Il decenne Krishna, abbandonato dal circo ambulante presso cui fa l'inserviente, si reca clandestinamente a Bombay sperando di poter guadagnare cinquecento rupie e tornare poi al paese dalla madre. Giunto in città, Krishna si trova a contatto con un mondo assordante e convulso dove tutti, e soprattutto tanti ragazzi, lottano disperatamente per la sopravvivenza. Divenuto "chaipau", portatore di tè, Krishna impara a conoscere la strada ed i suoi abitanti: vagabondi, delinquenti minorili, prostitute, protettori, spacciatori di droga, ladri. Fa amicizia con Chillum, un tossicodipendente che salva dal suicidio (anche se questi successivamente morirà, dopo aver derubato Krishna di tutti i suoi risparmi); si affeziona a Manju, la piccola figlia di Rekha, una prostituta sfruttata ignobilmente da Baba; tenta di aiutare Sola Saal, una ragazza avviata alla prostituzione. Rinchiuso in un istituto correzionale e riuscito a fuggire, Krishna giunge a casa di Rekna nel momento in cui questa ha un diverbio con Baba: interviene e, per salvarla, lo uccide.
SCHEDA FILM
Regia: Mira Nair
Attori: Shafik Syed - Krishna, Mansa Vithal - Manju, Chnada Sharma - Sola Saal, Raghubir Yadan - Chillum, Aneeta Kanwar - Rekha, Nana Patekar - Baba
Soggetto: Mira Nair, Sooni Taraporevala
Sceneggiatura: Sooni Taraporevala
Fotografia: Sandi Sissel
Musiche: L. Subramaniam
Montaggio: Barry Alexander Brown
Scenografia: Mitch Epstein
Durata: 113
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Produzione: MIRABAI FILMS, NATIONAL FILM DEVELOPMENT CORPORATION OF INDIA, CHANNEL FOUR TELEVISION, CADRAGE, DOORDARSHAN, LA SEPT CINÉMA, FORUM FILMS
Distribuzione: ACADEMY - DOMOVIDEO, MULTIGRAM
NOTE
- CANDIDATO ALL'OSCAR 1988 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
- CAMÉRA D'OR E PREMIO DEL PUBBLICO AL 41MO FESTIVAL DI CANNES (1988).
CRITICA
"Pensato con la coscienza a nudo (l'idea venne alla regista un giorno in cui, su un taxi, fu circondata dalla miseria di una tribù di ragazzini), e poi rivisto alla luce di un linguaggio cinematograficamente espressivo e ricco di chiaroscuri, il film è di semplice e chiara, lettura, non si agghinda con metafore, si adagia nel naturalismo e ne ottiene la forza primitiva, guardandoci negli occhi attraverso quelli straordinari del piccolo Shafiq Syed, che riempie il film del suo sguardo carico di pietà e ce lo offre in prestito per due ore, là dove cinema e vita per una volta si confondono e si realizzano." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 7 Febbraio 1989)
"Con un intenso e premiato passato di documentarista Mira Nair (1957) fa il suo esordio nel lungometraggio con una maturità narrativa e un brio registico ammirevoli anche se i suoi meriti vanno spartiti con un'altra donna, la sceneggiatrice Sooni Taraporevala. Come ogni film serio che adotta la poetica e i metodi del cinema neorealistico, 'Salaam Bombay!' nasce da un meticoloso lavoro di ricerca, documentazione e addestramento, specialmente su una ventina di ragazzini, raccolti nelle strade, nei riformatori e nelle carceri tra cui spicca il bellissimo protagonista Shafid Syed, un volto che non si dimentica. Basterebbero le sequenze del riformatorio e quella della festa di Ganesh, il dio dalla testa d'elefante, durante la quale il piccolo Krishna e Rekha sono divisi dalla folla esultante, per lasciare un ricordo. Bisogna, però, aggiungere che, evitando quasi sempre le trappole del patetico e del poverismo, il film ha, specialmente nella seconda parte un ritmo e una sorta di brio narrativo che sono all'origine del suo successo. A Cannes Mira Nair dichiarò di aver voluto celebrare lo spirito di sopravvivenza dei bambini delle strade di Bombay, il loro umorismo, la dignità, l'energia in un mondo che gli ha rapinato l'infanzia. Ci è riuscita. 'Salaam Bombay!' è dedicato a loro." (Morando Morandini, 'Il Giorno', 7 Febbraio 1989)
"La struttura narrativa, pur costruita in modo privilegiato sui casi del ragazzetto protagonista, spazia con molta libertà, ma anche con molto ordine, su tutto quel desolato universo di uomini e di cose, proponendone da vicino gli aspetti più sconsolanti e straziati: con una pietà però sempre asciugata dal pudore, per non dire mai troppo né in modo troppo risentito. E con modi di rappresentazione che, pur non avendo le asciuttezze di Mrinal Sen, riescono sempre a darsi dei toni quasi sommessi, alla ricerca molto più della semplice evidenza che non del suo commento; fuggendo, anche nel pianto, il patetico, evitando, anche quando nei fatti si fa avanti il melodramma, il sentimentalismo scoperto. Un film raro, persino nel cinema indiano così attento, nei suoi autori migliori, alle realtà che lo determinano, e soprattutto un film sempre sincero e senza enfasi. Come era proprio Sciuscià. Di cui ripete gli stessi schemi di allora; che purtroppo, per l'India, sono cronaca di oggi." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 22 Dicembre 1988)