Le mie notti sono più belle dei vostri giorni

Mes nuits sont plus belles que vos jours

FRANCIA 1987
Uno scienziato dai capelli appena grigi si sente rivelare dal medico che ha un male incurabile. È Lucas, che ha inventato un metodo per comunicare attraverso immagini lessicali. Innamoratosi di Blanche, una ragazza incontrata in un caffè parigino, Lucas la segue a Biarritz, ove quella si produce sfruttando le sue qualità di veggente. Per una coincidenza, nella vita di infanzia di tutti e due vi sono episodi che essi mai hanno dimenticato: lei le liti e le botte furibonde fra padre e madre (che ora l'accompagna in tournée), mentre Lucas ebbe ad assistere alla tragica fine della genitrice, fatta annegare per gelosia dal marito in uno stagno dove si bagnava con un amico. L'amore della coppia non si è ormai tradotto in passione, però Blanche soffre e rievoca assai spesso le sue paure di bambina e Lucas immerge in un marcato squilibrio mentale i suoi farfugliamenti verbali, nell'attesa della morte che gli è stata annunciata. All'alba, tenendosi per mano, i due amanti corrono liberi sulla sabbia verso il mare, nella felicità della loro innocenza ritrovata, per sparire sotto le onde.
SCHEDA FILM

Regia: Andrzej Zulawski

Attori: François Chaumette - Portiere, Sady Rebbot - Francois, Myriam Mézières - Edwige, Sophie Marceau - Blanche, Valérie Lagrange - Madre, Jacques Dutronc - Lucas, Laure Killing - Ines

Soggetto: Raphaele Bolletdoux, Andrzej Zulawski

Sceneggiatura: Andrzej Zulawski

Fotografia: Patrick Blossier

Musiche: Andrzej Korzinski

Montaggio: Marie-Sophie Dubus

Scenografia: Jean-Baptiste Poirot

Altri titoli:

My Nights Are More Beautiful Than Your Days

Durata: 110

Colore: C

Genere: PSICOLOGICO DRAMMATICO

Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI

Produzione: SARIS FILM, PARIS/ALAIN SARDE

Distribuzione: DARK - RICORDI VIDEO, BMG VIDEO (PARADE)

NOTE
COSTUMI: OLGA BERLUTI-BALENCIAGA.
CRITICA
Il meno che si possa dire di questo film di Andrzei Zulawski, è che esso è irritante. Nemmeno provocatorio come si definiscono spesso certe metafore degli intellettuali di presunta avanguardia né demenziale, quando si mette in scena un semplice squilibrato e lo si fa sproloquiare a ruota libera. Consegunza: una trama di per sé semplice e un po' melo lui con i capelli grigi, lei fresca di giovinezza e tutta amore; l'uomo implicato nelle sue immagini verbali, la ragazza mentre intrattiene pubblico e amici stravaganti facendo la Cassandra abbigliata da bajadera. Non si perde di vista la trama, però si annaspa sempre fra la metafora, il kitch, il sesso ed insistite bizzarrie. Un pastiche, insomma, che lascia più insofferenti che indifferenti, senza che si riesca ad afferrare un solo e autentico valore in positivo. Il grigio è il colore che gli si addice, come grigio è il colore assunto dal cielo e dai cavalloni del finale, senza lasciarsi troppo impressionare dal fatto dalla ricerca del bambino che è in noi e dalla cancellazione liberatoria di botte e annegamenti, cui per disgrazia si abbia assistito durante l'infanzia. Come a dire che l'innocenza dell'infanzia si recupera solo nell'accettazione quieta della morte, qui anticipata su richiesta dei due amanti. A rendere i due personaggi sono stati chiamati Sophie Marceau (graziosa, ma nulla più) e Jacques Ducront, adeguatamente fatuo, logorroico e scollato. (Segnalazioni cinematografiche, vol.114, p.128)