I fantasmi del passato della famiglia Jordan sono tornati a tormentare e consolare i vari componenti a dieci anni di distanza dalle scioccanti e tragiche rivelazioni che ne hanno mandato in frantumi l'universo. Ognuno di loro, infatti, è coinvolto nel proprio dilemma: Joy - perseguitata da visioni del suo ex corteggiatore, deceduto, Andy - capisce che il marito Allen non è del tutto guarito dal suo 'disturbo particolare' e per questo si rifugia dalla madre e dalle sue due sorelle in cerca di conforto e consiglio; Trish, in cerca di una nuova vita dopo aver scoperto un'orribile inclinazione sessuale di suo marito Bill, incontra Harvey - divorziato, solitario e vicino alla pensione - con cui spera di riportare la stabilità nel suo fragile nucleo familiare; Helen invece si sente vittima della sua famiglia e del successo conquistato ad Hollywood; nel frattempo Mona, la madre delle tre donne, non riesce a liberarsi dell'amarezza che prova nei confronti degli uomini. Intorno a loro ruotano una serie di personaggi - Mark, il figlio di Harvey; l'inquieta Jacqueline; Billy e Timmy, figli di Trish e Bill - che contribuiscono a comporre un quadro emotivamente forte di individui prigionieri dell'amore e della vita.
SCHEDA FILM
Regia: Todd Solondz
Attori: Shirley Henderson - Joy, Ciarán Hinds - Bill, Allison Janney - Trish, Michael Lerner - Harvey, Chris Marquette - Billy, Rich Pecci - Mark, Charlotte Rampling - Jacqueline, Paul Reubens - Andy, Ally Sheedy - Helen, Dylan Riley Snyder - Timmy Maplewood, Renée Taylor - Mona, Michael K. Williams - Allen, Gaby Hoffmann - Wanda, Emma Hinz - Chloe, Meng Ai - Jesse
Sceneggiatura: Todd Solondz
Fotografia: Edward Lachman
Musiche: Doug Bernheim
Montaggio: Kevin Messman
Scenografia: Roshelle Berliner
Costumi: Catherine George
Durata: 96
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: RED ONE, 4K REDCODE RAW, DCP, 35 MM (1:1.85)
Produzione: WERC WERK WORKS
Distribuzione: ACHIBALD ENTERPRISE (2010)
Data uscita: 2010-04-16
TRAILER
NOTE
- PREMIO OSELLA PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ALLA 66MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2009).
CRITICA
"La capacità di coinvolgimento è una dote che Solondz coltiva in modo persuasivo. Ci mette in guardia contro il pericolo della depressione, contro quella paura di non saper perdonare - gli altri e anche noi stessi. Se non sapremo evitarlo, tutto può succedere nel nostro mondo che si sforza, magari mentendo come certi personaggi di 'Life During Wartime', di essere felice e non si accorge di certi preannunci della catastrofe." (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 4 settembre 2009)
"Esempio lampante di film da festival, con qualche possibile difficoltà di circolare nelle sale che non siano quelle d'essai, l'opera di Solondz, che torna al cinema dopo cinque anni dal suo ultimo 'Palindromes' è una di quelle pellicole che si nutre di un di un gusto rarefatto del cinema come arte che guarda ad altre forme di espressione visiva, tutte la pittura di Hopper (in un paio di inquadrature espressamente citata) e, di riflesso, il rapporto tra l'uomo e l'ambiente architettonico in cui si muove. Uno dei tanti linguaggi possibili di un cinema che da qualche tempo sembra aver rimesso in moto, grazie soprattutto agli indipendenti statunitensi, il gusto della ricerca. Che in quanto tale è esentata dall'obbligo di piacere oppure no, di avere più o meno successo." (Walter Vescovi, 'Il Secolo d'Italia', 4 settembre 2009)
"Con 'Life During Wartime', si celebra la nuova liturgia di un cineasta inventato dai patiti dell'alternativo: Todd Solondz, rivelatosi con 'Happiness' nel '98, non si è per la verità confermato con i successivi 'Storytelling' e 'Palindromes', ma è certamente in grado di tradurre il suo panico esistenziale permanente negli equilibrismi di una commedia nera e cattiva. (...) Il film non è memorabile, le stoccate contro Bush e la presunta paranoia anti-terrorista sono superate dall'era-Obama, e le oscenità snocciolate come se fossero normali convenevoli forse non meriteranno lo scandalo agognato. Però 'Life During Wartime' resta impresso per come sa disegnare i fatti sulla scenografia, una specie di murales in movimento in cui colori, geometrie e addobbi sostituiscono senso e sensibilità." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 4 settembre 2009)
"Con 'La vita ai tempi della guerra' (come canta una delle protagoniste) tornano le tre sorelle ebree del film del 1998, e torna lo stesso stile acido, dall' umorismo sarcastico e dissacrante: Joy fatica ad ammettere il suo fallimento come moglie e come assistente sociale (i suoi protetti non si redimono per niente), Trish finisce per ingigantire le paure del figlio tredicenne (ha scoperto che il padre non è morto ma in prigione per pedofilia) ed Helen è ancora schiacciata dal proprio successo come scrittrice. Ognuno dei tanti personaggi vorrebbe perdonare chi gli (o le) ha fatto del male e dimenticare il passato ma l'amara lezione del film è che, nonostante i tanti discorsi, la realtà non va dimenticata ma piuttosto guardata coraggiosamente in faccia. Anche se è quella di un padre pedofilo." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 4 settembre 2009)
"Stile minimal, problemi giganteschi, Todd Solondz è uno dei pochi grandi narratori dei nostri tempi feriti. Il primo a cogliere il mutare lento e inarrestabile di sensibilità e sessualità (in 'Fuga dalla scuola media', poi in 'Happiness' e 'Storytelling') partendo da bambini e adolescenti per arrivare agli adulti. L'unico a saper coniugare il comico e il tragico con un tono distratto quanto implacabile che inchioda gli spettatori allo schermo e i personaggi alle loro responsabilità. In 'Life During Wartime' nessuno è innocente, nessuno è solo e davvero colpevole, ma ognuno porta il peso di ciò che è e delle sue conseguenze. Immaginate lo humour di Woody Allen reso mille volte più tagliente e innestato su un mondo che una volta avrebbe avuto il volto mostruoso dei freaks di Diane Arbus mentre oggi si confonde con l'anonimato e l'insignificanza più assoluti. Nei film di Solondz niente e nessuno è bello o seducente eppure tutto è vero, sensibile, significativo, ogni personaggio ha diritto alla nostra pietà, ogni pietà ha per orizzonte non solo la vita del singolo ma il mondo, l'amore e la guerra, l'Occidente e il Medio Oriente, la religione e il desiderio, più vicini di quanto non sembri a prima vista. Difficile spingersi più lontano con meno mezzi." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 4 settembre 2009)
"Pedofilia, sessuomania, la fine del mondo, misteri e risate nei film in concorso alla Mostra. 'Life During Wartime' ('Vita in tempo di guerra') bellico soltanto nel senso della lotta per vivere. Il titolo nasce da una battuta del film: 'Io ho fatto un errore grande come quello della guerra del Vietnam'. Il regista americano Todd Solondz, 49 anni, premiato autore di 'Happiness-Felicità' e di 'Palindromi', è bravissimo nel raccontare il nostro sforzo d'aggrapparci alle cose che in realtà abbiamo già perduto, alla vita che avevamo e che non esiste più, a identità dissolte, all'inestricabile insieme di falso e di vero, di tragico e di ridicolo." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 4 settembre 2009)
"Solondz ha una cognizione del dolore e un modo di raccontarla con toni da commedia dell'assurdo che vanno diritti al cervello e al cuore. Questo seguito ideale di 'Happiness' è un grande film." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 4 settembre 2009)
"One shot, one kill. Non è un action, ma l'equazione artistica e (r)esistenziale di Todd Solondz. Vale per 'Happiness', vale per questo sequel, 'Life During Wartime' in originale: a terra rimangono le nostre coscienze, perché, 10 anni dopo, si cambia volto (attori), temi ( 'pedo-terrorismo') e ambientazione, ma non la sostanza tragicomica dell'America oggi. Joy ha spinto al suicidio l'ex e tenta il bis con il marito perv; Trish deve risollevarsi dall'arresto per pedofilia del coniuge; la terza sorella, Helen, è scrittrice e vittima di successo: per dirla alla Wallace, sono uomini schifosi, mostri della porta accanto. Che Solondz spalanca a un ospite sgradito: la guerra globale che ignari combattiamo da casa. Ma non s'arrende: scabroso pudico e sadico umanista, va alla guerra, si, ma per far pace. Con il nostro lato oscuro, dove fa e facciamo più male. Da vedere. (Federico Pontiggia, ''Il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2010)
"Dieci anni dopo 'Happiness' Todd Solondz torna a raccontare - con un cast diverso - quegli stessi personaggi, cresciuti, cambiati ma accomunati da un'angoscia esistenziale appesantita da fantasmi del passato. Quel mondo che dal New Jersey cerca di trovare serenità in un'assolata Florida, non riesce a parlare, rantola su se stesso, non riesce a spiegasi. Le tre sorelle ebree Jordan sembrano diventare vittime dei personaggi che hanno creato: nevrotici, insicuri, irresponsabili. (...) Gli efficacissimi dialoghi, simili a pubblici soliloqui e conversazioni in solitudine, sembrano arrotolarsi su se stessi senza mai trovare un'uscita verso l'altro. La mancanza di contatto viene enfatizzata sarcasticamente da una colonna sonora che, anche di fronte al dramma, cerca di mantenere l'apparente - ma nevrotica - serenità. Le sorelle e il mondo raccontato da Solondz di famiglie sull'orlo del precipizio e figli che risultano essere le vere vittime sacrificali devono capire se possono dimenticare, o perdonare, ma non danno però cenni di volersi allontanare dalla loro esistenza drammatica. Vivono assorbite dal dramma della solitudine e dell'auto commiserazione, come la terza sorella, Helen (Ally Sheedy), avvinghiata alle proprie recriminazioni. (...) Se c'è una linea conduttrice nella scrittura di un suo film, Solondz la riconosce nell'atto esplorativo delle location in cui il film verrà girato. E allora forse, il mondo bloccato e ipocrita del New Jersey, con le sue villette a schiera e con il giornale tutte le mattine sul praticello verde davanti a casa, in questo ultimo lavoro si è trasferito in Florida. In altre villette, con altri praticelli, dove la vita trascorre comunque sempre apparentemente tranquilla." (Beatrice Cassina, 'Il Manifesto', 13 aprile 2010)
"Il film del 1998 raccontava, tra altre vicende familiari, un padre psicoanalista che insidiava i compagni di scuola del figlio undicenne. La materia era tanto sulfurea che il regista non riuscì a trovare neanche una bibita da far bere ai personaggi: nessuna marca conosciuta voleva essere coinvolta nello scandalo. (...) Nel decennio trascorso tra i due film, l'allarme pedofilia accompagnato, bisogna dirlo, da una quantità di falsi allarmi ha circondato di un alone sospettoso i rapporti tra adulti e minori. Retroattivamente, ha messo sotto accusa due signori per niente indegni come Vladimir Nabokov e Lewis Carroll, campioni nell'arte di peccare con la mente senza bisogno di passare all'atto. Anche Todd Solondz è finito nel mucchio: 'Happiness', un film meraviglioso e lontanissimo da qualsiasi intento di denuncia, ha rischiato di stroncargli la carriera, dopo il notevole credito conquistato con il suo primo lungometraggio, 'Fuga dalla scuola media'. Il regista e il pedofilo finivano per sovrapporsi, le domande dei giornalisti puntavano a una dichiarazione buona per un instant-movie sui vizi degli altri: americani, borghesi, benpensanti, genitori, educatori. Secondo Moni Ovadia, che ha adattato in italiano i dialoghi di 'Perdona e dimentica', siamo di fronte alla crisi della famiglia tradizionale. Addirittura, questa puntata della saga avrebbe a dispetto del titolo l'intento di mostrare il padre in tutta la sua indegnità. Come se il primo capitolo fosse stato troppo tenero, infatti lo spettatore non esce dal cinema urlando 'a morte i pedofili'. (...) Tra 'Happiness' e 'Perdona e dimentica' (titolo originale 'Life During Wartime') il cinquantenne regista nato a Newark, New Jersey, ha scritto e girato 'Palindromes'. (...) Più che un film, una chiamata in correità per lo spettatore: ogni distinzione tra buoni e cattivi veniva sistematicamente messa in crisi. Todd Solondz lavora così, per questo resiste eroicamente alla vulgata del manifesto politico o sociale o morale." (Mariarosaria Mancuso, 'Il Foglio', 14 aprile 2010)
"In dieci anni la vita può anche non cambiare, scorrere lungo la stessa inadeguatezza e infelicità, occultata dalle apparenze e dal benessere, dai rapporti futili e crudeli, dalle menzogne e dai farmaci, dalla solitudine interiore e da speranze che non si avverano mai. 'Perdona e dimentica' (...), riprende i personaggi di 'Happiness', che nel 1998 scandalizzò chi non sopportava di ridere di disperazioni sessuali e soprattutto di commuoversi per la confessione di un padre pedofilo, che rivelava la sconnessione tra la normalità degli affetti e della quotidianità e la natura nemica. Nel nuovo film l'autore, il fragile cinquantenne Todd Solondz, ci coinvolge per rispondere a una domanda etica, del tipo che il cinema di solito aborre: dimenticare o no il dolore patito, perdonare o no il responsabile di ferite amare, soprattutto dimenticare il male che noi abbiamo fatto agli altri e a noi stessi e perdonarci, oppure non dimenticare mai, non perdonarci mai? Le tre sorelle Jordan, di famiglia ebraica laica, dopo dieci anni non hanno risolto la loro vita. (...) In dieci anni ci siamo allenati averi scandali gravissimi (...). Si spera quindi che di questo film, arricchito dai dialoghi italiani di Moni Ovadia, non ci si sorprenda, ma si amino l'intelligenza, la profondità, la moralità." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 12 aprile 2010)
"Todd Solondz, l'autore americano meno allineato, riprende i personaggi di 'Happiness', racconta di tre sorelle infelici tolstoianamente ciascuna a modo suo e diramazioni familiari sconvenienti. Un film disperatamente umoristico, come solo la cultura yiddish sa, un Roth che si interroga sul valore del perdonare e-o dimenticare, prendi uno e soffri per due. Solondz ha sintesi ritmo, gioco surreale perfetti. Pare che parli di eccezioni, ma affetti e emozioni sono la regola. (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera", 16 aprile 2010)
"Seguito di 'Happiness' (stessi personaggi, diversi gli interpreti), 'Perdona e dimentica' è in originale 'Life During Wartime', 'Vita in tempo di guerra', durante l'Irak, l'Afghanistan e le guerricciole di cui ha bisogno l'economia americana; ma anche durante le guerre familiari di tre sorelle ebree, capaci solo di unirsi a uomini segnati da Dio, come si sarebbe detto una volta. Cinismo e ironia sorreggono vicende troppo particolari per esser di tutti. Per questo film superfluo, premiato a Venezia 2009 per la sceneggiatura, possiamo dimenticare Solondz. Perdonarlo no." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 16 aprile 2010)