Germania, giugno 1945. Nelly Lenz è una sopravvissuta ad Auschwitz che ha subito ferite gravi ed è sfigurata in volto. Lene Winter, che lavora per l'Agenzia Ebraica, decide di riportare Nelly a Berlino per farla sottoporre a un intervento chirurgico di ricostruzione facciale. Nella città tedesca, la sopravvissuta ritrova anche l'amato marito Johnny, che però non la riconosce. Nonostante questo, Johnny nota una certa somiglianza di Nelly con la moglie, che lui è convinto sia morta, e per questo le chiederà di aiutarlo a rivendicare l'eredità della moglie, visto che l'intera famiglia è stata uccisa nell'Olocausto. Nelly accetterà, non solo per scoprire se Johnny l'abbia mai amata o l'abbia tradita, ma anche per riprendersi indietro la sua vita...
SCHEDA FILM
Regia: Christian Petzold
Attori: Nina Hoss - Nelly Lenz, Ronald Zehrfeld - Johnny Lenz, Nina Kunzendorf - Lene Winter, Trystan Pütter - Soldato sul ponte, Michael Maertens - Medico, Imogen Kogge - Elisabeth, Felix Römer - Violinista, Uwe Preuss - Proprietario del Club, Valerie Koch - Ballerina, Eva Bay - Ballerina, Jeff Burrell - Soldato nel Club, Nikola Kastner - Giovane donna, Max Hopp - Uomo, Megan Gay - Impiegata della Centrale, Kirsten Block - Ostessa, Frank Seppeler - Alfred, Daniela Holtz - Sigrid, Kathrin Wehlisch - Monika, Michael Wenninger - Walther, Claudia Geisler - Frederike, Tim Lorenz - Phoenix band, Paul Kleber - Phoenix band, Ralf Denker - Phoenix band, Valentin Gregor - Phoenix band, Stefan Will - Phoenix band
Soggetto: Hubert Monteilhet - romanzo
Sceneggiatura: Christian Petzold, Harun Farocki - collaborazione
Fotografia: Hans Fromm
Musiche: Stefan Will
Montaggio: Bettina Böhler
Scenografia: Kade Gruber
Arredamento: Christin Busse
Costumi: Anette Guther
Effetti: Björn Friese
Durata: 98
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: CINEMASCOPE, 35 MM/DCP (1:2.35)
Tratto da: romanzo "Le ceneri della defunta" di Hubert Monteilhet (ed. Feltrinelli)
Produzione: SCHRAMM FILM KOERNER & WEBER/BERLIN, IN COPRODUZIONE CON BAYERISCHER RUNDFUNK, WESTDEUTSCHER RUNDFUNK, ARTE
Distribuzione: BIM (2015)
Data uscita: 2015-02-19
TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SUPPORTO DI: MEDIENBOARD BERLIN-BRANDENBURG, BKM, GERMAN FEDERAL FILM BOARD, GERMAN FEDERAL FILM FUND.
- SELEZIONE UFFICIALE ALLA IX EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2014) NELLA SEZIONE 'GALA'.
CRITICA
"(...) molto influenzato da 'La donna che visse due volte' di Hitchcock, il film affronta il dramma dei sopravvissuti ai campi di concentramento impegnati a reinserirsi nella vita quotidiana. Un tema poco affrontato dal cinema. E utilizzando le coordinate del genere noir racconta la difficoltà di un popolo di guardare in faccia gli spaventosi fantasmi del passato, perdonare e soprattutto farsi perdonare." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 20 febbraio 2015)
"Nessuno ha voglia di sapere dei campi dalla voce dei 'salvati'. Ogni ritorno è un peso di colpa. (...) Bisogna perdonare certe povertà di dettagli nella prima parte, poi i temi crescono: la vigliaccheria dei parenti ariani in matrimoni misti, la fuga dei sopravvissuti verso Israele, le colpe dei civili, un mondo immorale. Nina Hoss, Orso d'oro per 'La scelta di Barbara', ripete il successo." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino - Giorno', 20 febbraio 2015)
"Ispirato a un romanzo poliziesco di Hubert Montheilet, di cui conserva solo l'idea centrale, il film del tedesco Christian Petzold è suggestivo e coinvolgente. Probabile che i personaggi contengano una buona dose di allegoria (Nelly del popolo ebraico, Johnny della 'nuova' Germania ), però la loro storia si segue come una vicenda d'amore tradito, con memorie palesi della hitchcockiana 'Donna che visse due volte' (...) e un epilogo da mélo. È metaforico, del resto, anche il nome del cabaret berlinese centrale nell'azione: 'Phoenix', il mitico uccello che allude alla reincarnazione della protagonista." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 19 febbraio 2015)
"(...) il film (...) affronta il tema dell'Olocausto da una prospettiva insolita, mescolando noir e mélo per riflettere sugli enigmi del dopo-Shoah (...). Un'odissea drammatica, che scorre tutta sul nuovo volto di Nelly, la donna che visse due volte, e che non sa se riuscirà a superare il trauma dell'essere salva." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 19 febbraio 2015)
"(...) Petzold (...) in questo magnifico film conferma ancora una volta il suo talento, non si limita alla «citazione», la sua immagine è geometria emozionale che spiazza e stride contro ogni retorica (e iconografia) del Bene e del Male. (...) Petzold entra nella Storia con la potenza del melodramma a sfumature noir di un'illusione che è il bisogno disperato della donna di credere che qualcosa, almeno l'amore, si sia salvato. E per questo è disposta a tutto, anche a nuove umiliazione, a tomare a essere prigioniera, a negare se stessa in quel corpo che ha conosciuto la disumanizzazione. Ma se il suo sguardo coincide con quello della protagonista, Phoenix non è un film sullo sterminio o sul nazismo; ciò che il regista mette al centro, e con forza disturbante, è l'anno zero della Germania, e la vertigine di fronte alla Storia di chi non vuole sapere, ascoltare chi è tomato, nemmeno «riconoscerlo» perché significherebbe riconoscere le proprie colpe. (...) Nina Hoss rende con impressionante violenza la fisicità del trauma - ogni tono di voce, ogni sguardo, ogni sorriso davanti a lei ebrea che solo poco prima era da condannare riportano al nazismo. Chi erano poco prima quegli uomini e quelle donne che oggi sembrano sorridere indifferenti? Per questi perfetti esecutori della ricostruzione, lei e quelli come lei rappresentano un insulto, una sberla, una presenza insopportabile. Mi chiederanno dei campi, dice Nelly al marito interpretando se stessa. Invece no, perché nessuno vuole sapere." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 19 febbraio 2015)
"Sopravvivere ad Auschwitz ma non alla propria identità. È quanto Nelly deve affrontare, tornando a Berlino nel giugno 1945, ferita, sfigurata ma con un nuovo volto grazie alla chirurgia plastica. Si mette alla ricerca del marito Johnny scoprendo una verità che non si aspetta. Al suo settimo lungometraggio, il tedesco Petzold ritrova la coppia Nina Hoss e Ronald Zehrfeld già protagonisti del riuscito La scelta di Barbara (2012). Ma dalla guerra fredda di quel film retrocede alle ceneri dell'immediato post Olocausto, mettendo a segno un'opera intensa e d'impressionante marca autoriale. Scritto con il compianto Harun Farocki e ispirato al romanzo Le retour des cendres di Monteilhet, II segreto del suo volto modella il genere noir attorno al Kammerspiel per affrontare l'evidente questione del "Lager post-trauma". Costruito su forti contrasti di luci e ombre e su interpretazioni esemplari (specie Nina Hoss), lavora mirabilmente sugli scottanti temi dell'identità, del corpo "manipolato", del rifiuto della memoria che porta alla negazione di un passato paradossalmente indelebile." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 19 febbraio 2015)
"Piacerà a chi ama i «noir» apprezzabili su due piani. Come racconti a suspense e come metafore sul malessere di un popolo. La tesi di Petzold? Che la Germania a quasi 70 anni dalla guerra è ancora alla ricerca di una sua identità." (Giorgio Carbone, 'Libero', 19 febbraio 2015)
"La donna che visse due volte. Alla tedesca, purtroppo. (...) Un mélo lento e grigio, l'ennesimo tuffo negli orrori nazisti, con una trama inverosimile. Soltanto al cinema esistono mariti tanto fessi." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 19 febbraio 2015)
"Ci sono dei film che finiscono per essere più interessanti per le suggestioni che lasciano nello spettatore che per la storia che raccontano, perché capaci di offrire spunti di riflessione che vanno al di là della loro semplice invenzione narrativa. Proprio come è il caso di 'II segreto del suo volto' del tedesco Christian Petzold (in originale 'Phoenix'), capace di far venire in superficie una serie di temi che ruotano intorno alla «cattiva» memoria dei suoi connazionali. (...) Troppi salti logici, troppi punti oscuri che non vengono chiariti, a cominciare dal ruolo di Lene, troppo remissiva di fronte alla decisione di Nelly, per continuare con la protervia di Johnny che sembra far di tutto per non accorgersi che la Nelly di oggi e quella di ieri sono la stessa persona. Eppure è proprio questa specie di «negazionismo» logico a fare l'interesse del film, perché dà una forma cinematografica a quella voglia di dimenticare che la Germania ha coltivato per tanto tempo. (...) Forse solo Kluge aveva affrontato con altrettanta chiarezza (ma con più stringente analisi) questa svoglia di smemoratezza nazionale, che trasforma un giallo con qualche illogicità in un piccolo trattato di sociologia collettiva." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera' 18 febbraio 2015)
"Lontanamente ispirato a un romanzo di Hubert Monteilhet, 'Le ceneri della defunta', già adattato in tutt'altra chiave nel '65 da J.L. Thompson ('Dimensione della paura', con Maximilian Schell e Samantha Eggar), 'Phoenix - Il segreto del suo volto' (...) traduce nel linguaggio del noir (e del mélo) il tema cruciale e poco frequentato del 'dopo'. Cosa è successo in Germania, dopo la guerra? Come sono potuti tornare a convivere i sopravvissuti e gli indifferenti, o peggio i complici della Shoah? Che percorso hanno dovuto compiere per trovare una possibile idea di futuro? Classe 1960, talento ruvido e rigoroso, Petzold sospende questa domanda senza risposta nel gelo del duello tra due persone, Nelly e il marito, che negano entrambe la realtà anche se per ragioni opposte. Soffocando i sentimenti che erompono in due scene chiave non a caso musicali. (...) Raramente un tedesco ha affrontato in modo più diretto questioni così scottanti e ancora attuali. Anche se pochi, oggi, hanno voglia di sentirne parlare." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 18 febbraio 2015)
"L'importanza di un film come Phoenix sta nel suo essere profondamente dialettico, nell'uso dei colon e delle luci che mescolano la realtà e la funzione, e sta nel suo non attingere a immagini didascaliche e a riferimenti del senso comune, nella capacità di destreggiarsi tra l'indicibile e la retorica che tutto appiattisce." (Mazzino Montinari, 'Il Manifesto', 23 ottobre 2014)