Il capitale umano

4/5
Il romanzo di Stephen Amidon "riletto" da Paolo Virzì: il suo film più cupo e doloroso, da vedere

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FRANCIA 2013
In una provincia del Nord Italia, alla vigilia delle feste di Natale, sullo sfondo di un misterioso incidente, si incrociano le vicende dell'ambizioso immobiliarista Dino Ossola, di una donna ricca e infelice che desidera una vita diversa e di una ragazza, sottomessa ai voleri del padre, che sogna un amore vero.
SCHEDA FILM

Regia: Paolo Virzì

Attori: Valeria Bruni Tedeschi - Carla Bernaschi, Fabrizio Bentivoglio - Dino Ossola, Valeria Golino - Roberta Morelli, Fabrizio Gifuni - Giovanni Bernaschi, Luigi Lo Cascio - Donato Russomanno, Giovanni Anzaldo - Luca Ambrosini, Matilde Gioli - Serena Ossola, Guglielmo Pinelli - Massimiliano Bernaschi, Gigio Alberti - Giampi, Bebo Storti - Ispettore Ranucci, Federica Fracassi - Rosanna Bertoncelli, critica teatrale, Silvia Cohen - Adriana Crosetti, Alessandro Betti - Assessore, Pia Engleberth - Signora Ester, Paolo Pierobon - Zio Davide, Gianluca Di Lauro - Fabrizio, il ciclista, Michael Sart - Jean Louis, l'assistente di Bernaschi, Alessandro Milzoni - Francesco Alberici, Anna Lazzeri - Marie Rose Bertolazzi, Luca Torraca - Don Alberto, il preside

Soggetto: Stephen Amidon - romanzo

Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì

Fotografia: Jérôme Alméras

Musiche: Carlo Virzì

Montaggio: Cecilia Zanuso

Scenografia: Mauro Radaelli

Costumi: Bettina Pontiggia

Effetti: EDI - Effetti Digitali Italiani

Suono: Roberto Mozzarelli - presa diretta

Durata: 109

Colore: C

Genere: THRILLER DRAMMATICO

Tratto da: romanzo omonimo di Stephen Amidon (ed. Mondadori)

Produzione: FABRIZIO DONVITO, BENEDETTO HABIB, MARCO COHEN PER INDIANA PRODUCTION COMPANY, IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA E MANNY FILM, MOTORINO AMARANTO

Distribuzione: 01 DISTRIBUTION (2014)

Data uscita: 2014-01-09

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SUPPORTO DI EURIMAGES, CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO.

- DAVID DI DONATELLO 2014 PER: MIGLIOR FILM, SCENEGGIATURA, ATTRICE PROTAGONISTA (VALERIA BRUNI TEDESCHI), ATTORE NON PROTAGONISTA (FABRIZIO GIFUNI), ATTRICE NON PROTAGONISTA (VALERIA GOLINO, CANDIDATA ANCHE COME MIGLIORE REGISTA EMERGENTE E PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA DEL FILM "MIELE") MONTATORE E FONICO DI PRESA DIRETTA. LE ALTRE CANDIDATURE ERANO: MIGLIOR REGISTA, PRODUTTORE, ATTORE PROTAGONISTA (FABRIZIO BENTIVOGLIO), DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA, MUSICISTA, CANZONE ORIGINALE ("I'M SORRY"), SCENOGRAFO, COSTUMISTA, TRUCCATORE (CAROLINE PHILIPPONNAT), ACCONCIATORE (STÉPHANE DESMAREZ), EFFETTI DIGITALI E DAVID GIOVANI.

- NASTRO D'ARGENTO 2014 PER: REGISTA DEL MIGLIOR FILM, SCENEGGIATURA, ATTORE PROTAGONISTA (FABRIZIO BENTIVOGLIO, FABRIZIO GIFUNI), SCENOGRAFIA, MONTAGGIO E SONORO IN PRESA DIRETTA. ERA CANDIDATO ANCHE PER: MIGLIOR PRODUTTORE E ATTRICE PROTAGONISTA (VALERIA BRUNI TEDESCHI).
CRITICA
"L'anno comincia con un evento felice per il cinema italiano, il nuovo film, 'Il capitale umano' che un autore come Paolo Virzì si è scritto insieme con i suoi due fidi sceneggiatori, Francesco Bruni e Francesco Piccolo, già coronati da molti successi, e con la partecipazione di alcuni fra i più noti e validi interpreti del nostro cinema, da Valeria Bruni Tedeschi, a Fabrizio Gifuni, a Fabrizio Bentivoglio, a Valeria Golino, a Luigi Lo Cascio. Il clima scelto è quello del noir suggerito a Virzì da un romanzo americano di Stephen Amidon che poi, con trovata intelligente, ha ambientato in una zona montuosa della nostra Lombardia, la Brianza, scegliendo tra i personaggi principali soprattutto grandi imprenditori tutti votati, al culto, spesso affannoso, del denaro. Tre capitoli sempre intitolati ai personaggi che ci faranno seguire da vicino lo svolgersi della vicenda. (...) Con un disegno fine e attento delle singole psicologie, analizzando, insieme con quelle degli adulti quelle dei giovani che, tra alcol e droga, non tardano a rivelarsi non molto diversi dai loro genitori. Con tensioni, risvolti drammatici, contrasti e sorprese che propongono sempre l'azione in cifre ansiose e dolenti, specie quando ci si imbatte nella desolante povertà del 'capitale umano' di tutta quella gente. Vi danno magnifico rilievo Fabrizio Gifuni, un rigido Giovanni, Fabrizio Bentivoglio, il viscido Dino. In primo piano, tra le figure femminili, Valeria Bruni Tedeschi, una Carla di forte e complessa intensità." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo - Roma', 2 gennaio 2014)

"Con questo film - il suo undicesimo lungometraggio - Paolo Virzì sembra voler imprimere una svolta al suo modo di fare cinema, una svolta che allenta i «legami» con la forma-commedia a favore di una più complessa struttura narrativa e una più equilibrata lettura psicologica. A favorirlo è il romanzo di Stephen Amidon il cui titolo resta invariato anche per il film, 'Il capitale umano', e di cui rispetta la complessità temporale ma non l'ambientazione (dal Connecticut alla Brianza) scrivendo la sceneggiatura con Francesco Bruni e Francesco Piccolo. Non un passaggio al dramma tout court ma un'evoluzione dal genere in cui si era esercitato fino a ieri verso una narrazione più complessa e ambiziosa. Bisogna però aggiungere, per evitare ambiguità, che Virzì non perde la sua capacità di graffiare attraverso l'ironia - come dimostrano alcuni personaggi, su tutti quello del critico teatrale Russomanno affidato a Luigi Lo Cascio - e soprattutto affina la capacità di ottenere il meglio dai suoi attori, come dimostra per esempio Fabrizio Gifuni che dà qui la sua prova migliore, convincente e intensa, oppure trasformando i supposti limiti in qualità, come fa con Valeria Bruni Tedeschi, davvero ammirevole (e non è la prima volta che gli riesce con un'attrice. Come dimostra Nicoletta Braschi in 'Ovosodo' o Monica Bellucci in 'N - Io e Napoleone'). Per non parlare dei giovani, esordienti o quasi, tutti ottimi. Dove convince meno è quando sottolinea le inflessioni lombarde - da baùscia vanziniano, alla Nicheli - nel personaggio affidato a Fabrizio Bentivoglio: il suo Dino Ossola, piccolo agente immobiliare convinto di poter fare il colpo della vita grazie alla familiarità col finanziere Bernaschi (Gifuni), si comporta - specie all'inizio del film - come fosse in una commedia ridanciana, inanellando sbruffonate e ostentando urticanti familiarità. Probabilmente al regista serviva per rimarcare ancora di più il cambio di passo che si sarebbe consumato durante il film, dal sorriso al cinismo, ma forse non ha tenuto conto di come un'eccessiva caratterizzazione regionale rischiasse di scivolare verso la farsa. Gli exploit lombardi, comunque, passano in secondo piano quando i vari personaggi del film iniziano a essere coinvolti nella tela gialla che ha steso il caso (...). Tutta questa materia, Virzì la racconta da tre punti di vista, così che gli stessi fatti trovino spiegazioni e informazioni diverse. Ma più che la soluzione del giallo (che pure arriverà alla fine) gli interessa la descrizione di un mondo che, come dice la moglie di Bernaschi, «ha scommesso sulla sconfitta dell'Italia. E ha vinto». Mai come in questo film, lo scontro generazionale tra genitori e figli è così netto e deciso: l'età non è un discrimine di bontà o cattiveria ma di responsabilità. Soprattutto i padri (veri o «putativi», come quello di Luca) sono lo specchio di un Paese che ha tradito qualsiasi ideale in nome del denaro e le cui azioni finiscono inevitabilmente per far sentire le proprie conseguenze sugli altri membri della famiglia: con un maggior grado di corresponsabilità sulla moglie, con effetti più distruttivi sui figli. 'Il capitale umano' questo quadro lo racconta con forza e durezza, senza concedere facili sconti a nessuno (...) e con un acre senso di beneaugurante moralità, soprattutto dopo l'eccesso natalizio di commediole assolutorie e pacificatrici. Qui alla fine tutti escono sconfitti, anche quelli che sembrano convinti di aver vinto, lasciando allo spettatore il compito di riflettere sui valori per cui vale davvero la pena di combattere." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 6 gennaio 2014)

"Paolo Virzì ha cambiato passo. Come se fino a ieri avesse guidato una macchina di cui non conosceva il pulsante segreto, quello del decollo. Ora che può anche volare è pronto per il giro del mondo. Si è trasformato in un viaggiatore esperto di sentieri, un entomologo che raccoglie dettagli eli cataloga. È andato in Brianza a raccontare com'è cambiata l'Italia, lo ha fatto come se partisse per l'Alaska: vergine la curiosità, controllata l'apprensione, sottolineate cento volte le guide. Ha messo in valigia i suoi attrezzi da sarto di storie (il filo dell'ironia, questa volta meno dolce del solito, beffarda e un po' crudele persino, le stoffe pesanti per il freddo che c'è dentro casa e anche fuori, su al Nord, le sete per le sere di festa, le lamette per la disperazione, l'alcol per non pensarci, uno zainetto e una tuta per scappare, caso mai) e come un esploratore si è addentrato di soppiatto nella terra dei ricchi. Di quelli che 'hanno scommesso sulla rovina del nostro paese, e hanno vinto'. Gli speculatori, i maghi della finanza, quelli che ti promettono di guadagnare il 40 per cento sui tuoi risparmi e che poi se li mangiano, con la tua vita intera. Quelli che calcolano con un algoritmo quanto costa la tua morte, il 'capitale umano' del titolo: il risarcimento agli eredi per l'assenza. Il film è bellissimo, il suo migliore. Potente, lieve, preciso. È un congegno che funziona come l'ingranaggio di un orologio, ogni ruota gira in un verso diverso e tutte insieme battono il tocco delle ore. Non è una commedia ma è anche quello, non è un thriller ma un po' sì, non è un racconto a tesi ma un caleidoscopio di sguardi che tiene insieme i punti di vista senza dare lezioni. Senza quel tono di sufficienza e di distacco che confina col disprezzo e balla il mambo fatalista del qualunquismo. Dirige un gruppo di attori eccezionali rendendo ciascuno di loro, se ancora possibile, una sorpresa. Giovanni Bernaschi è un finanziere di quelli che fra mezz'ora hanno un volo per Londra, vive in una villa con due rampe di scale all'ingresso i campi da tennis e una piscina riscaldata nel sotterraneo, ha una moglie bellissima ex attrice, un figlio adolescente che va alla scuola privata e tiene il suv in garage. Fabrizio Gifuni lo incarna con torva esattezza di sguardi, padronale volgarità di gesti tuttavia sempre eleganti, mai caricaturale, millimetrico nel passo brutale e segretamente consapevole della disperazione di chi, ormai, non può tornare indietro. È, Gifuni-Bernaschi, il motore mobile, la causa e la ragione di ogni cosa. Della rovina dell'Italia, appunto, su cui il suo fondo ha puntato. Fabrizio Bentivoglio è Dino Ossola, un immobiliarista sull'orlo della rovina la cui figlia è fidanzata con il figlio di Bernaschi. Ha perciò accesso alla villa, alla vita dei ricchi, ai loro doppi di tennis. Decide di investire 700 mila euro che non ha, facendoseli prestare, nel fondo miracoloso. Qui Bentivoglio abbandona il consueto charme distratto e inventa una figura patetica e tragicamente ordinaria, l'uomo in bilico sulla disfatta: è suo il primo dei tre sguardi sulla scena. La storia avviene alla vigilia di Natale in un piccolo paese della Brianza. C'è una cena di gala, c'è un incidente - il cameriere della cena che torna a casa in bici, investito da un Suv - c'è un colpevole ignoto. (...) Affresco polifonico e corale, riscrittura del romanzo di Stephen Amidon affidata a Francesco Piccolo e Francesco Bruni, insieme allo stesso Virzì. L'America è qui, in Brianza. Le donne conoscono la vita meglio degli uomini, la maneggiano più disinvolte; i giovani - vere vittime di questo tempo cieco - soccombono alle aspettative dei padri, infragiliti dal lusso o dall'assenza di speranza; i più poveri di mezzi sanno essere più generosi di sé e lungimiranti, sempre. In assenza assoluta di retorica, sono semplici annotazioni sul taccuino di chi osserva. Tocco di maestria le musiche di Carlo Virzì, percussioni etniche che danno al thriller il sapore di un viaggio altrove: tamburi per l'esplorazione, appunto, di una terra remota pericolosa e onnivora, la terra che ci sta mangiando. Si resta a lungo, nei giorni successivi, in compagnia dei volti e delle parole di Gifuni e Bruni Tedeschi, i più sorprendenti di un cast superbo. Lei: 'Avete scommesso sulla rovina del nostro paese e avete vinto'. Lui: 'Abbiamo vinto, amore. Abbiamo. Ci sei anche tu'." (Concia De Gregorio, 'la Repubblica', 9 gennaio 2014)

"Devoto alla commedia monicelliana, stavolta Paolo Virzì si cimenta col thriller, ambientando in una provincia del Nord Italia splendori e miserie d'un affluente gruppo familiare brianzolo. Tratto dal romanzo omonimo dell'americano Stephen Amidon, 'Il capitale umano' trasforma il Connecticut nella Brianza d'oggi, con i suoi tic e i vezzi che tuttavia, alla luce della profonda crisi italiana, risulta lunare. Girato brillantemente, il film si lascia comunque vedere anche per la sapiente direzione di un cast formidabile. C'è un rutilare di auto di grande cilindrata, abiti di lusso, caviale e champagne, in primo piano, mentre la storia corale di due famiglie benestanti, che hanno fatto fallire il paese (come dice Valeria Bruni Tedeschi nella battuta finale), scorrono parallele e, apparentemente, senza scosse. (...) Pienamente in parte, le (...) donne (Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi) sembrano statuine d'un presepe ingessato nel benessere. E se i personaggi femminili appaiono disegnati con verosimiglianza, quelli maschili corrispondono agli stereotipi d'uno schema moralistico che appesantisce il racconto." (Cinzia Romani, 'Il Giornale', 7 gennaio 2014)

"Nel 1943 Luchino Visconti portò in Italia 'Il postino suona sempre due volte' di James M. Cain ambientandolo fra la Bassa Padana e Ancona. Ne uscì 'Ossessione', non solo un capolavoro ma un film che spalancava nuove strade. Settant'anni dopo Paolo Virzì (con Francesco Bruni e Francesco Piccolo co-sceneggiatori) prende un romanzo di Stephen Amidon e lo porta dal Connecticut alla Brianza. Fine dei paragoni. Virzì non è Visconti (semmai qui ricorda il grande e dimenticato Pietrangeli), Amidon non è Cain, e poi non siamo in guerra né alla fine del Ventennio (per quanto...). Ma a unire i due film è la voglia di sconvolgere il panorama stagnante del nostro cinema mutuando personaggi e intrecci da un mondo lontano ma sotterraneamente vicino al nostro. Ad avvicinare il Connecticut di Amidon e la Brianza di Virzì è la rapacità. L'atteggiamento predatorio di certo capitalismo finanziario: gli stili (o non stili) di vita che fioriscono all'ombra di questa malapianta: il groviglio di rancori, frustrazioni, opportunismi, che portano al delitto o a qualcosa di assai vicino. Al tempo di 'Ossessione' i conflitti erano sociopolitici e si uccideva per amore. Oggi sono economici e generazionali (o di genere: qui le donne sono tutte migliori degli uomini) e a uccidere non è la passione ma l'indifferenza. Nel 'Capitale umano' poi la vittima è esterna all'intreccio: un cameriere in bici, investito di notte e abbandonato sul ciglio della strada. Intorno a quel corpo dimenticato (anche dallo spettatore) ruota un complesso intreccio che Virzì articola in tre movimenti, corrispondenti ad altrettanti personaggi e punti di vista. Ogni volta che cambia prospettiva, il film svela fatti (e ambienti, moventi, psicologie) fin lì invisibili. Ogni svolta rende più complessa e appassionante questa storia così attuale. Trattandosi di un film di puro e godibilissimo racconto, cosa quasi unica nel nostro cinema, diremo solo che il piccolo immobiliarista rampante Bentivoglio vuole sfruttare il legame tra sua figlia e il figlio del finanziere Gifuni per lanciarsi in affari più grandi di lui. Che la moglie del magnate (Bruni Tedeschi) nasconde nobili sogni e imperdonabili ingenuità. Che non tutto, naturalmente, è come sembra, specie tra i più giovani (straordinari tutti gli attori, ma i ragazzi sono una rivelazione). E che in questa trama mobile di amori, tradimenti, alleanze, screziata da lampi di sarcasmo (del regista) e di violenza (dei personaggi), si agitano luoghi e situazioni che alludono a un degrado e a un declino molto più generali. Emblematici, su tutto, quel vecchio teatro che cade a pezzi, gli appetiti intellettual-clientelari che scatena, i rapporti tra padri e figli, o tra mariti e mogli. Qualche ipocrita in Brianza si è risentito per la «cattiva immagine» della regione. Buon segno, il cinema fa ancora paura. Però prima di prendersela con Virzì potrebbero almeno leggere Gadda, Mastronardi, Bianciardi e tanti altri autori." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 gennaio 2014)

"Interessante il lavoro di riscrittura compiuto da Paolo Virzì e i suoi co-sceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo sull'omonimo romanzo di Stephen Amidon, cui si ispira il film 'Il Capitale umano'. Non è tanto questione di aver trasportato l'azione dal Nord-Est Usa all'Italia, in una innominata cittadina della Brianza prealpina, cuore dell'opulento nordovest. Piuttosto, in un'apparenza di fedeltà al libro, colpisce come - grazie a certe variazioni nei caratteri e a una struttura narrativa ricomposta in capitoli intitolati ai personaggi sotto il cui punto di vista viene di volta in volta inquadrata la vicenda - il copione abbia assunto una dimensione del tutto autonoma rispetto alla pagina; decisamente nostrana e molto nelle corde di Virzì, autore fin dagli esordi di più o meno velate commedie amare. Sullo sfondo (ma in realtà è il nucleo della storia) un incidente stradale - un cameriere in bicicletta investito nella notte da un Suv - intorno al quale si trovano a ruotare i destini di due famiglie: quella del potente imprenditore Fabrizio Gifuni e quella del modesto immobiliarista Fabrizio Bentivoglio, sull'orlo del fallimento per aver goffamente ambito a inserirsi nel gioco della grande finanza, abbagliato (forse fuori tempo massimo, il romanzo è del 2005) dal miraggio dei favolosi interessi promessi da Gifuni. I due sono le facce allo specchio di una società che gira intorno al dio denaro, premiando la cinica ferocia del vincitore senza mostrare pietà alcuna per il perdente. Accanto a loro le rispettive mogli: la labile Valeria Bruni Tedeschi, signora alto borghese ancora memore dei suoi trascorsi di attrice; e la comprensiva, dolce psicologa Valeria Golino, alle prese con una tardiva gravidanza. E poi ci sono i figli, adolescenti confusi e vulnerabili vuoi perché troppo viziati, vuoi perché troppo soli, vuoi perché inadeguati, vuoi perché costretti a confrontarsi con i falsi valori degli adulti. Coadiuvato da un ottimo quartetto di interpreti al centro di un cast ben assortito, Virzì non rinuncia alla chiave di grottesco a lui congeniale, ma qui il graffio dell'ironia è per lo più indiretto, come filtrato da un disincanto (ben sottolineato dalla livida fotografia di Jerome Alméras) che solo l'innocenza dei giovanissimi o certe femminili sensibilità riescono a tratti ad accendere alla speranza." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 9 gennaio 2014)

"Uno dei motivi (non pochissimi, ultimamente) per i quali si prova disgusto per il sistema-Italia è la pessima abitudine di commentare e attaccare i film senza averli visti. Le polemiche leghiste su 'II capitale umano', il nuovo lavoro di Paolo Virzì accusato di «insultare i brianzoli», non sono solo pretestuose: sono profondamente scorrette. Il sospetto che si usi un film importante come pretesto per finire sui giornali è fortissimo, per cui non facciamo nomi e finiamola qui. Anzi, cominciamola: andate a vedere 'Il capitale umano' perché è un film notevole, e uno dei motivi per cui lo è si nasconde proprio nel contesto che racconta: una Brianza che, per inciso, non è quella delle «fabbrichette» e della gente che lavora, ma quella degli arricchiti che giocano pesante con la finanza e fanno i loro sporchi affari a Milano, Londra o Wall Street; o quella degli «impoveriti» - nel caso specifico, un agente immobiliare strozzato dalla crisi - che sperano, frequentando gli squali di cui sopra, di azzeccare la speculazione giusta per uscire dai guai. Per cui, compagni brianzoli, state tranquillissimi: nessuno fabbrica mobili in questo film e il paesino di Ornate dove tutto si svolge manco esiste, quindi nessuno insulta nessuno. Virzì e i suoi sceneggiatori (Francesco Bruni e Francesco Piccolo) raccontano una storia che potrebbe avvenire in Piemonte, in Veneto o nell'Emilia rossa, o persino in Connecticut (dove si svolgeva il romanzo di Stephen Amidon al quale il film si ispira). Dovunque, insomma, esista un'élite di pochi ricchi onnipotenti e un ceto diffuso di ex benestanti terrorizzati dalla contingenza economica. Andando avanti e indietro nel tempo, con una struttura che potrebbe ricordare 'Rapina a mano armata' di Kubrick, 'Il capitale umano' parte da un incidente (un uomo in bicicletta viene investito da un Suv: il conducente non si ferma a soccorrerlo e l'uomo finisce in coma all'ospedale) e racconta la storia di due famiglie. (...) E' incredibilmente denso e verosimile il contesto sociale che Virzì, Piccolo e Bruni riescono a ricostruire: 'Il capitale umano' è veramente il ritratto dell'Italia di oggi, colta anche nella sua stratificazione sociale (si va dai ricchissimi ai proletari, o a ciò che rimane di loro). Ma è anche azzeccatissimo il lavoro sui personaggi: tutti hanno dei doppi fondi, come la ricca signora Bernaschi che è un'ex attrice e si eccita quando il locale professore di teatro (Lo Cascio) le porta in dono un dvd di 'Nostra signora dei turchi' di Carmelo Bene; o come la psicologa che annuncia, nel momento così sbagliato che più sbagliato non si può, di essere incinta. Il talento degli sceneggiatori si misura anche sui personaggi minori: su tutti, il poliziotto che indaga sull'incidente, magnificamente interpretato da Bebo Storti. Ma tutto il cast è encomiabile, anche se la nostra personalissima palma va, da milanesi, al non milanese Gifuni che ha fatto uno straordinario lavoro sull'accento per calarsi nei panni di un pirata della finanza interessato solo ai «danée». E' il primo film drammatico di Virzì (anche se qualche risata, qua e là, ci scappa) e, insieme a 'Tutta la vita davanti' e a 'La prima cosa bella', è il suo migliore." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 9 gennaio 2014)

"Fredda, grigia, ostile. Popolata da squali della finanza, padri infantili e competitivi oltre ogni ragionevolezza, signore ricche e annoiate, patetici piccolo borghesi alla disperata ricerca di riscatto sociale, aristocratici giovani rampolli mammoni e piagnucolosi, uomini d'affari dal soldo facile che scommettono sul fallimento del nostro paese. Teatro di un incidente che vedrà un ciclista schiacciato da un Suv, delitto che intreccerà i destini di due famiglie posizionate su diversi gradini della scala sociale, ma unite dal comune desiderio di fare soldi e dalla disattenzione nei confronti dei propri figli. La Brianza di Paolo Virzì, grande protagonista del suo ultimo film, 'Il capitale umano', (...) potente, coraggioso apologo morale sul valore anche monetario della vita umana, che apre al cinema italiano strade di respiro più ampio e internazionale, non è piaciuta ad alcuni lombardi, gli amministratori di Como e Monza, che hanno attaccato il regista livornese colpevole a loro parere di mettere in scena solo stereotipi. Il paradosso sarebbe poi che Virzì, il quale ha ottenuto il contributo di 700mila euro dal Ministero dei Beni Culturali, avrebbe offerto un ingiusto adesco di 'una delle aree che più contribuisce a finanziare i bilanci dello Stato, tra cui proprio il Ministero dei Beni Culturali', come sostiene l'assessore leghista al Turismo della Provincia di Monza e Brianza Andrea Monti. E pensare che l'omonimo romanzo di Stephen Amidon da cui è tratto il film, interpretato tra gli altri da Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, è ambientato oltreoceano, in Connecticut e il regista ha dichiarato di essersi avvicinato a un luogo per lui sconosciuto come un esploratore farebbe in un posto esotico. «Ho scelto di ambientare il film in Brianza - ha dichiarato Virzì - perché mi sembra il territorio dove il riverbero dell'economia sulla vita delle persone è più significativo»." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 9 gennaio 2014)

"Può ancora servire a qualcosa la critica? Se ci fosse speranza, non perdetevi 'Il capitale umano', un grande film italiano dal respiro universale che non ha bisogno della consueta slavina di aggettivi promozionali. L'unico problema dell'opus n° 11 di Paolo Virzì è quello di farci pensare al fatidico Gulliver: un gigante imbracato con mille lacci e lacciuoli dai formicolanti lillipuziani decisi a capire se possa tomargli utile. Complici poche tessere della (peraltro magnifica) sceneggiatura fuori controllo, infatti, a leggere o sentire qualcuno sembra che il suo valore stia tutto nei messaggi estraibili col minimo sforzo: un modo di porsi al cospetto del puzzle venato di noir, liberamente tratto da un romanzo dell'americano Amidon, meschino e sconfortante. Perché i riferimenti diretti, penetranti, spietati al nostro paese, a un suo emblematico habitat provinciale, ai meccanismi della finanza d'assalto che fa pagare i costi della crisi sul piano mondiale (dunque c'entrano poco le presunte induzioni al disastro degli «avidi e corrotti» imprenditori italiani), dell'aspirazione all'ascesa sociale e delle intensificate collisioni tra giovani e vecchi, piccoloborghesi e benestanti, inquadrati e alternativi, altroché se ci sono e pesano nell'ossatura narrativa; ma ridurre un procedimento un po' alla Simenon (o alla Tom Wolfe per restare in ambito letterario Usa) al solito predicozzo dei «migliori» contro i «peggiori» connazionali fa torto al regista e ai suoi complici scrittori Bruni & Piccolo. L'espressione 'Il capitale umano', che parametra il costo dell'indennizzo in caso di morte di un assicurato, qui serve a mettere in luce i confini etici, civili, legali fino ai quali dovrebbe o potrebbe spingersi ciascuno di noi schivando o accettando la tentazione dell'imbarbarimento. Otto personaggi si dispongono, così, in un ciclo di quattro capitoli visti da diversi punti di vista come in un 'Rashomon' della Brianza a partire dal notturno incidente stradale che ha ridotto in fin di vita un cameriere reduce da un catering e fatto scattare una tenace indagine della polizia locale. Assoluto è il controllo che Virzì applica a questo congegno, teso, allarmante, cupo, ma attraversato da picchi improvvisi d'isterica ridicolaggine e scorci di un conturbante erotismo chabroliano; così come superiore è la qualità del suo sguardo rivolto ai grandi spazi verdi, ai circuiti chiusi degli eleganti centri storici, alla sontuosa immobilità delle ville e al vitalismo residuale dei locali dello svago e del consumismo. L'affresco poliedrico e beffardo convince anche e soprattutto per le recitazioni calibrate come non si vedeva da anni in un film nostrano: lo strepitoso Gifuni con bieca quanto strenua immedesimazione escludente didascalie di comodo; la Bruni Tedeschi torpida sognatrice nel ruolo che vale la carriera; Bentivoglio micro-immobiliarista convinto di fare il colpo della vita come nel classico 'La fiamma del peccato'; il velleitario professorino sinistrese Lo Cascio; la rivelazione Gioli nella parte della figlia e il simil-«Trota» Bernaschi in quella del suo scapestrato, ma non malvagio fidanzato; il giovane misero Anzaldo e lo zio Pierobon nient'affatto protetti dall'aureola di devianti perseguitati dal perbenismo borghese." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 9 gennaio 2014)

"Piacerà eccome a patto di non leggere le interviste rilasciate in questi giorni da Paolo Virzì che ha voluto dare al suo thriller i quarti di nobiltà della polemica sociale (nel suo mirino l'avida borghesia brianzola). Balle. 'Il capitale umano' funziona eccome perché è diretto e scritto da grandi professionisti. Ma i suoi antieroi assomigliano troppo a quelli dei gialli di Claude Chabrol (o del Connecticut dal romanzo omonimo di Stephen Amidon) per dare al film valenze significati oltre quelli di un robusto, ben condotto prodotto di mestiere." (Giorgio Carbone, 'Libero', 9 gennaio 2014)

"Crudele dramma socialfamiliare di Paolo Virzì, cui riesce bene il trapianto in Brianza di un romanzo ambientato in Connecticut. Protagonisti il viscido arrivista Fabrizio Bentivoglio e il cinico squalo Fabrizio Gifuni. Con rispettive compagne, la dolce psicologa Valeria Golino e l'infelice ex attrice Valeria Bruni Tedeschi, e figli. Il film, che si arrotola secondo quattro diversi punti di vista, non ha dubbi nell'individuare i peggiori nei ricchi: insensibili, avidi e immorali." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 9 gennaio 2014)

"Il miglior film di Paolo Virzì. E stiamo parlando del regista considerato il solo vero erede della commedia all'italiana. Quella, tanto per intenderci, dei vari Comencini, Monicelli, Scola, Germi, Steno, Risi. Un appellativo meritato dal cineasta livornese grazie a titoli che hanno saputo coniugare il favore del pubblico con la satira graffiante, per quanto sorridente, dell'attuale degrado di costumi nel nostro Paese: 'Ferie d'agosto', 'Ovosodo', 'Caterina va in città', 'Tutta la vita davanti', 'La prima cosa bella'. Eppure, Virzì non è uno che si accontenti di cavalcare l'onda del successo. Cerca anzi di sfuggire alle etichette, ama mettersi alla prova. Lo ha dimostrato, un paio d'anni fa, girando 'Tutti i santi giorni', moderna e sorprendente storia d'amore per ribadire che fare coppia, metter su famiglia e avere figli resta sempre la più grande avventura. A chi poi gli rimproverava di essersi rammollito, di aver smarrito la sua vena di fustigatore, aveva ribattuto: «Tranquilli. Sto già lavorando al prossimo film dal tono amarissimo», la sua promessa. «E ispirato al romanzo 'll capitale umano' dell'americano Stephen Amidon. Ma ho traslato la storia dal Connecticut alla Brianza perché quando l'ho letto mi son detto: questi siamo noi! Un film sulla smania di denaro e su come le vittime di questa nevrosi siano i nostri figli». Detto, fatto. Virzì ha scritto a tempo di record l'adattamento del copione con la preziosa collaborazione di Francesco Bruni (sceneggiatore rivelatosi anche regista con 'Scialla!') e Francesco Piccolo (coautore preferito di Soldini, Sironi e Nanni Moretti). Poi ha messo insieme un cast corale affiatato come gli strumenti di un'orchestra in cui spiccano i nomi di Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Luigi Lo Cascio e perfino un Bebo Storti affrancato dal ruolo di guitto. Ne è venuto fuori un film vibrante, teso (...). Scomodo, perché mai finora si era visto un ritratto così vivido dell'Italia di oggi. Che poi era il pregio essenziale di quella commedia all'italiana che ha fatto grande il nostro cinema tra fine anni '50 e'70. Una pellicola addirittura sorprendente perché Virzì, pur di seguire l'ispirazione, non ha esitato a cambiare genere e a misurarsi con i canoni classici del thriller." (Maurizio Turrioni, 'Famiglia Cristiana', 12 gennaio 2014)