Inviato dalla sua rete televisiva a Beirut in sostituzione di un collega malato, Don Stevenson, un giornalista americano, viene, "usato" dalle opposte fazioni arabe dell'OLP per fare da "testimone" ai propri interessi. E' il tempo dell'invasione israeliana in Libano, al culmine delle faide interne all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Quando Don si accorge che, quello che credeva un grande "scoop", è in realtà solamente il pretesto creato per eliminare un leader moderato dell'OLP, inizia ad indagare per scoprire la verità. Che il "gioco" sia grosso, il giornalista, lo capisce subito: attorno a lui si agitano gli interessi opposti delle falangi cristiane e dei palestinesi, e in molti cominciano a morire. Don scopre che l'OLP, la sua fazione più dura, ormai circondata da tutte le parti, ha concepito un piano mostruoso: provocare un massacro nei propri campi-profughi da parte dei falangisti cristiani, facendone ricadere la responsabilità su Israele di fronte alla stampa internazionale; che accrediterà questa versione dei fatti.
SCHEDA FILM
Regia: Nathaniel Gutman
Attori: Martin Umbach - Bernard, Marita Marshall - Linda Larsen, Arnon Zadok - Handy Abu Yussu, Etti Ankri - Samira, Amos Lavi - Yassin Abu Riaod, Christopher Walken - Don Stevenson, Hywell Bennett - Mike Jessop
Soggetto: Hannan Peled
Sceneggiatura: Hannan Peled
Fotografia: Amnon Salomon, Thomas Mauch
Musiche: Hans Jansen, Jacques Zwart
Montaggio: Peter Przygodda
Scenografia: Jürgen Henze, Yoram Barzilai
Costumi: Rona Doron
Altri titoli:
KRIEGSBERICHTERSTATTUNG
WAR ZONE - TODESZONE
Durata: 102
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: PANORAMICA
Produzione: ELISABETH WOLTERS-ALFS PER CREATIVE FILM CARO, FILM NORDDEUTSCHER RUNDFUNK
Distribuzione: CHANCE FILM DISTRIBUZIONE (1987) - MULTIVISION (COLLECTION), LASERDISC: RCS FILMS&TV, PHILIPS VIDEO CLASSICS
CRITICA
"La figura del reporter di prima linea è ormai diventata una specie di saggio di recitazione obbligato per gli attori della nuova generazione americana James Woods e John Savage in 'Salvador', Nick Nolte in 'Sotto tiro', Mel Gibson in 'Un anno vissuto pericolosamente' e ora Christopher Walken, che grazie alla guerra (del Vietnam) fu Oscar 1980 con 'Il cacciatore'. Ma il suo personaggio di giornalista televisivo nel labirinto di uomini e armi di Beirut sopporta un paragone più europeo, quello di Bruno Ganz in 'L'inganno' di Schlöndorff. (...) 'Linea di fuoco' non è un film che dia lumi storico-politici sulla strage del Libano, e soffre del resto, come tutti i film sulla stretta attualità, l'usura del tempo." (Gabriele Porro, 'Il Giorno', 7 settembre 1987)
"Nuovamente tedesca la produzione, ma diretto da un israeliano 'Linea di fuoco' non sfugge alla perversa tentazione esotica. Don Johnson (Chris Walken) è uno svogliato inviato di una rete televisiva americana a Beirut. (...) La tesi del film - le persone comuni usate dai potenti 'estremisti' per i loro propri interessi - francamente indebolisce o (peggio) si fa complice del presunto realismo delle immagini (vagamente populiste) e la 'distanza' ideologica (spacciata per a-politica e pacifista, ma non sempre si direbbe) nuoce alla buona fattura del prodotto. Peccato. Perché il film non è esente da un pathos (reso più sofferto dalla totale assenza di colonna sonora) ben reso da un montaggio di gran classe (Peter Przjgodda, il montaggista di Wenders) e da una interpretazione convulsa al punto giusto di Christopher Walken." ('Il Messaggero')
"Nei titoli di coda si dice che il film è stato girato in Israele; e il nome del regista, Nathaniel Gutman, sembra parlar chiaro. Ma, a parte una breve tirata filoisraeliana messa in bocca a un generale falangista, tutta la vicenda è focalizzata sui palestinesi. Che non sono come i cattivi nei western: semmai, sono confusionari, poco coordinati, divisi fra molti capi e fazioni in lotta fra loro; e un leader dell'Olp che sogna la pacificazione viene massacrato da altri palestinesi. Gli israeliani, loro, sono un esercito organizzato, ci dice il regista, pronti a morire: però, in una rappresaglia, portano la morte su donne e bambini." (Giovanni Bogani, 'La Nazione', 2 luglio 1988)