A Bailleul, paesino nelle Fiandre, Freddy vive con la madre Yvette che gestisce il caffè "Au petit casino". Sottoposto a cure in ospedale per via delle sue crisi epilettiche, Freddy trascorre la maggior parte del tempo con gli amici: tutti hanno smesso di studiare, sono disoccupati e durante la giornata vanno in giro sulle loro motociclette. Freddy sta insieme a Marie, che fa la cassiera al supermercato. Spesso Freddy porta Marie a casa, fanno l'amore e la madre fa finta di niente. Freddy non vuole salire a casa di Marie, la accompagna, parla con lei per ore davanti al portone ma poi va via. Assieme agli amici, Freddy va in ospedale in visita al fratello di uno di loro, malato di AIDS e in stato terminale. Il gruppo, annoiato e inconcludente, comincia a sbeffeggiare gli extracomunitari. In particolare viene preso di mira Kader, giovane arabo. Questo (insieme ad uno scherzo pesante commesso ai danni di una ragazza grassa) non piace a Marie, che si nega a Freddy, si vede seguita con insistenza da Kader e, per reazione, accetta di stare con lui. Venuto a conoscenza del fatto, Freddy prende una decisione, nella quale coinvolge gli amici. Kader viene inseguito in aperta campagna ed eliminato brutalmente. Subito dopo vengono presi dalla polizia.
SCHEDA FILM
Regia: Bruno Dumont
Attori: David Douche - Freddy, Marjorie Cottrel - Marie, Geneviève Cottrel - Yvette, Kader Chaatouf - Kader, Sebastien Delbaere - Gege', Samuel Boidin - Michou, Steve Smagghe - Robert, Sebastien Bailleul - Quinquin
Soggetto: Bruno Dumont
Sceneggiatura: Bruno Dumont
Fotografia: Muriel Merlin
Musiche: Richard Cuvillier
Montaggio: Yves Deschamps, Guy Lecorne
Scenografia: Frederique Suchet
Altri titoli:
The Life of Jesus
Durata: 96
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: 3B PRODUCTIONS
Distribuzione: BIM (1998)
NOTE
-REVISIONE MINISTERO GIUGNO 1998
CRITICA
"Macchina fissa, dialoghi al minimo, inquadrature taglienti, Dumont scolpisce un microcosmo al di qua di tutto. Della Legge, della Morale, della Parola, di tutte le categorie che definiscono e imprigionano. Categorie che usiamo ogni giorno ma incapaci di spiegare la logica primaria e ineluttabile che muove Freddy e i suoi amici. Per questo le parole degli psicologi e dei poliziotti, dopo, suonano così vuote, mentre le immagini straniate di Dumont hanno il sapore della rivelazione. La rivelazione del mondo, altrimenti impenetrabile, in cui Freddy e gli altri vivono quasi come insetti, fra terra e cielo, sospesi a uno sguardo che sta fra Pialat e Bresson". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 giugno 1998).
"'L'età inquieta' è un esempio molto riuscito, molto interessante, di come si possa raccontare la generazione perduta dell'epoca della fine del lavoro con efficacia pari a quella del cinema americano, ma con sensibilità e cultura europee". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 19 giugno 1998) .
"Il regista mette in scena fatti di cronaca con un linguaggio molto stilizzato, una accurata fotografia in grande formato, eleganti movimenti di macchina e perfino con qualche classica dissolvenza al nero (quei segni d'interpunzione cinematografica che servono a scandire i momenti del racconto, e non si usano quasi più). Congiunta al rigore del punto di vista, la potenza delle immagini fa dell'Età inquieta un film insolito, spiazzante, di quelli che restano a lungo nella memoria". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 23 giugno 1998).