IL MULATTO

ITALIA 1950
Durante la guerra, un sonatore ambulante, Matteo, commette un furto e viene condannato a cinque anni. Mentre è in carcere, gli muore di parto la moglie. Uscito di prigione, va in cerca del bambino, affidato alle suore; ma il bambino è un piccolo negro coi ricci biondi, frutto della violenza subita, suo malgrado, dalla moglie, durante l'occupazione alleata. Profondamente scosso, ferito nei sentimenti più intimi, Matteo, vorrebbe ripudiare il bimbo; ma non c'è niente da fare: il piccolo mulatto è per legge, suo figlio. E a poco, a poco, quasi senz'accorgersene, l'uomo s'accosta al bimbo, ch'è così carino, così affettuoso. Quando il bimbo s'ammala, Matteo, trepidante, si sorprende a pregare per la sua salvezza. Ormai l'ama tanto che rinuncia alla fanciulla amata pur di non separarsi da Angelo. Ma un giorno si presenta un negro, fratello del vero padre d'Angelo, ch'è morto in guerra. Vorrebbe prender con sé il bimbo; è disposto però a lasciarlo a Matteo, se la felicità del nipotino l'esige. Ma Angelo, impressionato dal modo di fare dello zio, dalle melanconiche canzoni negre, sente il richiamo della razza e si stringe a lui. Con le lacrime agli occhi, Matteo lo lascia partire.
SCHEDA FILM

Regia: Francesco De Robertis

Attori: Giulia Melidoni, R. De Angelis, Renato Baldini - Matteo Belfiore, Jole Fierro - Catari', Mohamed H. Hussein - Lo Zio Di Angelo, Angelo Maggio - Angelo, Umberto Spadaro - Don Gennaro

Soggetto: Francesco De Robertis

Sceneggiatura: Francesco De Robertis

Fotografia: Carlo Bellero

Musiche: Annibale Bizzelli

Durata: 85

Genere: GUERRA

Produzione: SCALERA FILM

Distribuzione: SCALERA

CRITICA
"(...) Col "Mulatto" De robertis ha sbagliato oltretutto i tempi psicologici del suo soggetto. Mentre sta succedendo quel che sapete in Corea, e mentre nessuno di noi è sicuro di alzarsi il giorno dopo sotto lo stesso libero sole, qui ci si indugia nelle lagrime e nella compassione soprattutto di sè. E' logico poi si finisca sotto le riprovazioni dei critici e, ciò che è peggio, sotto la noia degli spettatori". (P. Bianchi, "Candido", del 30/7/1950).