Dall'arresto all'esecuzione, gli ultimi giorni di vita di Sophie Scholl, una giovane studentessa tedesca che insieme al fratello e pochi altri, nel 1943 in Baviera, tentò di opporsi al Nazismo con il gruppo della "Rosa bianca".
SCHEDA FILM
Regia: Marc Rothemund
Attori: Julia Jentsch - Sophie Scholl, Gerald Alexander Held - Robert Mohr, Fabian Hinrichs - Hans Scholl, Johanna Gastdorf - Else Gebel, André Hennicke - Dottor Roland Freisler, Florian Stetter - Christoph Probst, Johannes Suhm - Alexander Schmorell, Maximilian Bruckner - Willi Graf, Lilli Jung - Gisela Schertling, Jörg Hube - Robert Scholl, Petra Kelling - Magdalena Scholl, Franz Staber - Werner Scholl
Sceneggiatura: Fred Breinersdorfer
Fotografia: Martin Langer
Musiche: Johnny Klimek, Reinhold Heil
Montaggio: Hans Funck
Scenografia: Jana Karen-Brey
Costumi: Natascha Curtius-Noss
Effetti: Dominik Trimborn, Thomas Bedenk
Altri titoli:
Sophie Scholl: The Final Days
Durata: 117
Colore: C
Genere: BIOGRAFICO DRAMMATICO
Specifiche tecniche: KODAK
Produzione: GOLDKIND FILMPRODUKTION, BROTH FILM
Distribuzione: ISTITUTO LUCE
Data uscita: 2005-10-28
NOTE
- ORSO D'ARGENTO PER LA MIGLIOR REGIA E LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE E PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL 55MO FESTIVAL DI BERLINO (2005).
- NOMINATION OSCAR 2006: MIGLIOR FILM STRANIERO.
CRITICA
"'Sophie Scholl - Gli ultimi giorni' racconta l'arresto, il processo e la messa a morte della giovane bavarese che insieme con il fratello e altri animò nel 1943 il movimento antinazista della "Rosa Bianca". Per chi frequenta da anni la Berlinale, assistere alla proiezione di questo film al Festival è stata un'esperienza nuova. Fino a qualche tempo fa, infatti, ogni pellicola impegnata a rivangare orrori e miserie del Terzo Reich suscitava qui, nel buio della sala, segnali di inquietudine, un vago disagio, una smania di arrivare presto al riaccendersi delle luci. Niente di tutto ciò si è percepito ieri assistendo al film di Marc Rothemund: solo un religioso silenzio, una commozione crescente e un vibrante applauso finale. Scandito dal passaggio di due generazioni, il tempo ha sdoganato i sensi di colpa, i risentimenti per la guerra perduta, le amarezze dei prezzi pagati negli anni difficili. (...) A parte una blanda riserva sulla tessitura drammaturgica, lo stile del film è secco, privo di retorica o sentimentalismo: e i duellanti sono incarnati da un paio di eccezionali talenti del teatro di Monaco, Julia Jentsch e Alexander Held, attento a far trapelare la contraddittoria umanità del funzionario. E mentre lei porge il collo alla mannaia con uno stoicismo che ricorda Chaplin nel finale di Monsieur Verdoux, nell' occhio dell'inquisitore si legge in anticipo la sconfitta che decreterà la storia." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 14 febbraio 2005)
"L'opera terza del trentaseienne Marc Rothemund si concentra sull'opposizione al nazismo impersonata dal coraggioso gruppo bavarese della 'Rosa bianca'. Adottando il punto di vista della studentessa Sophie Scholl, condannata a morte assieme ai confratelli nel febbraio del '43, il film racconta con buon ritmo e solide interpretazioni (soprattutto quella della protagonista Julia Jentsch) gli ultimi sei giorni dell'eroina di una resistenza interna generalmente ignorata. Senza rinnovare clamorosamente, peraltro, lo sterminato archivio del cinema anti-nazista e tutto il suo repertorio di crudeltà della Gestapo, processi farsa e fanatismi assortiti dei mandanti e degli esecutori fedeli all'ormai vacillante regime: è bene ribadire che non tutti i tedeschi erano militanti, ma sarebbe stato meglio usare una sceneggiatura meno scontata e uno stile più sorprendente." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 14 febbraio 2005)
"'La Rosa Bianca' di Marc Rothemund purtroppo è una storia vera. Premiato a Berlino e candidato dalla Germania all'Oscar, il film si concentra sugli ultimi sei giorni di vita Sophie, arrestata con suo fratello mentre distribuiva volantini all'Università, e dà vita a un commovente ritratto di una delle poche eroine della resistenza tedesca. Segno che in Germania esiste l'esigenza di fare i conti con il passato, non dimenticando chi è morto per dare un futuro di pace al proprio paese. Il regista infatti segue in modo fedele, anzi dettagliato, i verbali originali dell'interrogatorio della Gestapo per realizzare questo racconto drammatico che, nonostante il tema, non lascia nessuno spazio ai sentimentalismi facili. Ben scritto e magnificamente interpretato." (Roberta Bottari, 'Il Messaggero', 27 ottobre 2005)
"In una cornice d'epoca naturalistica ed essenzializzata, Rothemund segue la strada di riallacciarsi alla tradizione romantica tedesca, ponendo l'accento sulla giovinezza come categoria dello spirito nella chiave di una scelta di purezza assoluta a costo della morte. Le scene che confrontano un lungo interrogatorio la Scholl a un implacabile inquisitore della Gestapo, il quale forse avvinto dalla fermezza interiore della prigioniera tenta paradossalmente di suggerirle una via di salvezza rimandano al teatro ideologico di Schiller, sempre in sospetto di schematismo: ma la struggente eroina, che rifiuta ogni compromesso affinché il suo gesto risulti esemplare, impone sullo schermo una vibrante nota di emozione. Potrebbe essere un personaggio di Kleist questa Sophie che commuove proprio perché in un'epoca smorta e opaca ci ricorda quanto può essere grande e sublime agire secondo coscienza." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 28 ottobre 2005)
"A parte una possibile riserva sulla tessitura drammaturgica, che ogni tanto sembra ispirata al senno di poi, lo stile del film è secco, privo di retorica o sentimentalismo: e i duellanti sono incarnati da un paio di eccezionali talenti del teatro tedesco, Julia Jentsch (primattrice dei 'Muenchner Kammerspiele', da molti considerata la nuova Jutta Lampe) e l'eclettico Alexander Held (popolare in Germania, soprattutto come interprete di musical). E mentre la vittima porge il collo alla mannaia con uno stoicismo che ricorda Chaplin nel finale di 'Monsieur Verdoux', nell' occhio del poliziotto si legge in anticipo la condanna che sulla sua parte decreterà la storia. Se l' espressione non fosse rischiosa proporrei di considerare 'La rosa bianca' un film dell'obbligo. E non solo per la serietà con cui rinfresca la memoria su uno dei rari esempi di resistenza contro Hitler, ma per le riflessioni che l' esempio di Sophie può suggerire in un mondo come quello di oggi dove sono ormai legione le persone disponibili a dare la vita per un' idea però trascinandosi dietro molte altre vite. Nelle file degli integralisti islamici continuano infatti a infoltirsi le liste d' attesa degli aspiranti kamikaze, affascinati dalla macabra prospettiva di farsi esplodere in mezzo a folle di vittime innocenti; e i nastri con i testamenti parlati degli attentatori si comprano o noleggiano nei negozi di video, come abbiamo appreso dal film 'Paradise Now'. Paragonata a tale ondata di follia postmoderna, la linea di condotta dei congiurati di 'La rosa bianca' dimostra che si può compiere il gesto più radicale, oltre che politicamente efficace, limitandosi a mettere in ballo la propria vita senza prendere in mano un arma né fare del male a nessuno." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 29 ottobre 2005)
"Quei giovani erano tutt'altro che ingenui. Idealisti, forse, ma non sprovveduti. Sapevano di muoversi pericolosamente circondati da una maggioranza di fanatici o, nella migliore delle ipotesi, di ignavi silenziosi, incapaci di far sentire il loro scontento, la loro protesta. Erano consci del rischio, ma la loro coscienza intimò di non cedere a nessun compromesso: "La libertà è il più prezioso tesoro che abbiamo", sostenevano nei loro volantini. Per quella libertà erano disposti a pagare con la vita. (...) Il ritmo del film - opera terza di Rothemund - è drammaticamente incalzante, asciutto, anche se a tratti sembra trasparire la rilettura a posteriori. Tuttavia non c'è segno di retorica. Il regista non indulge neppure a facili sentimentalismi. Del resto i due protagonisti principali, la Scholl e Mohr, sono interpretati con grande bravura da Lulia Jentsch e Alexander Held, che danno vita a personaggi veri, credibili. Inoltre la sceneggiatura - che rispetta rigorosamente la verità storica dei fatti - ha un vantaggio rispetto a quella dei due pur significativi film precedenti sulla Rosa Bianca, entrambi del 1982, "Die Weiße Rose" di Michael Verhoeven e "Fünf letzte tage" (I cinque ultimi giorni) di Percy Adlon: l'aver potuto attingere a materiale finora inedito.
Si tratta dei verbali degli interrogatori finiti negli archivi della Germania dell'Est e disponibili dal 1990 - il 90% dei dialoghi sono tratti da questa fonte - unitamente alle interviste effettuate dallo stesso regista alla sorella di Sophie, alla nipote di una compagna di cella, Else Gebel, alla sorella di un altro membro del gruppo e al figlio di Mohr, Robert.
Ma rispetto ai due film precedenti è cambiato anche il momento storico. La stessa entusiastica accoglienza ricevuta da questa pellicola in patria testimonia il mutamento dei tempi. Non più disagio, insofferenza, fastidio, ma forse anche un senso di riscatto, di liberazione dal peso di un passato troppo terribile.
Al pari di pellicole come "Schindler's list" e "La vita è bella", questo film dovrebbe essere tra quelli da proiettare obbligatoriamente nelle scuole (oltre che da mandare in onda in televisione), per insegnare ai giovani la lezione della storia. E per far capire loro che c'è un modo diverso di combattere per i propri ideali, per la libertà, che non sia il farsi saltare in aria su autobus e treni affollati di persone inermi, come accade oggi. I fratelli Scholl e i loro amici scelsero una via pacifica e si sacrificarono liberamente pur di non cedere ad un potere che non riconoscevano. "Le leggi cambiano, la coscienza no", risponde Sophie al suo accusatore.
Davvero il loro sacrificio - pur ininfluente sul corso degli eventi storici - non è stato inutile. Il loro esempio resta come un faro in tempi oscuri, una lezione di civiltà, di libertà, di amore perfino, oltre che di una fede radicata e vissuta, che non si piega a nessun compromesso. Ci piace concludere con una citazione di Romano Guardini che ben sintetizza il senso della testimonianza di quei giovani, tratta dal volume "La Rosa Bianca" (Morcelliana) che raccoglie due commemorazioni del gruppo da lui tenute a Tubinga nel 1945 e a Monaco nel 1958: "Erano persone normali, che vivevano intensamente la loro vita; gioivano delle belle cose che la vita regalava loro e sopportavano le difficoltà imposte. Guardavano diritto al futuro, pronti all'opera buona e fiduciosi nelle promesse che la giovinezza porta con sé. Ma erano cristiani per convinzione. Stavano nello spazio della fede, e le radici della loro anima affondavano in quelle profondità di cui si è parlato. Non è nostro compito indagare in che modo siano affiorate alla loro coscienza le interpretazioni ultime. Che sia successo, sia pure in modo velato e indiretto, è sicuro. Di certo hanno lottato per la libertà dello spirito e per l'onore dell'uomo, e il loro nome resterà legato a questa lotta. Nel più profondo hanno vissuto però nell'irradiazione del sacrificio di Cristo, che non ha bisogno di alcun fondamento nell'esistenza immediata, ma sgorga libera dalla fonte creativa dell'eterno amore". (Gaetano Vallini, "L'Osservatore Romano", 2/3 novembre 2005)