Le notti di Cabiria

ITALIA, FRANCIA 1956
Cabiria è una prostituta che, nonostante le difficoltà che ha vissuto, non ha perso l'ottimismo e la capacità di sognare. Proprio per la sua ingenuità, la maggior parte delle volte, va incontro a grosse delusioni: perfino il suo 'protettore', che proclama di amarla, non esita a gettarla nel fiume per rubarle la borsa piena dei soldi guadagnati durante la serata. Un giorno, dopo l'ennesima delusione, Cabiria vede una processione composta da uomini e donne, diretta al Santuario del Divino Amore e vi si unisce pregando la Madonna che la aiuti a cambiare vita. Ma ben presto lo sconforto ha il sopravvento. Desiderosa di innamorarsi, si ritroverà in un cinema-teatro di periferia pronta a essere ingannata per l'ennesima volta. Sarà di nuovo il suo ottimismo a non permetterle di smettere di sorridere...
SCHEDA FILM

Regia: Federico Fellini

Attori: Giulietta Masina - Cabiria, Amedeo Nazzari - Alberto Lazzari, François Périer - Oscar d'Onofrio, Franca Marzi - Wanda, Dorian Gray - Jessy, Aldo Silvani - Il mago, Mario Passante - Lo storpio, Enio Girolami - Amleto, il "magnaccia", Polidor - Il fraticello questuante, Pina Gualandi - Matilda, Luisa Rolando - Marisa, Loretta Capitoli - Rosy, Giovanna Gattinoni - La zia nana, Sandro Moretti - Un pappone, Mimmo Poli - Uomo nel night club (non accreditato, Riccardo Fellini

Soggetto: Federico Fellini - anche idea, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli

Sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Pier Paolo Pasolini - collaborazione ai dialoghi

Fotografia: Aldo Tonti, Otello Martelli - sequenze aggiunte

Montaggio: Leo Catozzo

Scenografia: Piero Gherardi

Costumi: Piero Gherardi

Aiuto regia: Moraldo Rossi

Altri titoli:

Nights of Cabiria

Les nuits de Cabiria

Durata: 110

Colore: B/N

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: SPHERICAL, 35MM (1:1.33)

Tratto da: idea di Federico Fellini

Produzione: DINO DE LAURENTIIS CINEMATOGRAFICA (ROMA), LES FILMS MARCEAU (PARIGI)

Distribuzione: PARAMOUNT (1957), DVD: FILMAURO (2008)

NOTE
- CONSULENZA ARTISTICA: BRUNELLO RONDI.

- OSCAR 1957 PER MIGLIOR FILM STRANIERO.

- DAVID DI DONATELLO 1957 PER MIGLIORE PRODUTTORE A DINO DE LAURENTIIS E MIGLIORE REGISTA A FEDERICO FELLINI.

- NASTRO D'ARGENTO 1958 PER IL MIGLIOR FILM, MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA (GIULIETTA MASINA) E NON PROTAGONISTA (F. MARZI).

- PREMIO DON BOSCO D'ARGENTO 1958 ALLA RASSEGNA DEL FILM RELIGIOSO DI VALLADOLID.

- PREMIO CINECLUB 1958 PER IL MIGLIOR FILM AL V FESTIVAL DI SAN SEBASTIAN.
CRITICA
"Nonostante la sua struttura episodica l'arco narrativo è rigoroso e armonico, paragonabile a una sinfonia in cui i diversi tempi (gli episodi) si allacciano l'uno all'altro, distaccati ma complementari, per analogia o per contrasto, tutti convergenti alla definizione sempre più approfondita del personaggio principale e del suo destino". (Morando Morandini, "La Notte", 10 ottobre 1957).

"Il poetico, lunare personaggio (Cabiria) non poteva essere espresso che dal cinematografo, ma nel medesimo tempo da un regista come Fellini, perché solo un artista poteva evitare, come qui è
avvenuto, il duplice pericolo del poeticismo, che avrebbe falsato il personaggio, e quello della realtà
triviale, che l'avrebbe reso insopportabile". (Pietro Bianchi, "Il Giorno", 12 maggio 1957).

"S'è parlato di momenti ricorrenti nell'opera di Fellini, messi ulteriormente in evidenza da quest'ultimo suo film. Non pensiamo che qualcuno abbia voluto vedere in ciò il segno del limite e della stanchezza [...]; per conto nostro comunque siamo convinti si tratti di caratteristiche poetiche della sua personalità. Il sapore delle spiagge brulle, dei notturni, il bisogno d'un qualcosa dentro delle persone in solitudine, lo stupore dei piccoli di fronte alle cose meno comuni, la tenerezza dei semplici nel contatto con la natura, la coralità delle persone raccolte in massa sono elementi con i quali Fellini sa fare dell'autentica poesia". (Nazareno Taddei, "Letture", giugno 1957).

"In 'Le notti di Cabiria' c'è il mondo e ci sono i modi di Federico Fellini. Il tumulto della sua interiorità in cui
ribollono fermenti contrastanti; la sua visione cosmica, ancorata alla essenzialità, nella sostanza e nella forma a una mite tenerezza pascoliana, che aureola di magia le figure di quella piccola umanità posta ai limiti della società, la sua conclamata passione per i personaggi picareschi, gli esiliati della vita; la sua incuriosita ricerca delle verità supreme nell'eccezione, nell'abnorme; e infine il suo negarsi ai compromessi e alla accettazione dell'opportuno, del comodo, del facile e del vantaggioso. Non ci sono nel film le significazioni metafisiche che si usa attribuire a Fellini". (Arturo Lanocita, "Corriere della sera", 12 maggio 1957).

"Si sa che l'ala attiva e militante, la pattuglia più viva e problematica del cattolicesimo contemporaneo batte l'accento sul problema della grazia, non su quello della virtù; della riscoperta e riconquista di una religiosità autentica, non su quello dell'osservanza a una precettistica; e che essa potrebbe assumere come insegna la frase, speranzosa ma inquietante, di Mauriac: 'Siamo i primi cristiani'. Da Mauriac, appunto, a Bernanos, da Green a Waugh, è appunto questo fervore di ricerca, svolto attraverso un'indagine coraggiosa del cuore umano, questo tentativo di ricostruire un'immagine evangelica del mondo e dell'uomo, attraverso un'osservazione diretta, spregiudicata della realtà, questa aspirazione a una effettiva autenticità di sentimento religioso, di fede.Ma, anche in questo particolare settore della cultura di oggi, Fellini, se pur vi rientra, occupa una posizione a parte. Pur con l'inclinazione, con l'ansia religiosa che indubbiamente, e sinceramente, ha, non trova soluzione e appagamento nella grazia. Difatti la sua religiosità è indistinta e imprecisa, com'ebbe a constatare un critico cattolico francese, e Zampanò non è la Karin di Rossellini, in lui avviene il risveglio di una coscienza dell'uomo che si scioglie in sentimento, non la folgorazione della grazia o della rivelazione. La grazia non tocca neppure il bidonista Augusto, atrocemente massacrato e condannato: e non tocca neppure a Cabiria. (Glauco Viazzi, "Il Contemporaneo", 12 ottobre 1957).

"Con 'Le notti di Cabiria' Fellini arriva ad un accordo tra autobiografia interiore e simboli, a mio avviso più
alto e raggiunto che non in 'La strada'. Cabiria, fra i personaggi di Fellini, è maggiormente avviata a raggiungere una propria autonomia fantastica. Più calata in terra di Gelsomina, ma non pasticciata come quel miscuglio di cronaca e di moralismo che è il personaggio del bidonista, Cabiria porge la mano ad altri personaggi della nostra cinematografia, e al tempo stesso non si spezza goffamente in due quando arriva a toccare la soglia della coscienza nel sottobosco dei poveri di spirito. Il personaggio di Cabiria circola con naturalezza in mezzo a un mondo per metà intriso di corruzione e indifferenza e per l'altra metà di fanatismo religioso e di candore. (Carlo Lizzani, "Il cinema italiano 1895-1979", Editori Riuniti, 1980).

"Cabiria è una prostituta semplice e candida, nata da una costola di Gelsomina e trasportata in una realtà sociologicamente quasi normalizzata. A differenza di Gelsomina, Cabiria non sarà venduta, ma vende il suo corpo per raggiungere una propria emancipazione. Nel momento finale, in cui si concede a un ennesimo sacrificio, Cabiria scopre il senso e i limiti della condizione umana e ritrova misure di rapporti che considerava perduti. Con una progressione ben visibile il regista punta a fare dei suoi personaggi semplici, marginali, gli eredi del Candide voltairiano. (Gian Piero Brunetta, "Cent'anni di cinema italiano", Laterza, 1991).

"Dove avrà messo Fellini l''angolino della poesia' ne 'Le notti di Cabiria'? In un personaggio, in una situazione, in un ambiente, in un'atmosfera: Chissà. Ma ci sarà. E quei pochi che raccolgono il messaggio di poesia che le opere di Fellini recano agli uomini vedono profilarsi il freddo fantasma della critica che viviseziona la realtà dell'opera, cioè la tecnica del racconto, l'esattezza dei rapporti, la credibilità dell'assunto, e frugando con l'acutezza dell'indagine sapiente troverà dei difetti, sì, ma per il suo metro soltanto, che il metro della poesia ha un rapporto che trascende la realtà e fila diritto al cuore scartando il classico «via occhio-cervello» (Giacinto Ciaccio, "Rivista del cinematografo", maggio 1957).

"Io sono per difendere o attaccare un film in blocco: lo spirito, il tono, lo stile, il respiro prevalgono su una meschina classificazione di scene buone e meno buone. E' possibile che 'Le notti di Cabiria' sia il più diseguale dei film di Fellini, ma i momenti forti sono di tale intensità che esso diventa per me il suo film migliore. Fellini ha corso molti rischi scegliendo di muoversi in 'Le notti di Cabiria' in diverse direzioni e rinunciando in partenza all'unità di tono per sperimentare più campi molto difficili. Che forza in quest'uomo, che dominio bonario della scena, che padronanza sicura e quale invenzione divertita! Giulietta Masina è Cabiria, una piccola, strampalata prostituta romana, ingenua e fiduciosa, sballottata dalla vita, brutalizzata dagli uomini, ma sempre candida. Cabiria è una creazione felliniana che completa logicamente la Gelsomina della 'Strada', ma la tecnica del personaggio e della recitazione è, questa volta, propriamente chaplinesca.Questo personaggio farà inorridire quelli che si aspettano da un film qualcosa di diverso dalle emozioni vive e insolite; ciò non impedisce che Giulietta Masina, quand'anche dovesse un giorno venire a noia, avrà da sola segnato 'un momento' del cinema, come James Dean e Robert Le Vigan. Amo Fellini e, poiché Giulietta Masina ispira Fellini, amo anche Giulietta Masina. Si tratta qui di una comicità di osservazione che deborda continuamente in invenzioni barocche; non attribuendo un grande valore alla comicità d'osservazione, ciò che mi colpisce di più è il movimento finale di ogni episodio quando gli avvenimenti precipitano e la comicità si muta in tragedia. A questo proposito, il finale del film - Cabiria ha sposato lo strano e dolce François Perier - è un prodigio di potenza e di forza, nel senso più nobile del termine. (François Truffaut, 1957).