Fenix è un bimbetto che fa il piccolo mago in un circo messicano, dove il padre Orgo, un americano volgare e sempre in foia, lanciatore di coltelli, ha per amante la donna tatuata, con cui fa numero, e per moglie Concha, bellissima quanto gelosissima della rivale. In più Concha è una fanatica che ha promosso il culto religioso di una giovinetta che, per salvare la propria purezza, venne mutilata delle braccia da un violento aggressore, morendo in un lago di sangue. Fenix ricorda non solo il giorno in cui la polizia distrusse la baracca-santuario voluta dalla madre, ma anche la terribile notte in cui Concha, scorgendo l'ennesimo incontro amoroso tra il marito e l'amante, dopo aver rinchiuso il piccolo in una roulotte, evirò Orgo il quale, sanguinante e prima di suicidarsi, amputò delle braccia la moglie. Colpito da choc, perduta Alma (una adolescente sordomuta danzatrice sulla corda, cui è affezionato e che la donna tatuata, fuggendo dal circo porta via con sé) Fenix, con negli occhi e nella mente sconvolta ricordi e visioni da incubo, resta fino a vent'anni in manicomio. Poi la madre lo attira a sé. Dotata di un potere totale sul ragazzo, essa mette su un numero, una strana pantomima per far soldi (il circo non esiste più): Concha è il corpo e, nascosto dietro di lei, Fenix le presta braccia e mani, così da formare un unico e ambiguo personaggio. La fusione tra i due è così perfetta che lei può lavorare a maglia e suonare il pianoforte. La donna vive ancora non solo nell'odio per il marito che l'ha atrocemente mutilata, ma nel clima fanatico della propria memoria per quella ragazzina seviziata, che un tempo venerava davanti a una piscina piena di acqua rossa. E' in questo clima che essa condiziona e travolge il figlio, impedendogli di amare, di essere libero e spingendolo a pugnalare femmine. Fenix uccide così, brutalmente, la donna tatuata, la quale è diventata una prostituta di infima classe, che affida a chiunque Alma, ormai cresciuta e nauseata dalla propria schiavitù, fino alla fuga. Felix la ritrova, l'affetto e i ricordi fra i due sono restati puri e perfetti, forse lei potrebbe salvarne la mente e riscattarne la natura e l'anima di uomo. Ma lui dovrà uccidere altre volte, anche un transessuale che si è portato in casa, seppellire sotto la calce le proprie vittime, prima di eliminare perfino quella madre carnefice e pazza.
SCHEDA FILM
Regia: Alejandro Jodorowsky
Attori: Axel Jodorowsky - Fenix, Blanca Guerra - Concha, Guy Stockwell - Orgo, Thelma Tixou - Donna tatuata, Sabrina Dennison - Alma, Adan Jodorowsky - Fenix giovane, Faviola Elenka Tapia - Alma giovane, Ma. De Jesus Aranzabal - Prostituta, Teo Jodorowsky - Protettore prostituta, Jesús Juárez - Aladin, Sergio Bustamante - Monsignor, Gloria Contreras - Rubi, Zonia Rangel Mora - Trini
Soggetto: Alejandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Roberto Leoni, Alejandro Jodorowsky, Claudio Argento
Fotografia: Daniele Nannuzzi
Musiche: Simon Boswell
Montaggio: Mauro Bonanni
Scenografia: Alejandro Luna
Arredamento: Enrique Estévez
Costumi: Tolita Figueroa
Effetti: Marcelino Pacheco
Durata: 119
Colore: C
Genere: DRAMMATICO HORROR FANTASY
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Produzione: CLAUDIO ARGENTO PER INTERSOUND, PRODUCTORA FÍLMICA REAL
Distribuzione: CI.DI.F. (1989) - DOMOVIDEO
CRITICA
"Dedicato al culto di una vergine martire dalle braccia mozzate, 'Santa Sangre', girato con ampi movimenti di macchina a Città di Messico ma ambientato in un luogo dell'inconscio, ci riporta nella fantasia macabra di un autore che invecchia, evita la saggezza e fatica a rinnovarsi e, per l'occasione, ha coinvolto nella truculenta vicenda due dei suoi cinque figli. Il film ha naturalmente i suoi momenti di gloria fantastica, soprattutto quando l'humour, seppur nero, riesce a correggere il delirio non stop, ma il talento di Jodorowsky è di quelli che saziano presto, prima della frutta. Battendo la grancassa del subconscio, l'autore fa andata e ritorno dal macabro all'ironico, ma 'Santa Sangre' è come una torta troppo farcita e per cui non si dovrebbero nominare invano i nomi sacri di Fellini e Buñuel. Rimangono sprazzi indovinati, nel curioso rapporto psicosomatico tra madre e figlio, qualche sfarzo scenografico, un po' di musica popolare da ultimo dell'anno, la bella fotografia alata di Daniele Nannuzzi in stato di grazia coloristica. Mancano invece i raccordi di scrittura, e nessun stereotipo ci viene risparmiato, garante il tragicomico mondo del circo con tutti i suoi clown, i tatuaggi, le donne cannone, le Saraghine, i nani, gli handicappati e l'imbarazzante convinzione che il mondo va visto sempre e tutto a testa in giù, all'altezza degli incubi del regista." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 22 Gennaio 1990)
"Certo, lo stile Jodorowsky c'è ancora (la dilatazione delle invenzioni figurative, la ricerca di effetti vistosi, la gioia dell'iterazione), ma qui più che altrove i compiacimenti formali tendono troppo a lacerare se non a offendere il gusto, i colori stridono, il sangue, sia quello del titolo sia quello dei tanti uccisi ad ogni momento dell'azione, elefante compreso, scorre troppo a fiotti, e unicamente per portare le emozioni (o il raccapriccio) fino al diapason. Con il rischio di scadere nel melodramma. A qualcosa, comunque, si può ancora guardare con interesse. Nell'ambito, almeno, delle ricerche di linguaggio. Ma 'La Montagna sacra' era più nuova, il gioco, qui, invece, mostra la corda." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 25 Novembre 1989)
"Su un simile canovaccio, complice la bella, coloratissima fotografia di Daniele Nannuzzi, il regista Alejandro Jodorowsky si muove perfettamente a proprio agio e mescola onirismo e psicanalisi, sincretismo religioso e spunti surreali, humour nero e senso macabro. La sua galleria di mostri potrebbe suscitare l'invidia di Federico Fellini; i bagni di sangue con dettagli in primo piano fare la delizia di qualche maestro dell'horror; e il delirio edipico suonare in sberleffo a recenti edificanti quadretti familiari di moda negli Stati Uniti. Ma l'eccesso di aberrazione e l'esasperazione divistica ingenerano sazietà e il progetto di 'épater les bourgeois' all'alba degli Anni Novanta appare non poco anacronistico." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 3 Marzo 1990)