In un mondo migliore

Hævnen

4/5
Attori perfetti per un dramma morale che non teme di confrontarsi con i nodi spinosi del presente. Ambizioso e riuscito, forse il miglior film della Bier, in Concorso

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DANIMARCA 2010
Anton è un medico che opera in un campo profughi in Africa e ogni giorno è costretto a fare i conti con la violenza e le ingiustizie cui è sottoposta la popolazione di un in paese costantemente vessato da guerre di ogni sorta. Nel frattempo, in un'apparentemente tranquilla cittadina danese, suo figlio adolescente Elias - timido, bersagliato da prepotenti compagni di scuola e tormentato per la separazione dei genitori - si lega in un'intensa ma rischiosa amicizia con Christian, un suo coetaneo da poco arrivato da Londra, arrabbiato con la vita e con il padre dopo la morte della madre. Le vicende dei due ragazzi porteranno le rispettive famiglie a incrociarsi in un tourbillon di fragilità e dolore, ma anche comprensione e perdono.
SCHEDA FILM

Regia: Susanne Bier

Attori: Mikael Persbrandt - Anton, Trine Dyrholm - Marianne, Ulrich Thomsen - Claus, Elsebeth Steentoft - Signe, Satu Helena Mikkelinen - Hanna, Camilla Gottlieb - Eva, Martin Buch - Niels, Markus Rygaard - Elias, William Jøhnk Juels Nielsen - Christian, Toke Lars Bjarke - Morten, Anette Støvelbæk - Hanne, Kim Bodnia - Lars, Bodil Jørgensen, Ditte Gråbøl, Mary Hounu Moat, Gabriel Muli, Emily Mglaya, Eddie Kihani Johnson, Wil Johnson, Synah Berchet, June Waweru

Soggetto: Susanne Bier, Anders Thomas Jensen

Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen

Fotografia: Morten Søborg

Musiche: Johan Söderqvist

Montaggio: Pernille Bech Christensen, Morten Egholm

Scenografia: Peter Grant

Arredamento: Lene Ejlersen, Mathias Holmgreen

Costumi: Manon Rasmussen

Altri titoli:

In a Better World

Durata: 100

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Produzione: DANMARKS RADIO (DR), DET DANSKE FILMINSTITUT, FILM FYN, FILM I VÄST, MEDIA, MEMFIS FILM, NORDISK FILM- & TV-FOND, SVERIGES TELEVISION (SVT), SWEDISH FILM INSTITUTE, TROLLHÄTTAN FILM AB, ZENTROPA INTERNATIONAL, ZENTROPA PRODUCTIONS

Distribuzione: TEODORA FILM - BLU-RAY: CG HOME VIDEO

Data uscita: 2010-12-10

TRAILER
NOTE
- GRAN PREMIO DELLA GIURIA MARC'AURELIO E PREMIO MARC'AURELIO DEL PUBBLICO COME MIGLIOR FILM ALLA V EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2010).

- GOLDEN GLOBE 2011 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.

- OSCAR 2011 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.

- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2011 COME MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA.

- CANDIDATO AL NASTRO D'ARGENTO 2011 COME MIGLIOR FILM EUROPEO.
CRITICA
"L'ultimo film della regista danese Susanne Bier, 'In un mondo migliore', non è passato inosservato, come tante altre cose, all'ultimo Festival di Roma, dove era selezionato in concorso. (...) La domanda che muove il film: come si sta al mondo? Quale legge bisogna seguire? Quella della vendetta (il titolo originale è 'Heavnen', che vuol dire vendetta) o quella della remissione? A queste domande sono chiamati i ragazzini? La Bier non si esime dal rispondere, seppure talvolta rasentando lo schematismo. In una sequenza, invero piuttosto incisiva, il padre di Elias, tornato da un paese dell'Africa in guerra (sembra il Sudan), davanti al figlio e all'amico, viene per strada insultato e preso a schiaffi da un buzzurro. Non reagisce alla violenza, seguendo la sua fede anti-violenta e cercando di spiegarlo ai due ragazzini. Ma l'insegnamento non serve... il figlio non capisce, e l'amico pure. Se a scuola sono riusciti a farsi rispettare solo con la forza, perché non dovrebbero farlo per strada e nella vita? 'In un mondo migliore', per citare il titolo, si potrebbe pensare diversamente. In questo no." (Dario Zonta, 'L'Unità', 10 dicembre 2010)

"Che cos'è, oggi, un buon padre? Non è una domanda da predica della domenica. È il cardine di ogni possibile discorso sul futuro delle nostre società. Quali che siano le nostre convinzioni religiose o morali. Che cosa deve fare (o non fare) dunque un padre per essere all'altezza del ruolo più in crisi d'Occidente? Nel nuovo film di Susanne Bier, 'In un mondo migliore', un buon padre è quello che porge - letteralmente - l'altra guancia. Uno che non risponde alle provocazioni, ma tiene il punto. Che non si abbassa a restituire il colpo, ma mostra al figlio come la debolezza (momentanea) possa tradursi in forza. A rischio di perdere (momentaneamente?) la faccia e il rapporto con i figli. (...) Mentre la Bier sembra troppo ansiosa di domare i demoni che ha risvegliato per andare fino in fondo al suo film. Se ne esce come da un bel viaggio, ma interrotto a metà." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 10 dicembre 2010)

"Susanne Bier in questo film, candidato agli Oscar per la Danimarca, e acclamato nei festival, da Toronto a Roma, dove ha vinto il Gran premio per la giuria, riprende i temi dei suoi lavori precedenti, la società danese come esempio di un occidente che sembra avere perduto la sua umanità. La dialettica aspra tra perdono e vendetta, porgere l'altra guancia e rispondere, non va però in un'ottica cattolica, anzi. Il punto di vista di Bier vuole essere morale interrogandosi su quella che a volte appare quasi una ineluttabilità di questa violenza. È, infatti, il 'doppio registro' che interessa la regista: come può il medico, così controllato a casa, permettere in Africa un linciaggio? Nel sottile intreccio di queste emozioni, trattenute e spesso confuse a qualcos'altro, Bier costruisce la sua indagine/riflessione sulla consapevolezza dell'umano e la perdita dei valori di riferimento collettivi. La brutalità di un quotidiano di sangue e di miseria è anche in una dimensione di pace e di benessere, camuffata dall'ipocrisia della «regola» sociale, che però non ne riesce più a controllarne gli sbalzi. C'è forse qualcosa di schematico in questa visione: prima di tutto il parallelo tra l'occidente benestante e l'Africa sofferente è un po' più che esemplare, considerando quanto sia programmatico sfruttamento e lucro bellico e responsabilità da parte di uno verso l'altro. Chissà se questa violenza non sia anch'essa 'di ritorno'?" (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 10 dicembre 2010)

"Susanne Bier, non lo mettiamo in dubbio, è forse il talento nordeuropeo più interessante degli ultimi anni. Donna acuta, dalla buona sensibilità estetica, è riuscita in poco tempo a sfondare persino i muri del cinema statunitense, regalando un'ottima e sottovalutata performance attoriale a Halle Berry in 'Noi due sconosciuti'. Ora torna nel film 'In un mondo migliore' e risulta ormai chiara e soffocante la sua ossessione per morte e famiglia, in un tentativo quasi bergmaniano di girare opere etiche e morali sul nucleo base della società. Il problema è che Susanne Bier, inevitabilmente non all'altezza del maestro, sfocia facilmente nel moralismo, nel privato che si sforza di diventare pubblico, ma che spesso è solo facile stereotipo. (...) Sembra seguire uno schema ripetitivo, ormai, con cadute di stile imbarazzanti - vedasi il finale con i bambini africani che corrono che offusca anche le buone idee di sceneggiatura - le più feroci e di scelta registica. Piacciono i due ragazzini, amici sempre più (co)stretti da una relazione pericolosa, per loro e per gli altri, e vittime di genitori inadeguati. Mezzo cast viene da 'Festen' - e non a caso sono la parte migliore del film - ma la Bier si ricorda di essere un'allieva di Von Trier. E della sua eredità sembra amare, purtroppo, soprattutto la tendenza al melodramma ricattatorio e patetico." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 10 dicembre 2010)

" 'In un mondo migliore' è tra i pochi a porsi esplicitamente quale cinema-mondo, come titolo vuole. Non che sia un acquario, pur torbido, quello costruito con l'abituale sceneggiatore Anders Thomas Jensen, piuttosto, per dirla alla mediterranea, è un mare nostrum, dove il caos regna e i marosi mondani flagellano baie indifese, esposte alla violenza senza se e senza ma. Ovvero, senza una indicazione geografica tipica: se c'è del marcio in Danimarca, la putrescenza è incontrollata e garantita anche altrove. (...) Un storia che parla ad ogni uomo anche dal punto di vista poetico: il 'Mondo migliore della Bier' ha pretese simboliche, paradigmatiche, vuole dire dell'uomo al di là del colore della pelle, della latitudine, del domicilio fiscale. E dell'età." (Federico Pontiggia,'Il Fatto Quotidiano', 10 dicembre 2010)

"È davvero la violenza, sviscerata in forme e circostanze diverse con il suo strascico di vendette, la vera protagonista del bel film 'In un mondo migliore' della regista danese Susanne Bier? O non è piuttosto il perdono, che irrompe a conclusione della storia, a esserne il vero centro gravitazionale? Del resto la vicenda narrata si presta a più di una lettura, affrontando temi delicati, come l'elaborazione del lutto e l'incomunicabilità genitori figli, e difficili, come quello della crisi di coppia, che a sua volta racconta di adulti che fanno fatica a trovare la propria collocazione in un mondo sempre sull'orlo di una violenza insensata che non risparmia neppure i giovanissimi. (...) Con questo film Bier, formatasi alla scuola di Lars von Trier, prosegue nel suo personale lavoro di scavo nei sentimenti umani iniziato con 'Non desiderare la donna d'altri', 'Dopo il matrimonio' e 'Noi due sconosciuti', confermando particolare sensibilità nel cogliere e rappresentare le dinamiche affettive e relazionali più profonde. Ma stavolta punta più in alto, non fermandosi al livello dei rapporti interpersonali, ma utilizzandoli per affrontare alcune criticità dell'oggi. Ecco, allora, emergere la crisi di un modello educativo, che diventa il rovescio della medaglia, ovvero della crisi etica, con la possibilità di una morale adattabile alle circostanze; un'ambiguità che fa da sfondo a tanta violenza gratuita e inspiegabile, ma che nella sua irrazionalità pure trova sostegno, se non persino giustificazione, in un sistema in cui prevaricazione e prepotenza vengono troppo spesso tollerate. E non è casuale l'uso di due piani - quello degli adulti e quello dei ragazzi - per rappresentare la violenza, resa ancor più perfida nei secondi, dei quali si mette in discussione l'innocenza. Così come è pensata la scelta della Danimarca, che la regista vuole restituire a una realtà meno idilliaca di quanto non appaia nell'immaginario collettivo.
Strutturato come un film a tesi, nel quale alcune risposte sono già contenute nelle domande e alcune scelte narrative sembrano rispondere solo a questa esigenza, "In un mondo migliore" mostra passione civile e tensione morale - merce sempre più rara nel cinema - raccontando la storia esemplare di una normalità che sfocia nel dramma per poi ricomporsi. Una storia ben diretta e ben interpretata che ci dice come il male a volte covi dentro e che dall'esterno venga solo la scintilla che lo innesca. Ma ancor di più una vicenda in cui si sostiene quanto sia facile e devastante imboccare la strada della vendetta, spiegando tuttavia anche come il passo verso il perdono sia non solo possibile ma si configuri come l'unica possibilità per ricominciare a vivere. Tanto per gli adulti, quanto per i ragazzi. Per costruire un mondo migliore, appunto." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 13-14 dicembre 2010)