Lee Holloway, giovane e timida ex paziente di un istituto per cure mentali, dper sfuggire all'alcolismo del padre molto amato, comincia a cercarsi un lavoro. Quando le frustrazioni sono superiori alle sue forze si dedica al suo passatempo: infliggersi dolore nei modi più svariati. Terminato con successo un corso di dattilografia, Lee viene assunta come segretaria dal freddo ed esigente avvocato Edward Grey, nel cui sadismo sembra aver trovato proprio quello che fa per lei...
SCHEDA FILM
Regia: Steven Shainberg
Attori: Maggie Gyllenhaal - Lee Holloway, James Spader - E. Edward Grey, Jeremy Davies - Peter, Patrick Bauchau - Dr. Twardon, Stephen McHattie - Burt Holloway, Oz Perkins - Jonathan, Jessica Tuck - Tricia O'Connor, Lacey Kohl - Louisa, Sabrina Grdevich - Allison, Mary Joy - Sylvia, Julene Renee - Jessica, Lily Knight - Associato, Amy Locane - Sorella Di Lee, Lesley Ann Warren - Joan Holloway, Michael Mantell - Stewart
Soggetto: Mary Gaitskill
Sceneggiatura: Steven Shainberg, Erin Cressida Wilson
Fotografia: Steven Fierberg
Musiche: Angelo Badalamenti
Montaggio: Pam Wise
Scenografia: Amy Danger
Costumi: Marjorie Bowers
Effetti: Big Film Design
Durata: 104
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Tratto da: DAL RACCONTO DI MARY GAITSKILL
Produzione: DOUBLE A FILMS - SLOUGHPOND - TWOPOUND BAGS PRODUCTIONS
Distribuzione: EAGLE PICTURES
Data uscita: 2003-04-04
NOTE
- IN CONCORSO AL FESTIVAL DI LOCARNO 2002
CRITICA
"Shainberg prende la cosa con seria ironia. Così, senza troppi dettagli, dà ai suoi protagonisti (bravissimi) un minimo di retroterra psicologico. (...) Naturalmente siamo lontani dal verismo allarmante del severo 'La pianista', il film-choc con Isabelle Huppert dell'austriaco Michael Haneke. Ma anche dalla psicopatologia dell'America profonda abbozzata nei film di Todd Solondz con sconcerto e pietà ('Fuga dalla scuola media', 'Happiness', 'Storytelling'). 'Secretary' parla infatti, volutamente, un linguaggio assai medio, limitandosi semmai a incrociare i generi (l'ufficio simil-horror di Spader) e le aspettative dello spettatore. Ma pur giocando la carta di un divertito paradosso, non bara e non mistifica. Portandoci a sorpresa verso un happy end al limite dell'assurdo che è al tempo stesso la parodia di ogni possibile lieto fine". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 4 aprile 2003)
"Tratto da un racconto di Mary Gaitskill, nonostante le chiacchiere del regista il film non è affatto metaforico, non presume di fornire filosofie sul sesso, sull'amore e sul potere, non arriva a dare lezioni etiche. È una commedia divertente, carina, lieve, senza nulla di inquietante né di cupo, interpretata benissimo: Maggie Gyllenhaal, che compare anche ne 'Il ladro di orchidee', è una vera rivelazione". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 4 aprile 2003)
"Invece di scrivere un saggio o comporre un patinato libro fotografico sulla componente sadomasochista dei rapporti umani, Shainberg ha diretto un film sugli spostamenti progressivi dell'intimità e del potere tra assistente e assistito, nella forma professionale della segretaria e dell'avvocato, riuscendo a restituire, nel paradosso erotico, la verità della psiche. (...) La scoperta della compatibilità dei due è divertente e fondata sulla grande disponibilità degli attori, che hanno anche il fisico del ruolo: la Gyllenhall, sottomessa a partire dallo sguardo e dagli abiti, è un'energia pronta a esplodere; Spader, dopo anni di carriera, ha trovato il ruolo che corrisponde alla sua faccina da sadico. La misura è il pregio del film, premiato al Sundance". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 5 aprile 2003)
"Fare un film sul mobbing aziendale o sulle prevaricazioni in ufficio, però, è l'ultima delle intenzioni di Shainberg. (...) Tratto dal racconto omonimo di Mary Gaitskill, Secretary ribalta con brio paradossale un argomento tradizionalmente drammatico, spezzando una lancia a favore delle pulsioni sessuali meno conformiste, purché esercitate tra adulti consenzienti. La protagonista femminile è spiritosa; James Spader (altra eredità del cinema soderberghiano) si sforza di esserlo altrettanto, ma gigioneggia troppo". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 5 aprile 2003)