In un piccolo paese alle foci del Po ha luogo la controversa relazione tra Hassan, un meccanico tunisino, onesto lavoratore stimato e rispettato dai suoi compaesani, e Mara, una giovane supplente che ha accettato l'incarico di insegnante a tempo determinato mentre è in attesa di partire per un progetto di cooperazione in Brasile. Testimone degli avvenimenti che vedono protagonisti i due amanti è Giovanni, un giovane aspirante giornalista, amico di Hassan, costretto a fare i conti con i suoi sentimenti di amicizia e con il dovere di cronaca.
SCHEDA FILM
Regia: Carlo Mazzacurati
Attori: Giovanni Capovilla - Giovanni, Ahmed Hafiene - Hassan, Valentina Lodovini - Mara, Giuseppe Battiston - Amos, Roberto Abbiati - Bolla, Natalino Balasso - Franco, Stefano Scandaletti - Guido, Mirko Artuso - Frusta, Fabrizio Bentivoglio - Bencivegna, Marian Rocco - Eva, Fadila Belkebla - Jamila, Dario Cantarelli - Tiresia, Raffaella Cabia Fiorin - Zia Giacinta, Silvio Comis - Padre di Giovanni, Nicoletta Maragno - Pubblico Ministero, Ivano Marescotti - Avvocato
Soggetto: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati
Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
Fotografia: Luca Bigazzi
Musiche: Tin Hat
Montaggio: Paolo Cottignola
Scenografia: Giancarlo Basili
Costumi: Francesca Sartori
Suono: Remo Ugolinelli - presa diretta
Altri titoli:
The Right Distance
Durata: 106
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: DOMENICO PROCACCI PER FANDANGO IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA
Distribuzione: 01 DISTRIBUTION, DVD: 01 DISTRIBUTION HOME VIDEO
Data uscita: 2007-10-20
TRAILER
NOTE
- FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MIBAC.
- PREMIO 'L.A.R.A.' (LIBERA ASSOCIAZIONE RAPPRESENTANZA DI ARTISTI) A GIUSEPPE BATTISTON COME MIGLIOR INTERPRETE ITALIANO ALLA II^ EDIZIONE DI 'CINEMA. FESTA INTERNAZIONALE DI ROMA' (2007).
- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2008 PER: MIGLIOR FILM, REGIA, SCENEGGIATURA, ATTRICE PROTAGONISTA, ATTORE NON PROTAGONISTA (AHMED HAFIENE), FOTOGRAFIA, MONTAGGIO, FONICO DI PRESA DIRETTA E DAVID GIOVANI.
- NASTRO D'ARGENTO 2008 A DORIANA LEONDEFF E CARLO MAZZACURATI PER IL MIGLIOR SOGGETTO. GIUSEPPE BATTISTON ERA STATO CANDIDATO COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA.
CRITICA
"Eppure l'amaro lieto fine del film finisce per sembrare l'ennesima trovata di sceneggiatura, che in qualche modo rassicura l'emotività del pubblico ma che anche banalizza con le tinte forti del giallo i delicati chiaroscuri della prima parte. Mettendo a nudo la mancanza di coraggio, o forse di fantasia, di certo cinema italiano, che fatica a trovare una strada convincente tra ambizioni e necessità, tra mondo poetico e scorciatoie narrative. Mazzacurati ha il coraggio di scegliere ambientazioni e personaggi insoliti, di dirigere gli attori al meglio. Qui non ha trovato la forza per essere coerente fino in fondo." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 20 ottobre 2007)
"Il fascino del film sta altrove. Nei paesaggi, in primis: Mazzacurati torna sui luoghi del suo brillantissimo esordio, 'Notte italiana' (1987), e li racconta col senno di poi. E' un nord-est abbagliante, magnificamente fotografato da Luca Bigazzi, nel quale si nascondono solitudini, rancori, violenze inespresse. Si parla anche di immigrazione, di lavoro in nero, della voglia di fuggire da un delta inquinato come il fiume che lo forma. 'La giusta distanza' è il ritratto di un paese malato, in cui forse è inutile cercare colpevoli perché nessuno è innocente. Molto bravi i due protagonisti (Valentina Lodovini e Ahmed Hafiene), brillanti cammei di tre talenti quali Fabrizio Bentivoglio, Giuseppe Battiston e Ivano Marescotti." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 20 ottobre 2007)
"Dopo la commedia, il giallo. Dopo le risate, i delitti. Non abbiamo ancora seppellito la cara vecchia commedia italiana che già un altro genere pare essersi impadronito del nostro immaginario. Come se ormai per raccontare l'Italia l'unica lente possibile, o comunque la migliore, fosse quella noir. Un (allarmante) segno dei tempi o solo l'ennesima moda passepartout? Naturalmente c'è nero e nero, e quello di Mazzacurati, che esordì in tempi non sospetti con il programmatico 'Notte italiana', è uno dei più ricchi e sfumati, proprio perché una volta si fondeva felicemente alla commedia. I tempi però sono cambiati e 'La giusta distanza' è invece un noir nero pece che puntando lo sguardo su una piccola porzione del paese allude a mali assai più diffusi. Solo che rinunciando sempre più a quel tanto di commedia che nutriva il suo sguardo, il regista padovano perde per strada il sapore di verità che avevano i suoi personaggi, qui prigionieri di un teorema che funziona sulla carta ma un po' meno sullo schermo. Era molto bella, ad esempio, l'idea di osservare tutto attraverso lo sguardo innocente (poi sempre meno innocente) del giovanissimo giornalista che scrivendo su piccole storie di provincia per il quotidiano locale si trova a far luce su un atroce delitto (l'intonatissimo Giovanni Capovilla). Ma il film alterna troppi punti di vista diversi per non smarrirsi, così come amalgama con qualche affanno i tanti diversi microcosmi che compongono l'insieme (...). E via componendo un allarmante quadro di provincia che regge forse sociologicamente ma suona assai meno vero sul piano più intimo, che è quello decisivo al cinema. Tanto da far pensare che 'La giusta distanza', bel titolo teorico, sia la spia di un disagio più generale. Per cui tolte poche eccezioni, nel cinema italiano d'oggi il problema paradossalmente torna a essere il realismo, in fondo poco diffuso; mentre altri, da Garrone a Sorrentino, tentano uno sguardo grottesco o neo-espressionista per dar forma al presente. E Mazzacurati finisce suo malgrado in una terra di nessuno in cui è difficile riconoscersi davvero." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 ottobre 2007)
"'La giusta distanza' racconta l'anima profonda e misteriosa non solo della provincia, ma di una comunità terrorizzata, sempre più schiava di pregiudizi e terrore. Con forza e senza forzature, un po' come 'La ragazza del lago' di Molaioli, i crimini di cui scrive l'aspirante reporter Giovanni, il nostro Caronte in questo viaggio verso un normalissimo inferno, sono solo un pretesto per raccontare tutto questo. Tanto buon mestiere e un talento rigoroso ci accompagnano in una storia dalla sceneggiatura ben congegnata, con una bella regia mai invadente e una piacevole cura dei particolari. Piace il cammeo divertito di Fabrizio Bentivoglio e i tanti comprimari che regalano anche solo poche battute. Mazzacurati dopo lo scivolone de 'L'amore ritrovato' torna a raccontarci il mondo con i suoi occhi, gentili, acuti e intelligenti, aiutato dalla fotografia dell'ottimo Luca Bigazzi. Molti storceranno il naso: una storia normale senza fronzoli che svela la realtà nella sua banale meschinità è dura da digerire. E per non farsene toccare molti manterranno la giusta distanza dal film." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 20 ottobre 2007)
"Un film curato nelle atmosfere, ben recitato, tendente al giallo, ma in realtà intento a scavare nel retroterra di un'Italia schiva e periferica, dove la tragedia può annegare in una sinfonia di relazioni contorte, indecifrabili psicologie ed esistenze al limite. Mazzacurati è un regista quanto mai alterno, protetto (comprensibilmente) dalla critica per una vocazione insieme paesaggistica e morale che lo salva anche nei risultati infelici, più portato in definitiva a cogliere le sfumature che la sostanza drammaturgica dei fatti: anche in questo caso il film promette molto per poi sprecare altrettanto nello stringere al dunque una sceneggiatura indecisa tra una precaria suspense e il didascalismo politically correct. (...) La sommessa tendenza alla poesia dell'assunto trova, comunque, per lunghi tratti il giusto contrappunto tra gli sfondi come sospesi ed ovattati e l'impercettibile, implacabile emersione di sentimenti ed emozioni: fino a quando il racconto si smaglia, per colpa di una serie di quadretti atteggiati un po' alla Fellini e un po' alla Germi. Avendo citato 'La ragazza del lago', si può di slancio ipotizzare che a 'La giusta distanza' manca il bonus di un fuoriclasse come Toni Servillo; eppure, proprio nell'ambito delle recitazioni, Mazzacurati pesca meritoriamente il jolly di Valentina Lodovini. Cioé una Mara ora sensuale e ora indifferente, ora tremula e ora provocatoria: davvero una bella rivelazione, che accresce il peso specifico del film e induce alla speranza lo spettatore avvilito dall'abituale limitatezza del nostro parco attori." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 20 ottobre 2007)
"'La giusta distanza' del titolo del film di Carlo Mazzacurati è quella che un giornalista dovrebbe avere rispetto agli articoli. Lo sancisce il redattore (Fabrizio Bentivoglio) con un giovanissimo corrispondente (Giovanni Capovilla). Infischiandosene, quest'ultimo condurrà l'indagine che gli darà un lavoro 'in un grande quotidiano di Milano, ma senza contratto'! Nonostante tali illusioni, 'La giusta distanza' è, fra i film italiani recenti, uno dei rari dignitosi, nettamente superiore ai tre che erano in concorso all'ultima Mostra di Venezia. Merito della cura nell'ambientazione, che fortunatamente prevale sullo sviluppo investigativo. Ancora una volta Mazzacurati s'addentra nella provincia veneta (Rovigo), che gli è familiare, continuando a descriverla come sentina di molti mali. Ma ci sono aree della Terra che ne siano immuni? (...) Letteratura (Mauriac e Simenon, Piovene e Parise...) e cinema (Chabrol e la commedia erotica italiana) abbondano di storie analoghe. Eppure sceneggiatori originali potrebbero ancora trarne qualcosa di acre, magari anche di buffo: 'Signore e signori' non si svolgeva a Treviso? 'Il commissario Pepe' non si svolgeva a Vicenza? Però Mazzacurati non è Germi, né Scola e - con Doriana Leondeff, Marco Pettenello e Claudio Piersanti - firma una sceneggiatura dove i personaggi sono prevedibili come in una sceneggiatura di Rulli e Petraglia... Così non c'è satira, solo racconto morale, che deve dimostrare una tesi e che, peggio, confluisce nel dramma socio-razziale, con tanto di errore giudiziario. Peccato." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 20 ottobre 2007)
"Mazzacurati torna sui luoghi del suo primo film, in quella provincia che ha alcuna intenzione di lasciare. Luoghi che sono cambiati più nelle persone che negli scenari, lì la banalità e la casualità del male è evidente. Non c'è bisogno di serial killer e di sangue che sgorga copioso, basta poco per sconvolgere le tranquille esistenze del paesino di Concadalbero, inesistente ma realistico a ridosso del delta padano, dei cani morti ammazzati, poi un omicidio che arriva nel finale. Ma non si urla. Neppure nel film che lavora sottotraccia, strana la solitudine che attanaglia un po' tutti in un affresco poderoso e avvincente nel suo rifiuto di diventare sensazionalismo per cercare invece emozioni. Vere". (Antonello Catacchio, 'Il Manifesto', 20 ottobre 2007)