Rithy Panh continua la sua personale e spirituale esplorazione: in Graves Without a Name la regista cerca un percorso verso la pace. Quando un bambino di tredici anni, che ha perso la maggior parte della sua famiglia sotto i Khmer rossi, si imbarca in una ricerca per le loro tombe, sia in terra battuta che in terra spirituale, cosa trova lì? E soprattutto, cosa sta cercando? Alberi spettrali? I villaggi sono deturpati al di là del riconoscimento? Testimoni che sono riluttanti a parlare? Il tocco etereo del corpo di un fratello o di una sorella mentre si avvicina la notte? Un film cinematografico che va ben oltre la storia di un paese per ciò che è universale.
SCHEDA FILM
Regia: Rithy Panh
Soggetto: Rithy Panh
Sceneggiatura: Rithy Panh, Agnès Sénémaud
Fotografia: Prum Mésa, Rithy Panh
Musiche: Marc Marder
Altri titoli:
Graves Without a Name
Durata: 115
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: (1:1.78)
Produzione: CATHERINE DUSSART PER ARTE FRANCE, CATHERINE DUSSART PRODUCTIONS (CDP)
NOTE
- VOCI DELLA VERSIONE ORIGINALE: RANDAL DOUC (NARRATORE), CHRISTOPHE BATAILLE (COMMENTO).
- SELEZIONE UFFICIALE ALLA 15. EDIZIONE DELLE 'GIORNATE DEGLI AUTORI' (VENEZIA 2018).
CRITICA
"Le tombe senza nome a cui allude il titolo del nuovo film di Rithy Panh sono quelle dei suoi familiari e di moltissimi altri milioni di cambogiani uccisi come loro negli anni del regime dei Khmer rossi, dall'aprile del 1975 (...). Panh aveva tredici anni quando i Khmer rossi lo hanno preso insieme tutta la famiglia deportandoli nella regione di Battambang, in quella campagna dove si doveva imparare a sopravvivere, è riuscito a salvarsi arrivando in Thailandia e poi in Francia. Gli altri sono scomparsi, morti, perduti chissà dove in qualche parte della Cambogia, in quella terra verde di giungla, di templi, dove le anime dei morti continuano a vagare arrabbiate nella loro solitudine. Da qui comincia il nuovo viaggio nel regista in quella storia personale e collettiva su cui ha fondato la sua poetica e che continua a esplorare film dopo film. Se gli inizi come 'S21: La macchina di morte dei Khmer rossi' era la voce dei carnefici che cercava costringendoli a un confronto con le loro azioni, Panh ha ora spostato la narrazione sulla propria esperienza, è divenuto l'io narrante, una voce che dichiara insieme al vissuto l'esigenza di continuare la costruzione di questa «memoria comune», di renderla Storia condivisa. (...) E di fronte a un'immagine «mancante» è ancora una volta la parola lo strumento della sua indagine in questo 'Les tombeaux sans noms', bella apertura delle Giornate degli autori." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 30 agosto 2018)