Peter è un diplomatico inglese a Parigi dove vive con sua moglie Margaret e il figlioletto Nelson. Da qualche tempo la donna fa quotidiane ed ingiustificate assenze da casa e il marito sospetta che ella abbia un amante. La sua meraviglia è enorme quando egli scopre che oggetto delle attenzioni della moglie non è un uomo ma uno scimpanzè, Max. L'uomo è sconvolto, ma di fronte alla fermezza di Margaret acconsente che l'animale venga in casa in una stanza tutta per lui. Alla sua insolita presenza man mano si abituano il figlioletto Nelson, la cameriera Maria, l'ex amante di Margaret, Archibald, l'attuale amante-segretaria di Peter, Camille, e tutta la cerchia degli amici comuni. Niente distoglie Margaret da questa sua singolare infatuazione per Max: a nulla servono i tentativi di Peter di allontanare Max da Margaret e le sue incalzanti domande alla moglie sui suoi veri rapporti con l'animale. Inutili si rivelano anche l'intervento di uno zoologo chiamato da Camille, di uno psichiatra interpellato da Archibald, le proteste della cameriera Maria, sofferente per una fastidiosa allergia. Il marito prova più volte a costringere la donna a scegliere fra lui e Max: Margaret è irremovibile. Un giorno Max scappa dalla sua camera; la donna è disperata, riesce a tornare serena solo quando l'animale ritorna a casa. Per un'improvvisa malattia della madre, Margaret deve partire per assisterla; lascia Max, non senza apprensione, alle cure di Nelson e di Peter, che ormai è rassegnato alla sua presenza, dopo aver tentato anche di ucciderlo. Purtroppo l'animale entra in crisi senza la sua amica, è triste e rifiuta di mangiare. Il lavoro di Peter risente della sua strana situazione familiare: non è più attento e scrupoloso come prima, trascura i suoi impegni e la sua segretaria Camille, che vorrebbe aiutarlo. Alla fine Peter decide di portare Max da Margaret: quando l'animale rivede la donna torna a vivere. Tutto sembra tornare alla normalità, ma un brutto giorno Max fugge tra gli alberi. La famiglia di Peter di nuovo cade preda dell'angoscia. Tornano verso Parigi amareggiati per la scomparsa dell'animale, quando quest'ultimo si fa rivedere tra la gioia generale. Il rapporto tra i due coniugi finalmente è senza nubi: la crisi si è risolta proprio grazie alla singolare presenza di Max.
SCHEDA FILM
Regia: Nagisa Ôshima
Attori: Charlotte Rampling - Margaret, Anthony Higgins - Peter Jones, Victoria Abril - Maria, Anne-Marie Besse - Suzanne, Nicole Calfan - Helene, Pierre Étaix - Detective, Bernard Haller - Robert, Christopher Hovik - Nelson, Diana Quick - Camille, Sabine Haudepin - Francoise, La Prostituta, Milena Vukotic - La Madre Di Margaret, Bernard-Pierre Donnadieu - Archibald, Bonnafet Tarbouriech - Veterinario
Soggetto: Jean-Claude Carrière
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Nagisa Ôshima
Fotografia: Raoul Coutard
Musiche: Michel Portal
Montaggio: Hélène Plemiannikov
Scenografia: Pierre Guffroy
Costumi: Bernard Perris
Altri titoli:
MAKKUSU, MON AMURU
Durata: 98
Colore: C
Genere: GROTTESCO
Specifiche tecniche: PANORAMICA
Produzione: GREENWICH FILM PRODUCTION FILM A2/SERGE SILBERMAN
Distribuzione: MEDUSA (1987)
CRITICA
"'Ho girato la storia, dice il regista Oshima, nel modo più realistico. Mi sono ispirato ad alcune leggende giapponesi in cui gli animali e gli esseri umani si incontrano e si amano. Credo che una storia come questa possa essere ambientata soltanto in Europa in una società ricca, raffinata e invecchiata. Tokio è troppo giovane, dinamica, non ha ancora vissuto a sufficienza'. (...) 'Max mon amour' acquista via via le cadenze solite della commedia lasciando in sottotono i proponimenti di Oshima sullo sfascio della coppia e sulle altre questioni riguardanti il mistero di talune relazioni tra gli uomini e gli animali. E' un 'impero del nonsenso' tra la favola e la provocazione, un film-elettroshock adatto a frigide coppie britanniche." (Alfio Cantelli, 'Il Giornale', 31 maggio 1987)
"La storia, nota sin da Cannes '86, è stravagante. (...) Ma Nagisa Oshima, dopo aver firmato quei due ed altri film di grande importanza nel quadro del cinema giapponese contemporaneo, sembra ora, in trasferta europea, preferire l'ammiccamento al graffio e la trovata spiritosa al risvolto emotivo o psicologico. Col rischio di deludere almeno in parte la non esigua schiera dei suoi ammiratori. Però, ciò detto, va detto altresì che il suo Max può vantare un copione calcolato con sottile minuzia e confezionato con humour garbatissimo, da cui, per merito di una regia particolarmente agile nell'evitare i trabocchetti della provocazione di cattivo gusto, scaturisce un apologo graziosamente scapigliato sul tema della tolleranza e del rispetto reciproci." (Guglielmo Biraghi, 'Il Messaggero', 2 giugno 1987)
"Può non apparire evidente la carica trasgressiva di un film che mette fuori campo lo scandalo, che sembra troppo reticente e composto, o troppo classico stilisticamente per un cineasta come Oshima. Ma tutto ciò ha anche un'altra spiegazione. Prodotto da Serge Silberman, che realizzò tutti gli ultimi film di Buñuel, e scritto da Jean Claude Carrière che fu il suo fedele sceneggiatore, 'Max amore mio' è un film che idealmente apparteneva a Buñuel e Oshima, pur ritrovandovi alcuni suoi temi (dall'irruzione della diversità di 'Furyo' alla ritualità familiare de 'La Cerimonia') sembra aver voluto soprattutto rispettare un soggetto altrui, filmandolo con cura, affetto e distacco. Ma ritrovando, di Buñuel, anche la semplicità di scrittura e il gusto, se non dello scandalo, della punzecchiatura sorniona. Quel che succede nella gabbia di Max ci ricorda il contenuto della scatoletta del cinese in 'Bella di giorno': qualcosa di misterioso ma che probabilmente ha a che fare con il carattere sfuggente, privato, sempre invisibile, dell'erotismo." (Alberto Farassino, 'la Repubblica', 31 maggio 1987)