Germania, anni '40. Bruno è un tranquillo bambino di otto anni che vive con la sua famiglia a Berlino. Quando suo padre, un ufficiale nazista molto apprezzato dai superiori, viene promosso con un nuovo incarico, Bruno, con suo grande disappunto, è costretto a trasferirsi con la famiglia in una desolata zona di campagna. Giunto nella nuova casa, il cambiamento per Bruno si rivela ancor più difficile del previsto. Solo e senza amici, ignorato anche dalla sorella Gretel, più interessata alla compagnia del giovane tenente Kotler, Bruno è sempre più triste e annoiato. Un giorno, spinto dalla curiosità e ignorando le indicazioni della madre che gli proibisce di esplorare il giardino dietro casa, Bruno si avvicina al recinto di filo spinato che divide la sua abitazione da una strana fattoria i cui residenti indossano un pigiama a righe. Lo stesso pigiama a righe che indossa Pavel, il cuoco di casa, che sembra essere l'unica persona in casa a prendersi cura di lui. Bruno entra così in contatto con Shmuel, un bambino che vive nella fattoria, con cui inizia ad incontrarsi frequentemente, in gran segreto. L'amicizia con Shmuel e una serie di avvenimenti e cambiamenti che matureranno nella sua casa, in sua sorella e nel rapporto tra i suoi genitori, porteranno Bruno verso la perdita dell'innocenza e a una maggiore consapevolezza del mondo degli adulti con drammatiche conseguenze.
SCHEDA FILM
Regia: Mark Herman
Attori: Asa Butterfield - Bruno, Jack Scanlon - Shmuel, Amber Beattie - Gretel, David Thewlis - Padre, Vera Farmiga - Madre, Richard Johnson - Nonno, Sheila Hancock - Nonna, Rupert Friend - Tenente Kotler, David Hayman - Pavel, Jim Norton - Herr Liszt, Cara Horgan - Maria
Soggetto: John Boyne - romanzo
Sceneggiatura: Mark Herman
Fotografia: Benoît Delhomme
Musiche: James Horner
Montaggio: Michael Ellis
Scenografia: Martin Childs
Arredamento: Gábor Nagy
Costumi: Natalie Ward
Effetti: Michael Bruce Ellis
Durata: 100
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Tratto da: romanzo omonimo di John Boyne (ed. BUR, 2008)
Produzione: HEYDAY FILMS, MIRAMAX FILMS, BBC FILMS
Distribuzione: WALT DISNEY STUDIOS MOTION PICTURES, ITALIA
Data uscita: 2008-12-19
NOTE
- MARK HERMAN FIGURA ANCHE COME PRODUTTORE ESECUTIVO.
CRITICA
"Papà non è un orribile mostro, non è vero? È un brav'uomo. Però comanda un posto orribile". Il dubbio che assale il piccolo Bruno, otto anni, figlio di un ufficiale nazista inviato a comandare un campo di sterminio, è il filo conduttore del film Il bambino con il pigiama a righe, dal 19 dicembre nelle sale italiane. È il dubbio del non detto, del sottinteso, di una realtà in cui ciò che è mendacemente taciuto viene visto di riflesso attraverso lo sguardo di un'innocenza che si scopre tradita. Ma quello diretto da Mark Herman, che lo ha tratto dall'omonimo romanzo di John Boyne, è soprattutto un film sull'amicizia: quella che lega Bruno a un suo coetaneo, Shmuel, che si trova dall'altra parte del filo spinato, segnato dal destino terribile del suo popolo, ma anch'egli in parte ignaro degli eventi che lo coinvolgono. (...) Detto questo, nel film - prodotto dalla Miramax e distribuito dalla Disney - ci sono diverse incongruenze, sia dal punto di vista della ricostruzione storica - che possono essere valutate come irrilevanti visto l'intento non documentaristico - sia, e soprattutto, nella natura dei personaggi. (...) Ciononostante, il film ci mostra un punto di vista inconsueto - non quello di una vittima della Shoah ma di un bambino tedesco - e centra in qualche modo il bersaglio: riuscire a dare il senso del conflitto interiore del piccolo Bruno, vittima anch'egli, sia pure in modo diverso, stretto tra quell'amicizia e i comportamenti imposti dalla famiglia ("Noi non dovremmo essere amici, tu e io. Lo sapevi?", dice a un certo punto a Shmuel). Con tutti i limiti della sceneggiatura, la vicenda può essere letta come il paradigma di quella "banalità del male" definito da Hannah Arendt, secondo il quale anche persone comuni possono venire sopraffatte dalla barbarie in nome di un'obbedienza cieca a un'autorità che non viene mai posta in discussione. La sospensione del giudizio morale, ovvero l'assenza di consapevolezza della gravità della colpa, è la disarmante dimostrazione di quella mediocrità intellettuale a essa sottesa che rende anche uomini normali, cioè né sadici né perversi, capaci di azioni mostruose. Cinematograficamente non siamo certo ai livelli narrativi e poetici di "La vita è bella" di Roberto Benigni, ma non mancano punti di contatto. Nel film vincitore dell'Oscar s'impone lo sforzo di un padre per difendere il figlio dal vortice di orrore nel quale sono stati precipitati. Lì la menzogna è il meccanismo di difesa scelto per preservare l'innocenza di una ignara vittima. In "Il bambino con il pigiama a righe" è il modo usato dagli adulti per difendere prima di tutto se stessi dal senso di colpa." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 17 dicembre 2008)
"Benché il film sia articolato in un progressivo emergere in 'campo' (visivo) di realtà che la famiglia vuole celargli, l'ingenuità e l'innocenza di Bruno non appaiono mai eccessive e assurde: e il regista-sceneggiatore Mark Herman ha l'accortezza di non pigiare sul pedale del patetico davanti a situazioni così intrinsecamente tragiche. I personaggi adulti risultano un po' schematici: più quelli maschili, tutti fanaticamente nazi, che i 'caratteri' femminili (la nonna antinazista e la madre, che prima accetta poi capisce la vera entità dello sterminio). Gli 'sguardi' più importanti sono il suo e, assai più, quello di Bruno. Il che tende a produrre identificazione nello spettatore minorenne: in un film che non è affatto da sconsigliare ai bambini, ma la cui visione dovrebbe essere introdotta e accompagnata dall'adeguato commento di un adulto." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 19 dicembre 2008)
"Dopo più di 60 anni dal più grande e sistematico genocidio compiuto nell'età moderna, con sistemi industriali ed economia di scala, è difficile dire qualcosa di nuovo sull'Olocausto. Lo avevamo notato con 'Il falsario', bel noir ambientato in un campo di concentramento, e in fondo ce lo aveva insegnato già Primo Levi con 'Se questo è un uomo': per entrare nelle menti e nella pancia delle persone serve una storia, meglio se di genere, pur raccontando vicende vere e accadute. E così Mark Herman ha raccolto la lezione di questo rinnovamento, di fatto attuatosi con il 'Train de vie' di Radu Milheanu a cui seguì 'La vita è bella' di Benigni, e ha portato sullo schermo il lager come non l'avevamo mai visto. Ad altezza di bambino (...) Lo stile, visivo e narrativo, è quello della fiaba d'infanzia d'avventura, la ricerca del piccolo antieroe del mistero da esplorare e risolvere e tutto è vissuto tra la sua innocenza e la colpa che macchia gli adulti, dal padre militare alla madre più ignava che ignara (una splendida e bravissima Vera Farmiga). Delicatezza e sensibilità lo rendono visibile a tutti e non indulgono, però, a una catarsi consolatoria. Con l'onestà intellettuale che solo Walt Disney aveva (chi di noi ancora non piange per la mamma di Bambi?) questa favola nera tira le fila della Storia e delle storie, lasciando solo con la rabbia e l'impotenza lo spettatore, di fronte all'ultima immagine dell'ultima sequenza. Provate a rialzarvi o a parlare dopo i titoli di coda. Semplicemente, non ce la farete. Da far vedere ai vostri figli, ogni Natale. Per non dimenticare." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 19 dicembre 2008)
"Mai ricattatorio e mai banale, il film al massimo è leggermente inverosimile quando esagera negli incontri tra Bruno e Schmuel al filo spinato. Strano che nessuna sentinella se ne accorga. A parte ciò, la prova del piccolo Asa Butterfield e della grande Vera Farmiga sono indimenticabili. Come la tragedia che leggiamo nei loro occhi.". (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 19 dicembre 2008)