In una assolata mattina Anna, suo marito Georges ed i loro figli Eva e Ben, arrivano nella loro casa di campagna convinti di poter, finalmente, trascorre un po' di tempo in relax. Ma di lì a poco, dopo un evento imprevisto, si renderanno conto che non è così. Senza acqua, luce, cibo e la possibilità di comunicare e di spostarsi, la loro vacanza comincia a trasformarsi in una piccola Odissea.
SCHEDA FILM
Regia: Michael Haneke
Attori: Isabelle Huppert - Anne, Patrice Chéreau - Thomas Brandt, Lucas Biscombe - Ben, Béatrice Dalle - Lise Brandt, Anaïs Demoustier - Eva, Daniel Duval - Georges, Marilyne Even - Signora Azoulay, Olivier Gourmet - Kowsloski, Florence Loiret - Nathalie Azoulay, Brigitte Roüan - Bea, Hakim Taleb, Philippe Nahon, Serge Riaboukine, Maurice Bénichou, Rona Hartner
Soggetto: Michael Haneke
Sceneggiatura: Michael Haneke
Fotografia: Jürgen Jürges
Montaggio: Nadine Muse, Monika Willi
Scenografia: Christoph Kanter
Costumi: Lisy Christl
Altri titoli:
THE TIME OF THE WOLF
Durata: 110
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: VEIT HEIDUSCHKA E MARGARET MENEGOZ PER BAVARIA FILM, LES FILMS DU LOSANGE, WEGA-FILM PRODUKTION
Distribuzione: BIM (2004)
Data uscita: 2004-06-04
NOTE
PRESENTATO FUORI CONCORSO AL 56MO FESTIVAL DI CANNES (2003).
CRITICA
"A volergli dare un senso univoco, 'Il tempo del lupo' è una storia di formazione e santità. Vi si parla dei 36 saggi della parabola ebraica, citati da Borges: quelli che sulle spalle reggerebbero il peso del mondo. E Haneke aggiunge una leggenda spuria, di purificazione dei mali della Terra attraverso un sacrificio nel fuoco. Malgrado il suo conclamato pessimismo, questa volta il cineasta preferisce chiudere su una flebile speranza. Ma il film somiglia a una malacopia: mentre la sempre brava Huppert, protagonista all'inizio, viene inaspettatamente 'messa in castigo'". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 21 maggio 2003)
"Al tedesco Haneke la musa non ha concesso il dono del sorriso. In 'Il tempo del lupo', titolo bergmaniano, vuol fare Bergman e mette in scena una metafora catastrofica a sfondo misticheggiante. (...) Fra orde di profughi affamati, in attesa di un treno che solo un miracolo farà apparire, Isabelle si perde nel mucchio e non ci permette di capire come mai si trovi coinvolta in un film che nulla può aggiungere alla sua gloria". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 21 maggio 2003)
"Bruciano i fischi della stampa quando piovono su un film presentato al Festival di Cannes. Parte dunque male il cammino del 'Tempo dei lupi'. (...) Peccato perché il soggetto de 'Il tempo dei lupi' è interessante: il crollo della civiltà in Francia per cause che il film tace. (...) Haneke non vuol fare religione e nemmeno fantascienza e così non sfrutta il soggetto, suo, con un'adeguata sceneggiatura, sempre sua. Non brilla nemmeno nel dirigere gli attori: a metà del film la Huppert scompare dallo schermo e poi la dimensione corale non fa per il crudo intimismo hanekiano. E poi, per annunciare l'apocalisse ora, il regista austriaco non aveva evidentemente molti soldi". (Giorgio Gandola, 'Il Giornale', 21 maggio 2003)
"Torna il regista de 'La pianista' e anche stavolta sorprende. (...) Niente di nuovo, ma in tempi di 'Kill Bill' questo cinema asciutto fa bene alla salute. Più metafisico e meno matematico che in passato, Haneke chiede allo spettatore di illuminare le zone d'ombra del racconto. Molto anni '70, con le star che si mischiano ad attori sconosciuti e bravissimi. Un film posseduto da una insensata voglia di ricominciare, con un finale sorprendente in cui anche i lupi dimostrano di avere un cuore. L'opera più ottimista di un grande pessimista." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 4 giugno 2004)
"A mio avviso, smentendo il detto 'non c' è due senza tre', quando Michael Haneke si farà vivo per offrirle un altro film, Isabelle Huppert farebbe meglio a trovare una scusa. È vero che il regista le ha fatto vincere la palma a Cannes e altri premi con 'La pianista' (2001), ma a quale prezzo? Un sinistro ruolo di mantide sessuale, con situazioni a dir poco degradanti. E per 'Il tempo dei lupi' il prezzo pagato dall'attrice è stato ancora più oneroso: interminabili nottate in un ambiente campagnolo poco accogliente, botte di freddo e marce per il fango, disagi e tristezze. Se è dura per lo spettatore trascorrere due ore davanti a un tale contesto, figuriamoci la sofferenza dei malcapitati interpreti che hanno dovuto starci dentro due mesi. Mi pare impossibile che Isabelle, messa di fronte al risultato, non sia stata tormentata dal dubbio se davvero ne valeva la pena. Simili fantasmagorie apocalittiche, che potevano esercitare una vaga suggestione in tempi più tranquilli, oggi non scuotono nessuno. Per quanto riguarda la paura del futuro, basta e avanza il telegiornale. Se qualche brivido si può provare di fronte alle catastrofi iperrealistiche dei colossi americani come 'L'alba del giorno dopo', le apocalissi poveriste all'europea non riescono convincenti. E poi c'è da aggiungere che a Haneke, la Musa ha concesso vari doni, non quello dell'ironia. Sicché in 'Il tempo dei lupi', come suggerisce il titolo bergmaniano, si impegna tutto serio a scimmiottare un certo Bergman di 'La vergogna' allestendo una metafora misticheggiante tediosa e pretenziosa. (...) Ovviamente questa è l'opinione di uno spettatore infastidito, che se tutti i film fossero come questo non andrebbe più al cinema. Altri hanno invece trovato lo spettacolo suggestivo; e il critico dell'autorevole 'Variety' si è addirittura entusiasmato. Conclusione? È bello che le opinioni siano tante." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 5 giugno 2004)