SCHEDA FILM
Regia: Enzo Decaro
Attori: Anna Cugini - Daniela, Tosca D'Aquino - Antonella, Roberto De Francesco - Andrea, Pietro De Vico - Salvatore, Enzo Decaro - Saverio, Nicola Di Pinto - Ugo, Ninni Bruschetta - Corrado, Dodo Gagliarde - Tammaro, Marina Viro - Maddalena, Angelo Orlando - Orlando, Nicola Pistoia - Dino, Remo Remotti - Onesti, Christina Russo - Sabrina, Roberto Russoniello - Carletto, Mimmo Sepe - Alfredo, Sergio Solli - Geppino, Corrado Taranto - Tanrantino, Alfredo Vasco - Caruso, Iaia Forte - Edvige, Gennaro Cannavacciuolo - Tullio, Anna Campori - Mariateresa, Gianni Savoia - Gervasio, Michele Mirabella - Duilo, Nicola Vigilante - Uomo Capo
Sceneggiatura: Enzo Decaro
Fotografia: Raffaele Mertes
Musiche: Roberto Petrozzi
Montaggio: Filippo Bussi
Scenografia: Beatrice Gallo
Durata: 89
Colore: C
Produzione: SIGNORE E SIGNORI - BANFILM (PARIGI)
Distribuzione: INDIPENDENTI REGIONALI
CRITICA
"Personaggi e situazioni che si intrecciano di continuo fra loro anche se De Caro, che oltre alla regia ha curato il testo, si è intenzionalmente tenuto lontano da un intreccio vero e proprio: lasciando che siano solo i singoli casi a parlare. Non certo per far filosofia o per indurre puntigliosamente a ragionare su quei furti di futuro che intendono fare da supporto alle varie vicende, ma per cavarne, ad ogni angolo, emozioni e sensazioni: ora quasi tenere, ora con un'ironia a freddo, ora con malizie sottili, ora lasciando spazi generosi a una comicità di testa che riesce a insinuarsi sempre nei caratteri di ciascuno, o per una battuta fulminea o per un gesto o un accento portati leggermente e abilmente un po' sopra le righe. Proponendo sempre tutto dal vero, con una vitalità di rappresentazioni che trova nel minimalismo realista la sua ragione estetica più salda, specie in quella galleria di facce cui attori spesso poco noti conferiscono una coloritissima intensità espressiva, anche con pochi accenni, anche privilegiando solo il silenzio. Un'opera fine, perciò, molto curata nelle immagini sempre tra l'autentico e il reinterpretato e commentata da musiche classiche e moderne piegate con gusto non solo a sottolineare momenti e stati d'animo, ma soprattutto i ritmi dell'azione, a cominciare da quelli più interni e segreti. Quando il cinema italiano non si ferma soltanto all'immediato." ('Il Tempo', 16 Aprile 1992)
"Il risultato è un film impreciso, percorso da strani fremiti, battute fugaci, dialoghi scomposti o afasici, atmosfere apatiche, numerosi richiami alle tradizionali situazioni: eduardiane ('ti piace la televisione?' invece che il presepe). Qualcosa non funziona nell'economia generale di questo spaccato d'umanità, che aspetta, medita e straparla, che esorcizza il futuro cercando di rubarne - senza saperlo - l'essenza. D'altro canto è forse proprio la frammentazione espressiva così simile al balbettìo a costituire il fascino (seppure irrisolto) del film, uno dei tanti che l'insolente distribuzione italiana ha colpevolmente ignorato. Bravi alcuni giovani attori: il blasé Ninni Bruschetta, l'almodovariana Iaia Forte, il timido Roberto De Francesco, l'introverso Angelo Orlando." (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 24 Aprile 1992)
"'A ciascun giorno è sufficiente la sua pena'. Cita il 'Vangelo secondo Matteo' il nuovo film di Enzo Decaro, che qualcuno ricorderà come il bello della Smorfia accanto a Troisi e Arena. Ma non è una scritta incongrua perché dentro 'Ladri di futuro', quasi un numero zero di un più vasto progetto cinetelevisivo mai decollato, spira un'aria dolente e pietosa in linea con il neorealismo rosa caro al suo autore. 'Frammenti di vita in bozza, schegge di un giorno che passa senza troppo rumore, attimi fuggenti e ore pigre e sedentarie', sintetizza De Caro presentando alla stampa questo film affollato di giovani attori partenopei e ambientato in un caseggiato popolare della vecchia Napoli. (...) Garbato nel tono, anche se non sempre controllato nella scrittura, 'Ladri di futuro' segna un passo in avanti nella carriera registica di De Caro: per la verità che traspare da certi passaggi comici, per la discrezione della cinepresa, per l'equilibrio bizzarro che si crea tra le coloriture dialettali e i contrappunti musicali (Ravel, Strauss e anche un blues di Willie Dixon)." (Michele Anselmi, 'L'Unità', 15 Aprile 1992)