In un villaggio dell'Hunsrück a metà del XIX Secolo, la popolazione è costretta a vivere in gravi condizioni e per questo molti di loro devono prendere una difficile decisione: restare o lasciare la propria casa per sempre, alla ricerca della libertà e di un futuro migliore. Jakob, il più giovane figlio di una famiglia di contadini e artigiani sogna di trasferirsi con il suo grande amore in Brasile. Il suo progetto, però, viene improvvisamente messo in discussione quando il fratello maggiore Gustav torna dal servizio militare...
SCHEDA FILM
Regia: Edgar Reitz
Attori: Jan Dieter Schneider - Jakob Simon, Antonia Bill - Jettchen, Maximilian Scheidt - Gustav Simon, Marita Breuer - Margarethe Simon, Rüdiger Kriese - Johann, Mélanie Fouché - Lena Zeitz, Eva Zeidler - Nonna, Reinhard Paulus - Zio, Barbara Philipp - Sig.ra Niem, Christoph Luser - Franz Olm, Rainer Kühn - Dottor Zwirner, Andreas Kulzer - Padre Wiegand, Julia Prochnow - Sophie Gent, Martin Haberscheidt - Fürchtegott Niem, Dettmer Fischbeck - Vicino, Kathy Becker - Vicina, Annette Grings-Doffing - Vicina, Astrid Roth - Vicina, Klaus Meininger - Insegnante, Jan Peter Nowak - Fratello Morsch, Johannes Grosse - Fratello Morsch, Konstantin Buchholz - Barone, Martin Schleimer - Walter Zeitz, Zoé Wolf - Margot piccola, Werner Klockner - Locandiere, Jeroen Perceval - Agente dell'immigrazione, Jürgen Thelen - Agente dell'immigrazione, Benjamin Krämer-Jenster - Banditore
Sceneggiatura: Edgar Reitz, Gert Heidenreich
Fotografia: Gernot Roll
Musiche: Michael Riessler
Montaggio: Uwe Klimmeck
Scenografia: Anton Gerg, Hucky Hornberger
Costumi: Esther Amuser
Effetti: Helmut Neudorfer
Altri titoli:
Home From Home - Chronicle of a Vision
Durata: 230
Colore: B/N-C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: HAWK SCOPE, CINEMASCOPE, DCP 4K AND 2K
Produzione: ERF-EDGAR REITZ FILM (ERF), IN COPRODUZIONE CON LES FILMS DU LOSANGE, ARD DEGETO FILM, ARTE GEIE, BAYERISCHER RUNDFUNK (BR), WESTDEUTSCHER RUNDFUNK (WDR)
Distribuzione: RIPLEY'S FILM, VIGGO, NEXO DIGITAL (2015)
Data uscita: 2015-03-31
TRAILER
NOTE
- FUORI CONCORSO ALLA 70. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2013) HA OTTENUTO LA MENZIONE SPECIALE DEL MOUSE D'ARGENTO.
CRITICA
"Narratore nel senso pieno del termine, uno dei pochi capaci di usare il cinema come autentica materia romanzesca (penso al Kobayashi di 'La condizione umana' o al Satyajit Ray del 'Mondo di Apu' più che al Truffaut di Antoine Doinel), Edgar Reitz non si è accontentato di raccontare magistralmente le tante facce dell'anima tedesca del Novecento con le tre serie di 'Heimat' (...) ma ha sentito il bisogno di scavare più indietro nel tempo, nella metà dell'Ottocento, per ritrovare le radici della famiglia Simon e dell'idea di 'Heimat', terra d'origine, patria politica, ma anche luogo dove ci si sente a casa. (...) Lontanissimo dal ripetitivo meccanicismo della serialità televisiva, nei primi tre 'Heimat' Reitz era partito dall'«esperienza vissuta» della gente comune per rielaborarla attraverso quel che si era depositato nella memoria collettiva e poi incrociarla con i punti di vista dei nuovi arrivati sulla scena della Storia. Senza preoccuparsi di seguire una qualche linearità narrativa ma alternando salti a dilatazioni temporali, inseguendo piste secondarie che poi abbandonava per seguirne altre. Con 'L'altra Heimat - Cronaca di un sogno' il regista (...) mantiene la stessa libertà inventiva ma costruisce un'opera più unitaria - e molto più breve - tutta «concentrata» sul sogno del giovane Jakob Simon (...). Ma la centralità del personaggio non impedisce al film di aprirsi sulla Storia di quegli anni, su una vita quotidiana fatta di povertà e fatica (i Quaranta furono anni di fame e carestie), raccontando le rigidità della religione (il fabbro ripudia la figlia Lena perché ha sposato un cattolico mentre loro sono tutti protestanti) o i diktat delle leggi (chi emigrava non poteva più tornare in patria) o ancora i flagelli delle malattie (commovente la scena in cui la vecchia madre ricorda i sei figli che gli sono morti; straziante il funerale collettivo dei sette bambini morti in una notte per l'epidemia di difterite) ma anche i primi segnali del progresso (...) o la divertente partecipazione di Werner Herzog (...). Tutto questo Reitz (con il suo direttore della fotografia Gernot Roll) lo filma con una macchina digitale che sembra moltiplicare all'infinito le sfumature del bianco e nero, lasciando al colore solo rarissimi e mirati interventi. Unite al formato panoramico che ingigantisce il ruolo della natura (dove l'uomo rischia a volte di sparire), queste immagini restituiscono allo spettatore la forza di un affresco che va al di là della «semplice» ricostruzione storica per accentuare l'empatia con un mondo e un'esperienza che, pur lontani negli anni, si rivelano vicinissimi e affascinanti." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 30 marzo 2015)
"Fin dalle prime inquadrature, «delimitate» dalla voce del narratore, che ne è anche protagonista, il nuovo film di Edgar Reitz dichiara la sua scommessa che è quella di rendere immagine il potere della parola. (...) bravissimo Jan Dieter Schneider (...). (...) il paese di Schabbach è immaginario, luogo dell'anima o della memoria che sorge in quell'oscillazione tra il vissuto del regista, nato in quella regione, e la sua presa di distanza. Solo lui conosce il modo per arrivarci, come nel film verso il finale ci mostra lo scambio tra Werner Herzog, nei panni del sapiente von Humboldt, e lo stesso Reitz in quelli di un contadino della zona che gli indica il cammino. Questo contrappunto di riflessi, e la scelta esplicita del punto di vista di Jakob come riferimento non solo narrativo ma anche visuale ci dicono di un gioco infinito dell'immaginario, in cui la sfida dell'immaginazione produce realtà. Storia, storie più vere nel loro essere messinscena. Nel suo bianco e nero, tagliato da sciabolate di luce, omaggio impossibile al cinema del passato, e da improvvisi punti di colore Reitz indaga la natura dell'affabulazione, conducendoci nei sentimenti e nei desideri che appartengono al patrimonio collettivo dell'umanità. La sua scommessa ha il respiro di un'avventura appassionante che si immerge nel potere dell'immaginario, in quel desiderio pericoloso di inventare altri mondi. Pensando che la rivoluzione può nascondersi anche in un riflesso di luce sulla pietra d'agata." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 27 marzo 2015)
"(...) Edgar Reitz, che dopo aver esplorato i passaggi cruciali del '900 con le prime tre gloriose serie di 'Heimat', si è spinto in piena epoca romantica con questo magnifico film. (...) Naturalmente bisogna dimenticare tutto ciò che possiamo accostare al cinema in costume e alle immagini convenzionali dell'epoca romantica. In queste quasi 4 ore in bianco e nero, punteggiate da rare 'apparizioni' a colori (magia del digitale), domina un romanticismo visto per così dire dal basso, cioè con gli occhi del giovane Jakob (il portentoso Jan Dieter Schneider, attore per caso). (...) È un personaggio bellissimo, che si scoprirà dotato di poteri quasi magici (c'è chi accosta la Schabbach di Reitz alla Macondo di Marquez) e basterebbe da solo a rendere memorabile questa saga contadina eternamente sospesa una spanna sopra le durezze della vita quotidiana proprio per la tensione fantastica espressa da Jakob. (...) per la capacità di fondere la dimensione epica e quella intimistica, i sentimenti del protagonista e quelli di tutto un popolo che in quegli anni scopre i propri diritti, la promessa di una vita diversa (dal Brasile arrivano reclutatori con il pappagallo sulla spalla che promettono terre rigogliose e estati infinite), ma soprattutto una nuova tolleranza (la sorella di Jakob è stata ripudiata dal padre perché ha sposato un cattolico) e un rapporto inedito con l'autorità. Anche se Reitz, classe 1932, sfugge con ostinato orgoglio le facili occasioni di 'drammatizzazione' che gli offrirebbe il racconto per concentrarsi su ciò che fa la vera grandezza del suo cinema dai tempi di 'Heimat 2' (che con le sue 13 puntate nei primi anni 90, in largo anticipo sulle strombazzate serie tv di oggi, fu un vero fenomeno, in particolare in Italia). Ovvero la capacità di restituire grandezza, spessore e profondità alle cose della vita di tutti i giorni. Risacralizzando, per così dire, l'esistenza, ma tenendosi al di fuori da ogni dimensione religiosa (basti per tutte la scena della morte dello zio). Un autentico dono. Per lui e per noi." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 1 aprile 2015)