Italia, prima metà degli anni 30. Carlino Vigetti, figlio di contadini molto ambito dalle ragazze, ottiene il permesso di corteggiare Maria e Amabile Osti, figlie dei proprietari terrieri Sisto e Rosalia e in età da marito, ma dall'aspetto tutt'altro che piacevole. Il ritorno a casa della terza figlia Osti, la bella e giovane Francesca, sconvolgerà i piani di tutti: infatti, tra lei e Carlino sarà colpo di fulmine...
SCHEDA FILM
Regia: Pupi Avati
Attori: Cesare Cremonini - Carlino Viggetti, Micaela Ramazzotti - Francesca Osti, Gianni Cavina - Sisto Osti, Andrea Roncato - Adolfo Vigetti, Erika Blanc - Eugenia Vigetti, Manuela Morabito - Rosalia Osti, Gisella Sofio - Olimpia Osti, Marcello Caroli - Edo Vigetti, Sara Pastore - Sultana Vigetti, Massimo Bonetti - Umberto Vigetti, Sydne Rome - Enrichetta, Rita Carlini - Maria Osti, Stefania Scarpa - Amabile Osti
Soggetto: Pupi Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati
Fotografia: Pasquale Rachini
Musiche: Lucio Dalla
Montaggio: Amedeo Salfa
Scenografia: Giuliano Pannuti
Costumi: Catia Dottori
Effetti: Justeleven
Durata: 85
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: ANTONIO AVATI PER DUEA FILM, IN COLLABORAZIONE CON MEDUSA FILM E SKY CINEMA
Distribuzione: MEDUSA
Data uscita: 2011-11-11
TRAILER
NOTE
- LA VOCE DI EDO È DI ALESSANDRO HABER.
- IN CONCORSO ALLA VI EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2011).
- NASTRO D'ARGENTO 2012 A MICAELA RAMAZZOTTI COME MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA (ANCHE PER "POSTI IN PIEDI IN PARADISO" DI CARLO VERDONE). IL FILM ERA CANDIDATO ANCHE PER I MIGLIORI COSTUMI.
CRITICA
"Dopo due opere che affrontavano tematiche attuali con uno sguardo lucido e poco rassicurante - 'Il figlio più piccolo', sulla corruzione dilagante, e il bellissimo 'Una sconfinata giovinezza', incentrato sull'Alzeheimer - Pupi Avati riprende uno dei temi centrali del suo cinema: il mondo contadino di un passato non lontanissimo. Lo fa con 'Il cuore grande delle ragazze', presentato (...) in concorso al Festival internazionale del film di Roma e molto applaudito alla premiére. La campagna dell'infanzia, e dei racconti paesani, continua dunque a costituire un'attrattiva irresistibile per il regista emiliano, anche se ciò può comportare il rischio di una certa ripetitività pur attenuata dalle ragioni del cuore. Già, perché uno dei limiti di questo film - una commedia peraltro diretta con la consueta impeccabile maestria, più attenta al gioco delle emozioni che alla forma - sta proprio nella sensazione di un già visto, che tuttavia frena solo in parte l'originale idea di fondo: raccontare la forza delle donne, quelle di una volta; ma anche, per contro, le debolezze degli uomini. (...) Avati torna così a sfogliare con evidente nostalgia il suo inesauribile e sorprendente album dei ricordi, ispirandosi stavolta, con qualche piccola concessione alla fantasia, alla storia dei nonni materni. Con sguardo leggero e umanissimo, in una commedia che talvolta cede forse un po' troppo nel caricaturale nel definire personaggi e situazioni, il regista affronta temi delicati, quali il sesso e il tradimento. E racconta un tempo in cui l'uomo era cacciatore - le immagini con i capifamiglia che imbracciano fucili sono decisamente allusive - e la donna la preda. Predestinata, ma non sempre inconsapevole, tutt'altro, e soprattutto forte. Forte di una forza sprigionata da un amore capace di andare oltre: quella di un cuore grande, con una incredibile capacità di sopportazione, in grado di capire e non di rado perdonare. Per il bene della famiglia. Perché alla fine i mariti tornavano inevitabilmente a casa. Era questo il loro potere, dolce e unico." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 2/3 novembre 2011)
"Un super Avati torna, dopo due film seriosi, al piacere della commedia col suo copyright che acquista col tempo più cinismo pur trafficando con sentimenti anni 30 resi in parte attuali. La storia dei nonni, nella campagna marchigiana, del seduttore, della bellona e di una strana notte di nozze, si presta al gusto del racconto balzachiano e spesso grottesco, in cui il naturalismo si appoggia alla precisione della memoria e al contributo corale di un cast di eccellenze come la Ramazzotti e il formidabile Roncato." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 11 novembre 2011)
"Pupi Avati è uno degli ultimi cantastorie rimasti in Italia. Non importa, poi, se i suoi racconti siano reali o meno. Riescono, comunque, a tener viva la memoria di quei sapori nostalgici che sembrano fiorire da un passato che appare, purtroppo, sempre più lontano. Come un vecchio nonno, Avati fa sedere sulle sue gambe gli spettatori e, con rifiuto del presente, narra loro le atmosfere irripetibili di un piccolo mondo antico, a volte fiabesco, a volte crudele, maledettamente affascinante. Vicende semplici, come quella di suo nonno, dongiovanni del rione, sempre a caccia 'di una tacca sulla pistola', leggesi donzelle, cui la moglie finiva per perdonare i tradimenti pur di salvare il matrimonio «perché le donne avevano un cuore enorme, una grande capacità di sopportazione». Ed ecco che questa schermaglia sentimentale diventa un film che ti spiazza perché tra 3D spilla euro e 'Natali a vattelapesca' scopri che c'è bisogno di ossigenarsi anche con la visione di un cespuglio di biancospino dove il tombeur de femmes in salsa bolognese portava le sue prede. Un Avati crepuscolare che azzecca tutti gli ingredienti. A partire dalla scelta del protagonista, il positivamente sorprendente Cesare Cremonini, viso solare da bravo ragazzo con giusta cadenza bolognese, che appare disinvolto e naturale anche senza microfono in mano. Così come è perfetta Micaela Ramazzotti (nuova Monica Vitti?) nei panni della nonna (con accento romano per non snaturarne la recitazione), innamorata e tradita anche durante il viaggio di nozze. E che dire di Andrea Roncato, altra scommessa vinta da Avati, per la delicatezza con la quale presta il volto al suo bisnonno, maschera di dignità votata alla morte? Insomma, poche cose ma al posto giusto, senza strafare, quasi ingerendo una pillola di saggezza che, troppo spesso, i nostri cineasti, dimenticano di assumere." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 11 novembre 2011)
"Piacerà a chi ha un debole per il cinema nostalgico di Pupi Avati. Che per la prima volta mette al centro di uno dei suoi 'Amarcord' un personaggio femminile, le povere e indomite madri di famiglia di 90 anni fa che reggevano le famiglie nonostante le marcate condizioni di inferiorità (parità dei sessi? Diritto all'orgasmo? Non scherziamo)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 11 novembre 2011)
"Avati torna alle origini per raccontare l'amore tra la bella e l'ingenuo. La formula per chi non milita incondizionatamente tra i fan di Avati è dire: Avati è Avati, prendere o lasciare. Per un non avatiano di ferro costa un piccolo sforzo dichiararsi convinto di 'II cuore grande delle ragazze'. Dopo alcune esperienze che si discostavano dall'habitat naturale e dal tono abituale del suo cinema, Pupi torna alla svagata saggezza della piccola gente di provincia (sia pur non emiliana) per imbastire la piccola storia d'amore contrastata tra Carlino e Francesca, figlio del mezzadro e figlia del padrone arricchito. (...) C'è un che di accorato e struggente, tra le pieghe di questo consueto orizzonte di mediocrità umana, che un po' commuove. Sempre audace nello sperimentare cast inattesi (la popstar Cremonini nel ruolo di Carlino), Avati però non ha fatto centro con Micaela Ramazzotti che non persuade nell'esportare il modello felicemente affermato nei film di Virzì." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 11 novembre 2011)
"Nel cinema di Pupi Avati, la memoria - in quanto depositaria non solo di esperienze individuali, ma familiari - ha ruolo fondamentale. Cosicché molti dei suoi film sono ascrivibili a un ideale filone Amarcord che, in luogo di basarsi sul modello felliniano, possiede una sua originale risonanza poetica. Rientra nella categoria 'Il cuore grande delle ragazze' che rievoca in maniera trasfigurata la storia del matrimonio fra i nonni del cineasta bolognese: l'inguaribile donnaiolo Carlo, modesto fittavolo, e la figlia del padrone delle terre, la bella Francesca educata dalle suore ma piena di sogni d'amore. Intorno ai due, sullo sfondo dell'Italia ancora contadina degli anni '30, si muove un teatrino di figurette più frammentario di altre volte, e tuttavia di accattivante e coerente ispirazione crepuscolare. Per un personaggio fanciullescamente in bilico fra eterno seduttore ed eterno sedotto, Cesare Cremonini è scelta felice; e Micaela Ramazzotti, con il suo misto di forca e fragilità, fa di Francesca uno dei più vibranti ritratti femminili della galleria avatiana." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 11 novembre 2011)