenuta dalle palme di due mani, una danza esotica che si conclude con la ragazza che estrae dalla gola dei campanellini, e via dicendo." (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 6 settembre 2007)

"'Sukiyaki Western Django' è un chiaro omaggio a Corbucci e al popolare piatto di carne giapponese. Tra saloon e shukuba machi (l'ufficio postale giapponese), in una scenografia metà polvere del west metà teatro allegorico, con una colonna sonora in cui riecheggia il fischietto di Morricone, combattono una guerra senza tempo le fazioni dei bianchi e dei rossi. In mezzo, il pistolero solitario pronto a vendere la sua ineguagliabile pistola al miglior offerente. Come Tarantino, anche Miike omaggia la sua infanzia passata davanti ai film di Ferroni, Corbucci e Leone. Un divertissement in cui due culture distanti si incontrano, scambiano mitologie e desideri. Bello che questo passi attraverso il cinema." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 6 settembre 2007)

Il meccanismo tipico dello spaghetti-western (pistolero solitario arriva in una città divisa fra clan rivali) viene spostato nel Giappone dei samurai, ma tutti parlano inglese e tutti sparano a tutti senza alcun discernimento. Takashi ci ha spiegato che gli spaghetti-western in Giappone si chiamano 'makaroni-western', che lui li vedeva da bambino (è del 1960) perché il padre glieli mostrava in tv e gli regalava colt-giocattolo e poncho taglia extra-small. Se poi uno cresce e diventa un regista di horror super-sanguinolenti, c'è un perché." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 6 settembre 2007)

"Eppure, nonostante gli artifici tragico-cornici, le citazioni sparate più delle pallottole, il Django jap è visualmente così potente da liquefare la superficice post-moderna. Una violenza stilizzata che astrae e distrae la percezione, allenta l'emozione dal cadavere della bellissima donna infilzata da una lancia o del ragazzino che perde la voce e la vista sulla scena del massacro, e la trasferisce in altri set dove la guerra chiede visibilità e conoscenza. Un po' come ha fatto Brian De Palma per rendere i veri crimini dell'Iraq manipolando i fotogrammi. E' l'arte della falsificazione, l'haiku della morte che colora lo schermo, un immenso affresco della carneficina umana nei secoli dei secoli." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 6 settembre 2007)

"Lo schema è dei più classici: due clan rivali da anni, uno sceriffo succube ora degli uni ora degli altri, un tesoro da conquistare, un pistolero straniero dei cui servigi ciascuno dei due gruppi vorrebbe valersi. Il tutto rappresentato all'insegna dell'iperbole, grida, spari, sonoro rimbombante, corpi a corpo furiosi, sangue a fiotti, violenze efferatissime, immagini infiammate, esasperate, dilatate, con gran dovizia di azioni vorticose cui, intenzionalmente, la trama piuttosto labile non concede mai soste. Un macchinone a colpi di grancassa, spesso, in qualche parodia, anche divertente. È giusto un film così averlo visto a questa Mostra: perché fa riconoscere un genere, imitato volutamente al diapason. Se arriverà da noi, avrà platee acclamanti." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 6 settembre 2007)