In una piccola isola greca dell'Impero Ottomano il devoto suddito del Sultano Basil Pascali riceve un piccolo compenso per la sua attività di informatore. Egli, in realtà ignora che i suoi rapporti, giudicati inutili e superflui, vengono regolarmente cestinati e che lo stipendio gli arriva solo perché nessuno ha mai pensato di farlo cessare. Ma un giorno, sull'isola, arriva l'archeologo inglese Anthony Bowles, che Pascali giudica subito una spia al soldo dei greci.
SCHEDA FILM
Regia: James Dearden
Attori: Charles Dance - Anthony Bowles, Vernon Dobtcheff, Stefan Gryff, Ben Kingsley - Basil Pascali, Kevork Malikyan, T.P. McKenna, Helen Mirren - Lydia Newman, Nadin Sawalha, Sheila Allen
Soggetto: Barry Unsworth
Sceneggiatura: James Dearden
Fotografia: Roger Deakins
Musiche: Loek Dikker
Montaggio: Edward Marnier
Scenografia: Philip Elton, Petros Kapouralis
Durata: 102
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: PANORAMICA
Tratto da: DAL ROMANZO DI BARRY UNSWORTH
Produzione: INITIAL FILM AND TELEVISION
Distribuzione: ARTISTI ASSOCIATI INTERNATIONAL (1988) - VIDEA
CRITICA
"Secondo lungometraggio dell'inglese James Dearden, anni 38, figlio del regista Basil morto nel '71 e autore del copione di 'Attrazione fatale' ottenuto sviluppando a sua volta il mediometraggio 'The Diversion' realizzato nel '79, 'L'isola di Pascali' deriva da un romanzo di Barry Unsworth edito nel '78 ma la radice letteraria non ne mette in forse la riuscita spettacolare. L'ambientazione è pittoresca, fra quinte ben riesumate e autentici scenari naturali, il thriller - nel quale il giallo si mescola al melò - è costruito con cura, la recitazione piace: quella di Charles Dance, che presta il proprio fascino biondo all'avventuriero inglese, quella di Helen Mirren, quella soprattutto di Ben Kingsley, che arricchisce di molte mezzetinte il ritratto di Pascali. Il quale riesce dipinto come un poveraccio le cui lettere al sultano sono sempre cadute nel più totale silenzio, sicché si sente abbandonato da tutti soffocato dagli incubi. E che nonostante mobiliti la sua supposta furbizia levantina, soffre d'una tragicomica crisi d'identità. Uno di quegli sconfitti ridicoli, sullo sfondo dell'irrimediabile crollo d'una intera cultura storica, ai quali il cinema inglese è affezionato per le prospettive psicologiche, e il connubio di tragedia e ironia, che gustosamente ci offrono." (Giovanni Grazzini, 'Il Corriere della Sera', 28 Ottobre 1988)
"Il maggior punto di forza del film, comunque, resta l'interpretazione di Ben Kingsley che nella versione originale arrivava, con verosimiglianza, a parlare inglese con accento turco. Un viso mobilissimo, sofferto, percorso con abilità e talento da sfumature sottilissime che, pur senza nobilitarle, rendono umane e comprensibili le fissazioni gelide del personaggio Di fronte, l'interpretazione esatta e meditata di Charles Dance, con ampio margine di ambiguità. Un duetto da ricordare." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 15 Ottobre 1988)
"Dearden, la cui fama era finora affidata alla sceneggiatura di 'Attrazione fatale', adesso dimostra meglio il suo talento di figlio d'arte con un film molto calcolato e letterario che Kingsley arricchisce con le sue contraddizioni e le sue ire represse (eroe o cattivo?) Ha ragione il regista a dire che l'insieme (l'ambiente, il caffè, il va e vieni di spie) gli ricorda 'Casablanca'. Ha torto quando dice che non si sente legato ai modelli del buon cinema inglese. Il suo 'Pascalis Island' lascia un gradevole odor di fiori e l'impiego degli attori suggerisce l'ottima scuola: come 'Casablanca' rifatto da un ironico erede che sa che tutte le avventure possono finir male (solo Woody Allen è disposto a giurare su 'Casablanca'). Dicevamo da Cannes, cercando di riassumere: fine di una spia e dell'impero turco alla vigilia della prima guerra mondiale? Sì, e di più, naturalmente. (...) Forse c'è qualche strappo nel passaggio dalle stilizzazioni tipo 'Casablanca' agli spari, ma Kingsley sorveglia il cambiamento con uno sguardo di fuoco e di rassegnazione. Sembra un paesaggio incantato. Ma la guerra è alle porte. Il crollo di un uomo, in quell'angolo di mondo è come l'impercettibile crepa di un crollo più grande." ('La Stampa', 22 Ottobre 1988)