Il regista Mohsen Makhmalbaf deve scegliere gli attori del suo prossimo film dal titolo "Salaam Cinema", e a questo scopo pubblica un annuncio sul giornale. Tra i numerosi candidati, si presenta anche un quarantenne che risulta essere un ex poliziotto. Dopo un po' Makhmalbaf lo riconosce: i due si erano incontrati venti anni prima quando Makhmalbaf, che militava nell'opposizione al regime dello Scià, aveva organizzato insieme ad altri un attentato ed aveva accoltellato il poliziotto di guardia per sottrargli la pistola. Allora il regista, invece di offrirgli una parte, gli propone di ricostruire in un film quell'evento drammatico. Ognuno di loro sceglierà un giovane interprete per il proprio personaggio, attraverso il quale fornire una versione dei fatti. L'ex poliziotto è molto reticente, c'è di mezzo il ricordo di una ragazza che lui vedeva passare ogni giorno davanti alla sua postazione e di cui si era innamorato. Alla fine però i due giovani vengono scelti e anzi, a poco a poco, è la loro storia a prendere il sopravvento: quello che fa il poliziotto è interessato solo a salvare una piantina di rose, mentre quello che fa il regista vorrebbe salvare l'umanità e non se la sente di accoltellare il rivale. Alla ragazza che ricopre il ruolo di quella di venti anni prima, entrambi offrono pane e fiore.
SCHEDA FILM
Regia: Mohsen Makhmalbaf
Attori: Mirhadi Tayebi, Ali Bakhshi Jozam, Ammar Tafti, Maryam Mohammad-Amini, Moharram Zeinalzadeh, Fariba Faghiri, Maryam Faghiri, Lotfollah Gheshlaghi, Mohsen Makhmalbaf, Hana Makhmalbaf
Soggetto: Mohsen Makhmalbaf
Sceneggiatura: Mohsen Makhmalbaf
Fotografia: Mahmoud Kalari
Musiche: Majid Entezami
Montaggio: Mohsen Makhmalbaf
Scenografia: Reza Alaghemand
Altri titoli:
A Moment of Innocence
Noon-O-Goldoon
A Matter of Innocence
Brot und Blumentopf
Nun va Goldun
The Bread and the Vase
Durata: 75
Colore: C
Genere: METAFORA
Produzione: PAKHSHIRAN CO, ABOLFAZI ALAGHEBAND, MK 2 PROD.
Distribuzione: TANDEM DISTRIBUZIONE
NOTE
- REVISIONE MINSITERO GIUGNO 1997.
- MENZIONE SPECIALE AL 49. FESTIVAL DI LOCARNO (1996)
CRITICA
"'Pane e fiore' non colpisce tanto il messaggio etico, che un po' lo condiziona didatticamente, ma l'approccio semplice umoristico a un mondo situato sui confini tra spettacolo e realtà. Dove i protagonisti, proprio come il Padre dei Sei personaggi in cerca d'autore, sperano di intendere meglio il proprio vissuto e magari di migliorarlo mettendolo in scena. E inevitabile riferirsi a Pirandello e in particolare a quell'inedito adattamento cinematografico del suo capolavoro in cui il siciliano prevedeva di apparire sullo schermo in prima persona: a raccontare di sé qualcosa di intimo, come ha fatto nella maturità Fellini, come fa spesso il mercuriale Makhmalbaf. E come fece nel film-testamento 'La verità' il teorico della cineconfessione Cesare Zavattini, le cui ipotesi di lavoro sembrano attualmente trionfare nel cinema di Teheran con un rigore sconosciuto anche al neorealismo". (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 19 giugno 1997)
"'Non si trattava di dimostrare che uno è un eroe e l'altro un antieroe', ha detto Makhmalbaf, 'cerchiamo semplicemente il segreto dei 22 anni perduti della nostra vita'. Semplice a dirsi, un po' meno a farsi. Ma fra impennate poetiche sotto la neve, parentesi comiche, controcanti pungenti (il prologo che vede la figlia del regista, zainetto e chador classista come tutti i bambini, tenere a bada l'ingenuo poliziotto), 'Pane e fiore' raggiunge profondità oggi rare. Non perdetelo se dal cinema esigete ancora molto". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 giugno 1997)
"Giocato a cavallo fra finzione e realtà, e con un approccio fresco e umoristico sul mondo che rispecchia, 'Pane e fiore' procede sul suo doppio binario narrativo caricandosi delle ambiguità della vita, mentre risulta chiaro che l'intento dell'autore non è di dare un giudizio a posteriori sulla storia, quanto di cercare di capire. Tenendo presente che il cinema può migliorare il finale: infatti arrivati al momento cruciale, gli interpreti non se la sentono di simulare i rispettivi gesti di violenza e li trasformano in una sincrona proposta di pace". (Alessandra Levatesi, 'La Stampa', 28 giugno 1997)
"Benché si tratti di una ricostruzione, di una finzione dichiarata, il solo pensiero di rappresentare la violenza si rivela per loro insopportabile. Anziché colpi di coltello e di pistola finiranno per scambiarsi il pane e il fiore del titolo. Fotogramma fisso e fine. Nella sua programmaticità un po' cerebrale, che mette in crisi i punti di riferimento della narrazione tradizionale, il film di Makhmalbaf non raggiunge l'intensità emotiva di un Kiarostami; ma è pur sempre un'opera di grande qualità da cui emana una strana fascinazione. Se la storia prevale sulla Storia, infatti, è perché è giunto il tempo dei bilanci, della memoria, della comprensione. Ed è venuto grazie al cinema, in un saggio di cine-terapia come non ne avevamo ancora visti". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 22 giugno 1997)