TRAMA BREVE
Una storia torbida ambientata in un'afosa estate del 1960 in Kansas. Un misterioso straniero trova lavoro in una fattoria, proprietà di una donna inquieta e tormentata, che lo accoglie con enorme sollievo. Ma il giovane risveglia anche la passione della miss del paese, infrangendo gli equilibri di un'esistenza sonnolenta, portando alla luce, come in un'improvvisa esplosione, tutti i più nascosti segreti.
TRAMA LUNGA
Zona rurale del Kansas, 1960. Nel bar locale arriva Clay. La sua presenza infiamma un bracciante ubriaco, la cui ragazza ha notato l'affascinante straniero. Scoppia una rissa, e Clay viene portato nella fattoria di Delilah Potts, la vedova che tiene in mano il destino del paese. Assunto come bracciante, Clay non tarda a rendersi conto della situazione. Delilah ha un figlio, Flyboy, chiuso e solitario, che lei schiavizza e umilia davanti a tutti. Clay fa amicizia con Flyboy e lo aiuta ad essere più indipendente, fino al punto di fargli vivere la prima esperienza sessuale con Kitty, una ragazza del luogo molto sicura di sé. Venutane a conoscenza, Delilah cerca di interrompere questa situazione, si atteggia in modo sessualmente provocatorio con Clay e lo fa pestare dal suo amante Joel. Flyboy prova ad opporsi al ritorno della mamma, ma senza successo e restandone vittima quando scopre che Kitty non lo ama. Delilah a questo punto non può più nascondersi, e deve rivelare che da giovanissima, morta la madre, ha subito a lungo la violenza del padre, ha avuto un figlio non desiderato, si è prostituita ed ha infine sposato per pura opportunità l'anziano padrone del ranch. Dopo che Delilah è stata costretta a raccontare il proprio passato, la vita al ranch sembra incamminarsi su altri binari. Clay allora decide di lasciare il luogo e di proseguire con Kitty il cammino verso altre, imprecisate mete.
SCHEDA FILM
Regia: John Patrick Kelley
Attori: Kate Capeshaw - Delilah Ashford Potts, Jeremy Davies - Joseph 'Flyboy' Potts, Vince Vaughn - Clay Hewitt, Ashley Judd - Kitty, Paul Rudd - Earl, Daniel Meyer - Joel Carter, Jessica Capshaw - Patsy, Jessie Robertson - Ellen, Jimmy Pickens - Cameron, Jerry Haynes - Harlan, Il Barista, Jason Davis - Wrangler
Soggetto: John Patrick Kelly
Sceneggiatura: John Patrick Kelly
Fotografia: Phedon Papamichael
Musiche: Carter Burwell
Montaggio: Erica Flaum, Kathryn Himoff
Scenografia: Sherman Williams
Costumi: Gail McMullen
Effetti: Lars Sloan
Durata: 126
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:2.35), PANAVISION - DELUXE
Produzione: MOTION PICTURE CORPORATION OF AMERICA - SANTA MONICA
Distribuzione: COLUMBIA TRISTAR HOME VIDEO
NOTE
- PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 54MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA NELLA SEZIONE MEZZOGIORNO (1997).
- REVISIONE MINISTERO LUGLIO 1997.
CRITICA
"Mi sono spesso chiesto che cosa rendeva affascinanti le intorcinate e morbose trame dei drammi di Tennessee Williams nelle leggendarie messe in scena di Elia Kazan a Broadway e di Luchino Visconti da noi. La risposta emerge da questo filmetto "alla Williams" che si intitola a una metafora zoologica, Le locuste (ovvero gli animaletti che si svegliano e cantano una sola estate), scritto e diretto fuori tempo massimo dall'esordiente John Patrick Kelley. Dove Vince Vaughn, vagabondo in canottiera travestito da Marlon Brando come per un ballo in maschera, arriva in un borgo del Texas e si impiglia nelle trame di Kate Capshaw (nella vita signora Spielberg), baronessa del bestiame e perfida castratrice del figlio Jeremy Davies. Vince resiste alle oscene brame della matriarca fumatrice e alcolista e si fa paladino del riscatto dell'imbranato Jeremy, ma viene ricattato perché ha uno scheletro nell'armadio, come del resto la sua persecutrice che arriva da una storia di incesti e violenze da oscurare il record degli Atridi. L'orrendo intrigo culmina in un paio di suicidi, che si aggiungono a quelli avvenuti nel prologo, mentre Vince fugge stralunato in compagnia della morbida salvatrice Ashley Judd. Il tutto in un contesto manieristico incredibile e insopportabile, recitato male e girato senza grazia. E poiché la storiaccia non si discosta granché da Pelle di serpente o da La gatta sul tetto che scotta, possiamo concluderne che quelle si accettavano e questa no perché là c'era (e non è poco) la vertiginosa bravura stilistica e la qualità poetica della scrittura di un drammaturgo che resta fra i grandi del secolo. Qui siamo sul terreno dell'imitazione, ingenua o presuntuosa, e il risultato è quello che è".
(Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 18 luglio 1998)