La sera del 10 marzo 1948 scomparve nel nulla Placido Rizzotto, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Per uno strano scherzo del destino, attorno a questo caso ci fu una convergenza di giovani uomini che diventarono importanti: da una parte Carlo Alberto Dalla Chiesa, il capitano dei carabinieri che fece le indagini e arrestò gli assassini di Rizzotto, e Pio La Torre, giovane studente universitario che sostituì Rizzotto alla guida dei contadini. E dall'altra, l'assassino Luciano Liggio e i suoi uomini che arriveranno ai vertici della mafia. Il film vuole raccontare un sogno spezzato, nella certezza che ogni manifestazione di coraggio, ogni difesa dei deboli, ogni sentimento di dignità umana meriti di essere narrato.
TRAMA LUNGA
Finita la seconda guerra mondiale, il giovane Placido Rizzotto fa ritorno al proprio paese: Corleone in provincia di Agrigento. I contadini traggono l'unico sostentamento dal lavoro duro nei campi, ma sui terreni le famiglie mafiose esercitano un controllo quasi totale, favorendo i grandi proprietari terrieri e impedendo ai lavoratori di gestire in proprio l'attività. Ben presto Placido capisce che è opportuno impegnarsi direttamente per cercare di cambiare qualcosa in questa situazione. Mentre il padre cerca di dissuaderlo e si fa accompagnare al lavoro nei campi, Placido comincia a frequentare la locale Camera del Lavoro e a spronare i contadini all'azione. Nel frattempo ritrova Lia, la ragazza che lo ha aspettato e che a sua volta, presa dalla paura, gli chiede di scappare insieme. Il 10 marzo 1948 Placido guida i contadini all'occupazione delle terre. Poi Luciano Liggio, detto lo sciancato, entra in casa di Lia e, con la complicità della madre di lei, la violenta. Quella sera stessa, mentre percorre le strade di Corleone, Placido scompare nel buio. A casa i genitori lo aspettano invano. La mattina dopo il vecchio padre Carmine va dai carabinieri a denunciare la scomparsa. Cominciano indagini difficili tra omertà e depistaggi. Altre morti violente si succedono. Finché Pasquale Criscione, un gregario, comincia a raccontare i fatti. Seguono altre confessioni, in seguito alle quali vengono arrestati alcuni colpevoli, tra cui Luciano Liggio. Poco tempo dopo, finito un comizio, Pio La Torre, sindacalista, vede il capitano dei carabinieri che ha condotto le indagini e va a ringraziarlo: è Carlo Alberto Dalla Chiesa.
SCHEDA FILM
Regia: Pasquale Scimeca
Attori: Marcello Mazzarella - Placido Rizzotto, Vincenzo Albanese - Lo Sciancato, Carmelo Di Mazzarelli - Carmelo Rizzotto, Gioia Spaziani - Lia, Arturo Todaro - Capitano Dalla Chiesa, Franco Catalano - Giovanni Pasqua, Biagio Barone - Pasquale Criscione, Melino Imparato, Antonio Bevilacqua, Caterina Di Francesca, Liliana Abbene, Mario Rivera, Giuseppe Gennusa
Soggetto: Pasquale Scimeca
Sceneggiatura: Pasquale Scimeca
Fotografia: Pasquale Mari
Musiche: Agricantus
Montaggio: Babak Karimi
Scenografia: Luisa Taravella
Costumi: Grazia Colombini
Durata: 110
Colore: C
Genere: DRAMMATICO POLIZIESCO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:2,35)
Produzione: ARBASH FILM (ALIMINUSA, PA), RAICINEMAFICTION
Distribuzione: ISTITUTO LUCE (2000), ARBASH FILM, DNC
NOTE
PRESENTATO ALLA 57 MOSTRA DI VENEZIA (2000) IN "CINEMA DEL PRESENTE"
CRITICA
"Con una materia tanto incandescente poteva uscirne un'ennesima similpiovra o uno scontato docudrama alla Giuseppe Ferrara. Trappole che Pasquale Scimeca ha evitato, scegliendo una strada ardua e bellissima: raccontare la storia di Placido, 'uomo dei sogni', alternando le cadenze epiche del teatro dei pupi al cinema di poesia di Pasolini allo straniamento brechtiano. Ma senza ombra di intellettualismo e con uno straordinario lavoro su e con gli attori. Tutti, tranne il siculo-parigino Marcello Mozzarella, semisconosciuti". (Sandro Rezoagli, 'Ciak', ottobre 2000)
"(...) E' una commistione indovinata di generi nostri che affondano le radici nelle favole vere dei cantastorie, nelle dolorose sceneggiate, nella denuncia del documentario, girato in interni ben visibili, come si usava una volta in tv (...) Scimeca ci offre una cronaca ma anche un ripensamento, perfino una metafora del povero che lotta, una ballata, un'opera tragica dei pupi fatta di realismo magico, ma anche di antropologia di quella terra, nell'arco espressivo che da Rosi arriva ai 'bravi ragazzi' di Scorsese". (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 28 ottobre 2000)
"Tutto suona autentico in 'Placido Rizzotto'. E tutto sa al contempo di mito: l'amore impossibile di Rizzotto e di una nipote di Liggio; la bara del pastorello ucciso, portata a spalla dal padre gigantesco; il rapimento stesso del protagonista. 'I film di mafia sono i nostri western', dice Scimeca. E come i western, o le fiabe della tradizione orale, dovrebbero far parte della nostra memoria collettiva. Anche se a raccontare certe favole oggi si resta soli, come si vede nell'ultima, struggente inquadratura". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 ottobre 2000)
Dalle note di regia: "Quello che ho cercato di cogliere con questo film è la frattura che si determina tra le generazioni in certe particolari condizioni della storia. Padri e figli che si parlano e non si capiscono più. Sconvolgimenti sociali (e politici) che scuotono dalle fondamenta ordini secolari costituiti, fin dentro le stesse famiglie."
"La condanna a morte di Placido è eseguita con tutta la truculenta dell'odio personale da Lucio Liggio, detto lo sciancato, che desiderava Lia da molto tempo e, prima del delitto, l'ha violentata. E' a proposito di questo episodio che si affaccia la prima riserva sul film - bello, potente e ben diretto - di Scimeca. Con un'inattesa ambiguità, la sequenza dimostra la ragazza che prova piacere allo stupro, secondo un vecchio pregiudizio che speravamo sepolto. Gli altri appunti che si devono muovere al film sono il commento musicale, invadente e pompieristico al punto da togliere drammaticità all'immagine, anziché aumentarla, e l'ingenua coda didascalica". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 22 ottobre 2000)
Dalle note di regia: "Da ragazzino, frequentando la camera del lavoro del mio paese, ascoltavo le storie dei vecchi che citavano spesso il nome di Placido Rizzotto e di Salvatore Carnevale. E' stato normale, per me, dopo molto tempo, ricostruire quei fatti in un film. Avevo cinque o sei anni e nella campagna vicino al mio paese i fratelli Taviani e Valentino Orsini stavano girando 'Un uomo da bruciare'. Andai a vedere il set e rimasi colpito dalla grande quantità di proiettori che servivano per illuminare il giorno".