Il dolce e l'amaro

L'antimafia di Porporati in Concorso con qualche riserva: polso sicuro, spettacolarizzazione e riferimenti a Scorsese

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ITALIA 2007
Il film si svolge nell'arco di 25 anni, tra la fine dei '70 e i primi anni '90, e racconta la storia di Saro Scordia, un ragazzino cresciuto per le strade del quartiere palermitano di Kalsa, che si lascia affascinare dal mito della "vecchia mafia", quella del rispetto, dell'onore, dei soldi e del potere, e da adulto entra nella criminalità organizzata. Solo l'amore per una donna lo spingerà a tornare indietro...
SCHEDA FILM

Regia: Andrea Porporati

Attori: Luigi Lo Cascio - Saro Scordia, Donatella Finocchiaro - Ada, Fabrizio Gifuni - Stefano Massirenti, Tony Gambino - Gaetano Butera, Gaetano Bruno - Mimmo Butera, Renato Carpentieri - Vicari, Ornella Giusto - Antonia, moglie di Saro, Irene Caruso - Ada a 14 anni, Mario Patanè - Babbuzza, Stefano Ciprì - Mimmo a 14 anni, Pierluigi Misasi - Cosimo Albanese, Emanuela Muni, Gioacchino Cappelli - Saro a 14 anni, Raffaele Sabato - Turi Sciacca

Soggetto: Andrea Porporati

Sceneggiatura: Andrea Porporati, Annio Gioacchino Stasi

Fotografia: Alessandro Pesci

Montaggio: Simona Paggi

Scenografia: Beatrice Scarpato

Costumi: Mary Montalto

Effetti: Danilo Bollettini, Stefano Camberini

Durata: 98

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM

Produzione: FRANCESCO TORNATORE PER SCIARLO', STEFANO CAILONI PER MEDUSA FILM SPA

Distribuzione: MEDUSA FILM SPA

Data uscita: 2007-09-05

TRAILER
NOTE
- LOCATIONS: PALERMO, TRAPANI, PIEMONTE.

- PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 64. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2007).
CRITICA
Dalle note di regia: "L'intento è quello di raccontare cosa vuol dire essere mafiosi attraverso lo sguardo di uno di loro e come piano piano questo sguardo cambi. Il dolce e l'amaro è quindi anche la storia di una conversione. Nei film di mafia si racconta sempre il momento dell'omicidio, ma per me era più importante mostrare quello che accade il giorno prima nella persona che viene incaricata di ucciderne un'altra. Uccidere non è come si vede nei film, è un atto profondamente intimo e disumano e nel momento in cui lo compie Saro si rende conto che quello che ha davanti è un uomo e non una fotografia."

"Non che non sia ben fatto né ben recitato, ma anche se viene collocato vent'anni fa è intollerabile pensare che sia tanto identico al cinema sulla mafia di trenta, quarant'anni fa. Anzi, pensare quanto sociologicamente e politicamente sia peggiore: perché ne 'Il dolce e l'amaro' nessuno si ribella o s'indigna per il prepotere della mafia, che appare un uso locale necessario da sopportare; e pur essendoci un magistrato di buona volontà, non esiste uno straccio di poliziotto, giudice, giornalista, politico, sindaco o cittadino che speri in un mondo migliore. Soltanto l'innamorata Donatella Finocchiaro è irriducibile: 'Sei un delinquente. Non posso sposare uno come te'. Magari i meriti del film stanno proprio nel registrare questa passività indifferente e l'alta idea della mafia che ha il protagonista. Ma è difficile capire come mai mafia e mafiosi, da secoli traditi e spiati, nei film di fronte al tradimento cadano dalle nuvole, irati e sbalorditi." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 5 settembre 2007)

"'Il dolce e l'amaro', un film sulla mafia. Scritto e diretto da Andrea Porporati che della mafia ci aveva già seriamente parlato in TV con ben tre puntate della 'Piovra' e che al cinema, tempo fa, con 'Sole negli occhi', ci aveva dimostrato quanto fosse in grado di approfondire, con un rigore anche crudo, un itinerario psicologico particolarmente tormentato e stravolto. Un itinerario non dissimile adesso. (...) Un percorso sofferto e anche tragico messo in moto, al momento giusto, da una travagliatissima crisi di coscienza. Porporati, scrivendoli e poi rappresentandoli, si è mosso con secca decisione, costruendo attorno al protagonista, con realismo durissimo, quella cornice palermitana in cui la mafia incombe, fra ricatti, uccisioni, tradimenti anche dei più prossimi, ed evocandovi poi in mezzo, con asciutto rigore, il cammino via via sempre più sconfortato e deluso di quel protagonista che non tarda ad aprire gli occhi sugli orrori da lui stesso commessi mettendo alla fine in atto i sistemi anche i più rischiosi per separarsene. In cifre figurative di scabra evidenza, pur lasciando che in mezzo, quasi simbolicamente, vi predomini il buio. Vi aderisce, con una partecipazione totale, Luigi Lo Cascio: una mimica lacerata, una gestione spesso ai limiti della violenza, pur con meditati equilibri. Gli dà la replica, come Ada, Donatella Finocchiaro, in tanto nero, uno spiraglio di luce." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 5 settembre 2007)

"Era difficile provare empatia per Ray Liotta in 'Goodfellas', figurarsi se si può trepidare per questo
mafiosetto da due soldi interpretato da Luigi Lo Cascio. E' il problema di fondo del film, unito a un paio di zeppe di sceneggiatura (davvero non si capisce perché il protagonista maturi all'improvviso una venerazione per il magistrato). Non mancano però scene potenti (la rivolta nel carcere, il primo omicidio in quel di Milano, gli incontri con un super-boss magistralmente interpretato da Renato Carpentieri) e nel complesso 'Il dolce e l'amaro' si vede, ma con un retro-pensiero: di film così, in un cinema sano, dovrebbero usarne 100 all'anno, e andare nei cinema e in tv senza tante fanfare. Senza passare da Venezia." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 5 settembre 2007)

"Alcuni passaggi risultano magari stereotipati, ma nel complesso prevale la fluidità del mix tra documentato realismo e armi grottesche o paradossali (memorabile, in questo senso, la rapina contrappuntata dalla traduzione simultanea delle gergali invettive dei banditi in italiano): la Sicilia che funziona da 'scena primaria', insieme saggia e ferina, risulta insolitamente credibile e non a caso il bonus decisivo è guadagnato dalle presenze di un magnifico veterano come Renato Carpentieri e un esordiente assoluto come Gaetano Bruno." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 5 settembre 2007)

"Secondo film italiano in concorso alla Mostra, 'Il dolce e l'amaro' di Andrea Porporati un giorno sarà anche su Raitre o su La7, ma in seconda serata, perché un criminale, nella sua mediocrità, non è spettacolare. Ma è stata una buona idea dare, per contrappasso, il ruolo a Luigi Lo Caccio, protagonista dei 'Cento passi' di Giordana (lanciato proprio da una Mostra). Solo che a bandito piccolo occorre vicenda grande, che col contorno fornisca un dramma coinvolgente anche per chi ha la fortuna di conoscere la mafia solo dai giornali. Un modello c'era: 'La mala ordina' di Fernando Di Leo, dove un pappone (Mario Adorf) diventava bersaglio di due sicari, che fronteggiava con la forza della disperazione. Autore anche di soggetto e sceneggiatura del 'Dolce e l'amaro', Porporati non è Di Leo. Per un intento morale, immette nel film anche un magistrato (Fabrizio Gifuni), masochista, visto che si considera, da adulto, amico del mafioso che, da ragazzo, gli aveva rotto la faccia! Infine Porporati ricorre alla voce fuori campo, extrema ratio di chi non sa raccontare. Comunque 'Il dolce e l'amaro' è meno peggio di 'Nessuna qualità agli eroi' di Paolo Franchi, l'altro film italiano in concorso." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 5 settembre 2007)

"Purtroppo 'il dolce e l'amaro' - titolo che allude a gioie e dolori della vita di un criminale - scivola quando si affida alla voce fuori campo, invasiva e ridondante, mentre decisamente appropriata appare la musica di Ezio Bosso. Alcuni passaggi della sceneggiatura rimangono irrisolti (la prima famiglia del protagonista sparisce nel nulla) e il film non s'impenna mai veramente, con il risultato che il tono rischia di risultare più televisivo che cinematografico." (Gloria Satta', 'Il Messaggero', 5 settembre 2007)

"L'intento era di descrivere l'ineluttabilità del male nella sua quotidianità, mostrare il dissidio insanabile tra normalità e anormalità nella vita di un ragazzo cresciuto nel mito dell'uomo d'onore. Obiettivo mancato. Il risultato è una fiera dell'ovvietà dalla cui visione si esce anche con un po' di imbarazzo. Perché non si riesce a salvare nulla: né il racconto di mafia che qui sembra la solita barzelletta raccontata agli americani, né il lavoro degli attori (accanto a Lo Cascio, Fabrizio Gifuni e Donatella Finocchiaro) costretti a forzare ruoli mal scritti sulla carta, né lo sforzo del regista che pure ci aveva dato una buona opera prima con 'Il sole negli occhi' del 2001." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 5 settembre 2007)