A New Orleans, Dova, Milo e Law sono alle prese con una rapina che sembrava facile, ma all'improvviso scatta l'allarme e tre agenti federali muoiono. In fuga, i rapinatori si rifugiano in un bar vecchio stile, costruito all'epoca del proibizionismo e che, oltre alla porta d'ingresso, non ha vie d'uscita. Nel locale si trovano cinque persone che vengono prese in ostaggio: Dino, il proprietario, Janet, la cameriera, Danny, il ragazzo che serve, Jack, un camionista, e Guy, di passaggio in città. Agenti e polizia circondano il bar. I tre credono di essere ricercati per rapina, mentre i federali pensano che un commerciante d'armi si nasconda nel locale. Tra paure ed isterismi comincia allora un confronto sempre più serrato e spietato tra i presenti nel bar. Danny è il figlio di Janet, Guy è realmente un ricercato. Uno dopo l'altro, Dino, Jack, Guy, Milo e Law muoiono. Dova, Janet e Danny escono feriti. Dova, scambiato per uno degli ostaggi, viene considerato un eroe ed elogiato per il suo comportamento.
SCHEDA FILM
Regia: Kevin Spacey
Attori: M. Emmet Walsh - Dino, Frankie Faison - Marv, Skeet Ulrich - Danny, John Spencer - Jack, Viggo Mortensen - Guy, Melinda McGraw - Jenny, Faye Dunaway - Janet, Gary Sinise - Milo, William Fichtner - Law, Matt Dillon - Dova, Joe Mantegna - G. D. Browning
Soggetto: Christian Forte
Sceneggiatura: Christian Forte
Fotografia: Mark Plummer
Musiche: Michael Brook
Montaggio: Jay Lash Cassidy
Scenografia: Nelson Coates
Durata: 95
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: SCOPE A COLORI
Produzione: BRAD KREVOY, STEVE STABLER, BRAD JENKEL
Distribuzione: COLUMBIA TRISTAR FILMS ITALIA (1997) - COLUMBIA TRISTAR HOME VIDEO
NOTE
REVISIONE MINISTERO OTTOBRE 1999
CRITICA
"I divi hollywoodiani di una volta non coltivavano, in genere, l'aspirazione della regia. Gary Cooper, Cary Grant o James Stewart non ci pensarono nemmeno. Oggi la tendenza è mutata e lo dimostrano le sortite direttoriali di parecchi attori famosi. In qualche caso si tratta di un'ambizione sbagliata, vedi il recente fiasco di Johnny Depp a Cannes con 'The Brave'; oppure, sempre al Festival ma all'opposto, la smagliante prova di Gary Oldman con 'Nil by Mouth'; o, in mezzo, la stracca commediola 'Music Graffiti' firmata da Tom Hanks. Da questo panorama, che meriterebbe un'attenta analisi delle motivazioni e dei risultati, Kevin Spacey ne esce benino. Stimato teatrante laureato con il Tony, nel cinema da oltre dieci anni con prove memorabili come il mostro di 'Seven', in 'Insoliti criminali' Spacey si rivela un appassionato cultore del 'city gangster movie' vecchio stile. (…) Alcune prevedibili e altre no, le sorprese si susseguono fra le quattro mura della cantina dove la regia riesce a tradurre un'imposizione di economia produttiva in un efficace senso di claustrofobia; e anche il tormentone del poliziotto assediante risulta nei suoi limiti efficace. Niente di eccezionale, ma un film di genere portato a buon fine con divertita professionalità. All'antica americana". (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 16 giugno 1997)
"Pochi personaggi fissi in luogo chiuso: inevitabile che, se diretto da un principiante, il film risulti statico e ripetitivo, ma è corretto. I protagonisti criminali non fanno ridere e neppure mettono davvero paura: sono sconnessi, smarriti, incompetenti come tanti altri. La faccia di Faye Dunaway è un atto d'accusa contro la chirurgia pIasticoestetica e Matt Dillon, a trentatré anni, non è più il seducente ragazzo cattivo che conoscevamo". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'13 giugno 1997)
"Vincitore dell'ultimo Noir in Festival di Courmayeur, 'Insoliti criminali' è un suspenser abbastanza tradizionale, dove a ogni situazione lasciata sospesa corrisponde l'inesorabile saturazione, ma la sceneggiatura di Christian Forte (che evoca i climi e i personaggi del primo Scorsese) ci riserva un colpo di coda e un finale a sorpresa. Spacey, che non compare sullo schermo, ha preferito girare le sequenze in ordine cronologico, come dirigesse uno spettacolo teatrale, per ottenere dagli attori la massima immedesimazione Nei limiti concessi dall'impianto claustrofobico la regia, nient'affatto statica, lascia trapelare un talento e un controllo insoliti per un'opera prima". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 16 giugno 1997)