Un Kristo vaga in un paese abbandonato. Video paradigmatico dell'intero percorso del regista e in particolare di Teatro Ateo. La recitazione inceppata (modulo codificato dall'autore), l'uso distorto e malato del mezzo cinematografico, il rimando a simboli e icone, l'inceppatura corporea (anche come macchina), la marcia fotografia, nonché l'uso del montaggio in macchina (estrema istanza, impellenza ineluttabile dell'attimo) non sono che alcuni dei codici di TA usati in quest'opera. Il percorso antiteatrale si incrocia con quello anticinematografico amplificando l'azione di disgregazione.
SCHEDA FILM
Regia: Flavio Sciolè
Attori: Flavio Sciolè - Kristo
Soggetto: Flavio Sciolè
Sceneggiatura: Flavio Sciolè
Fotografia: Flavio Sciolè
Montaggio: Flavio Sciolè
Scenografia: Flavio Sciolè
Costumi: Flavio Sciolè
Durata: 28
Colore: C
Genere: DRAMMATICO CORTOMETRAGGIO
Specifiche tecniche: DV
Produzione: TEATRO ATEO
NOTE
- INTERVENTI CROMATICI: GIANNI TARLI.
CRITICA
"(...) Sciolè la pratica ancor prima del concepimento e della focalizzazione di ogni fare artistico. In lui il gesto creativo si identifica indissolubilmente con il gesto vitale, rendendo l'uno l'estensione dell'altro, provocando una perfetta equiparazione che, per restare in tema, diventa consustanzialità irreversibile. E questa produzione video non è da meno, traslando i meccanismi che stanno alla base di Teatro Ateo nella grammatica cinematografica con cui è costruita l'opera. Letteralmente spalmato, appiattito, sullo schermo, sta Kristo-Sciolè, mentre risale una montagna lussureggiante sovrastata da una nostrana ghost town. Eccolo quindi percorrere le vie e i sentieri di questa vuota, e silenziosa, cittadina, divenendo in modo macabro l'unico suo, temporaneo, abitante. La recitazione inceppata, sia fisica che vocale, crea uno spiazzante effetto di ridondanza, tra l'incerta vitalità del performer e il tempo congelato - a chissà quando, ci chiediamo - della ghost town. Nella sua continua, e sacra, 'deriva' - frutto di un equilibrato montaggio in macchina - lo vediamo contorcersi ed arrancare, dubitare e soffrire. Come in 'Icaro Caro d'Oro Cosparso' -recentemente messo in scena al Rialtosantambrogio di Roma -, Sciolè recupera una figura chiave dell'immaginario mito/logico occidentale - in questo caso la figura cardine, nel bene e nel male, dell'Occidente - de-costruendola da ogni legame con un'asfittica tradizione per ri-comporla con nuove aggregazioni di senso e significato - il cui risultato è programmaticamente disorientante. La reiterazione dei termini primi che individuano l'intima essenza del personaggio mito/logico portato sullo schermo, in questo caso 'Dio' o 'Crocifissione' o 'Figlio', e la loro ri-composizione, portano a nuove aggregazioni sintattico-verbali, arrivando perfino ad inserire all'interno del processo 'I'm Waiting for My Man' dei Velvet Underground. Un anti-cinema, un'anti-arte, che trova in se stessa la sua intima ragion d'essere e di senso. Sempre e comunque distanti dalla fruizione e dal senso che permeano la visione di uno spettatore a digiuno dei tanti, e indispensabilmente ossessivi, anti-." (Luigi Coluccio, 'Close-up', 2008)