Cina, 1660. I Manciuriani hanno fondato la potente dinastia Ching e hanno preso in mano il comando dell'intero paese. All'interno delle varie comunità cinesi regna il malcontento e si accendono i focolai di diverse sommosse, capeggiate dai Maestri delle arti marziali. Per mantenere l'ordine, il principe Dokado decide di bandire la pratica delle arti marziali e assume, per far rispettare la legge, il comandante Vento di fuoco, che a sua volta progetta di distruggere il Villaggio delle Arti Marziali, un paesino di pescatori, in apparenza tranquillo, dove in realtà si riuniscono i membri della Società del Paradiso e della Terra, nemica della dinastia Ching e dei Manciuriani. Fu Qingzu, un monaco tao, esperto anche lui nelle arti marziali, viene a conoscenza del piano di Vento di fuoco e con l'aiuto dei due giovani Wu Yuanyin e Han Zhibang si reca a chiedere consiglio al vecchio saggio Bagliore nell'ombra, un Maestro di spada che vive sul Monte Paradiso insieme ai suoi quattro discepoli. Il vecchio saggio decide di aiutare i tre guerrieri e oltre a donargli le sette spade più preziose che abbia mai forgiato ordina ai suoi allievi di prendere parte alla spedizione. Inizia così l'avventura della compagnia delle 'Sette Spade'...
SCHEDA FILM
Regia: Tsui Hark
Attori: Donnie Yen - Chu Zhao Nan, Sun Honglei - Fire-Wind, Charlie Yeung - Wu Yuanyin, Michael Wong - Principe Dokado, Liu Chia-Liang - Fu Qing Ju, Leon Lai - Yang Yun Chong, Lu Yi - Han Zhi Ban, Kim So-Yeon - Luzhu, Dai Liwu - Xin Long Zi, Duncan Lai - Mulang, Zhang Jingchu - Liu Yufang
Soggetto: Liang Yusheng
Sceneggiatura: Tsui Hark, Cheung Chi-Sing, Chun Tin-Nam
Fotografia: Keung Kwok-Man
Musiche: Kenji Kawai
Montaggio: Angie Lam
Scenografia: Eddie Wong
Costumi: Poon Wing-Yan
Effetti: Peter Webb
Durata: 144
Colore: C
Genere: AZIONE
Specifiche tecniche: 35 MM
Tratto da: romanzo "I sette spadaccini del Tianshan" di Liang Yusheng
Produzione: FILM WORKSHOP LTD.
Distribuzione: MEDUSA
Data uscita: 2005-09-02
NOTE
- FUORI CONCORSO ALLA 62MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2005).
CRITICA
"Pensato per un mercato globale, violentemente romantico, pieno di clamore e di furia, costellato di colpi di scena a ripetizione, coreografato magistralmente dal regista delle scene d'azione Lau Kar Leung, 'Seven Swords' è un 'Guerre Stellari' del diciassettesimo secolo, un 'Signore degli anelli' ambientato in Oriente anziché nella Terra di Mezzo, ma altrettanto suscettibile di sviluppi e implicazioni inattese. Che la globalizzazione sia il nume tutelare di questo kolossal è indiscutibile: sia per le scelte produttive, che coinvolgono in un sol colpo Cina, Corea e Hong Kong, sia per quelle degli attori, tutti belli e famosi nei loro Paesi d'origine, sia per la contaminazione di leggende e racconti popolari orientali e occidentali. Commentando il suo fastoso e abbagliante Eastern, però, Tsui Hark ribalta con abilità l'argomento: proprio perché abitiamo un mondo globalizzato, perché ormai facciano tutti la stessa vita, il pubblico si appassiona a film come questo. Dove sopravvivono le idee di giustizia e di amore, di onore e di eroismo che sonnecchiano ancora, malgrado tutto, nelle nostre anime omologate dal consumismo planetario. E che trovano, nei sette eroi, qualcuno ancora pronto a impugnare spade per difenderle". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 1 settembre 2005)
"Un film pieno di citazioni che però non somiglia a nessun altro. Una storia tutta duelli e arti marziali nello sitle del wuxiapian che ignora ostentatamente gli effetti speciali ora tanto di moda per tornare in certo modo alla purezza delle origini. Insomma un film di Tsui Hark, regista e produttore mitico per gli esperti d'Asia ma confinato in Italia, finora, nel circuito dei festival. Il titolo scelto per aprire Venezia dal cinefilo più filocinese d'Italia, 'Seven Swords' (fuori concorso) è un labirinto di stili e rimandi che delizierà gli iniziati e speriamo non solo loro, essendo innanzitutto uno spettacolone fragoroso e sorprendente; un centone carnevalesco e visivamente travolgente di spunti arciclassici e allusioni nemmeno troppo velate al presente, con minoranze umiliate e sassaiole stile Intifada; una sarabanda di duelli e massacri che sfidano non solo le leggi fisiche ma la nostra stessa capacità di comprensione. Perché Tsui Hark lavora sulla velocità, sui dettagli, sull'iperbole, e c'è sempre un movimento di macchina sconcertante, un personaggio che entra o esce di scena da un angolo imprevisto rimettendo in gioco tutto, la storia, le sue regole, lo spazio e il tempo del racconto frammentato e distorto in una cascata di flashback." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 1 settembre 2005)
"Si alza il sipario sulla 62esima Mostra e cosa vediamo nel film inaugurale 'Seven Swords'? In un Oriente tra storia e leggenda sette guerrieri si battono per difendere un villaggio aggredito dai nemici. Inevitabile una sensazione di dejà vu per chi ricorda, proprio qui al Lido 51 anni fa, 'I Sette Samurai' di Akira Kurosawa, poco dopo riproposto in salsa western come 'I Magnifici Sette'. Tsui Hark, regista di Hong Kong, non si è sforzato a variare la trama, perfino il numero dei paladini è lo stesso: poteva metterne cinque o otto, ma, no, sono di nuovo sette. Tranne che fra loro non c'è un Toshiro Mifune a conquistarci con la sua personalità. Questi possessori di spade magiche alla Excalibur si assomigliano tanto da non avere neppure un nome, vengono chiamati con i numeri d'ordine ed è facile confonderli. Ha più risalto il supercattivo, ovvero il divo asiatico Sung Hong-Lei, un mercenario che terrorizza il paese tagliando teste e vendendole un tanto l'una all'imperatore. (?) Abbiamo appena finito di digerire lo 'spaghetti western' che ora si profila una scorpacciata di 'wuxia', la versione postmoderna del 'film spada'. Con l'aggravante che Tsui Hark, cineasta di rispettabile mestiere, non è certo Sergio Leone". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 1 settembre 2005)
"Nomi, nomignoli e dialoghi, volenterosamente decrittati dai sottotitoli di 'Seven Swords' contribuiscono a rintronare lo spettatore già bombardato da una sinfonia di cavalcate, assalti a mano armata, massacri, razzie, esecuzioni, prodigi celesti e duelli a base di voli e piroette d'acrobata. Sarà un difetto personale, poi, ma anche le fisionomie del pattuglione di valenti attori ingaggiati dal venerato caposcuola hongkonghese Tsui Hark finiscono con il confondersi e i centoquarantaquattro minuti della proiezione inaugurale hanno lasciato sul campo quasi altrettanti morti e feriti delle scorrerie seicentesche di cui sopra. Tratto da un classico della letteratura wuxia (cappa e spada), l'epico affresco risponde, certo, benissimo ai canoni del genere: amore, tradimenti, eroismo, arti marziali e il mulinello ininterrotto delle più fantasiose armi da taglio che si possano immaginare sono sciorinati nella magnificenza dei costumi e dei colori, ma quello che manca è uno spirito unitario, una scintilla emotiva, la chiave umanistica familiare a vecchi e nuovi cultori. Con tutto il dovuto rispetto, infatti, solo un malinteso riflesso di soggezione multiculturale potrebbe far dimenticare la sfilza di cult-movies che vanno da 'I sette samurai' a 'Il mucchio selvaggio': Tsui Hark è bravissimo, in senso tecnico e spettacolare, ma non è colpa nostra (né della nostra età) se abbiamo avuto a che fare con signori che si chiamavano Kurosawa ed Ejsenstein, Sam Peckinpah e
John Milius." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 1 settembre 2005)