Polonia, 1962. La 18enne Anna, un orfana cresciuta in convento, ha deciso di farsi suora. Tuttavia, poco prima di prendere i voti, scopre di avere una zia ancora in vita, Wanda, la sorella di sua madre. Insieme a lei la ragazza affronterà un viaggio alla scoperta di se stessa e del proprio passato: scopre, infatti, di avere origine ebraiche e che il suo vero nome è Ida; inoltre, sua zia è un ex pubblico ministero comunista, responsabile di numerose condanne a morte nei confronti di religiosi. Mentre Anna va alla ricerca della verità sulla sua famiglia, Wanda deve confrontarsi con le decisioni prese ai tempi della guerra e che ancora la perseguitano.
SCHEDA FILM
Regia: Pawel Pawlikowski
Attori: Agata Kulesza - Wanda Gruz, Agata Trzebuchowska - Suor Anna/Ida Lebenstein, Dawid Ogrodnik - Lis, Jerzy Trela - Szymon Skiba, Adam Szyszkowski - Feliks Skiba, Halina Skoczynska - Madre Superiora, Joanna Kulig - Cantante, Dorota Kuduk - Kaska, Natalia Lagiewczyk - Bronia, Afrodyta Weselak - Marysia, Mariusz Jakus - Barman, Izabela Dabrowska - Cameriera, Artur Janusiak - Poliziotto, Anna Grzeszczak - Vicina, Jan Wociech Poradowski - Padre Erew, Konstanty Szwemberg - Funzionario, Pawel Burczyk - Pubblico Ministero, Artur Majewski - Amante di Wanda, Krzysztof Brzezinski - Pianista, Piotr Sadul - Bassista, Lukasz Jerzykowski - Chitarrista, Artur Mostowy - Battrista
Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz
Fotografia: Lukasz Zal, Ryszard Lenczewski
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Montaggio: Jaroslaw Kaminski
Scenografia: Katarzyna Sobanska, Marcel Slawinski
Costumi: Aleksandra Staszko
Altri titoli:
Ida - Formerly Sister of Mercy
Durata: 80
Colore: B/N
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: DCP (1:1.37)
Produzione: OPUS FILM, PHOENIX FILM INVESTMENTS
Distribuzione: PARTHÉNOS (2014)
Data uscita: 2014-03-13
TRAILER
NOTE
- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2014 COME MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA.
- CANDIDATO AL GOLDEN GLOBE 2015 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
- OSCAR 2015 COME MIGLIOR FILM STRANIERO. ERA CANDIDATO ANCHE PER LA MIGLIOR FOTOGRAFIA.
CRITICA
"Con un salto stilistico radicale rispetto alla macchina mobilissima e allo stile volutamente sporco dei suoi film precedenti, Pawlikowski (con l'operatore Lukasz Zal, sotto la supervisione del direttore della fotografia Ryszard Lenczewski) in quadra le sue due protagoniste dentro a immagini di una bellezza classica, perfettamente equilibrate nell'insolito formato «quadrato» che si usava negli anni Quaranta (1:1.33), elegante ma anche freddo e glaciale nella compostezza di un bianco e nero che usa tutti i possibili toni del grigio. E soprattutto di un rigore formale che sembra solo di facciata e dà l'impressione di essere sempre sul punto di sgretolarsi. A far precipitare quella specie di impalcatura esteriore sarà proprio Wanda, che decide di accompagnare Anna/Ida nella cittadina dove viveva durante l'ultima guerra: lei scelse di combattere contro i nazisti, i genitori di Ida rimasero nascosti per via delle loro origini ebraiche (si chiamavano Lebenstein) andando però incontro alla morte. Come? E' quello che Wanda sa ma che vuole far conoscere anche alla nipote. (...) Pian piano, emerge così il quadro di un Paese dilaniato tra cattolicesimo e marxismo, dove l'antisemitismo aveva giocato un ruolo non secondario nei rapporti di forza e che svela davanti agli occhi inconsapevoli di Ida le «colpe» e le «ragioni» di ognuno. Nel 1962 del film non si era ancora verificata in Polonia quell'ondata di antisemitismo guidata dai vertici del partito comunista che avrebbe sconvolto il Paese e Pawlikowski non vuole attribuire colpe a nessuno. Ma a volte i silenzi sono molto più eloquenti, come quelli che accompagnano la scena della dissepoltura nella foresta dei resti dei genitori di Ida e la successiva sepoltura in un cimitero ebraico chiuso e abbandonato. A incarnare un po' di speranza in un mondo troppo «grigio» arriva l'incontro con un musicista (Dawid Ogrodnik), che fa conoscere a Ida la bellezza del jazz (e la diffusione della musica pop italiana nella Polonia di allora, a cominciare da Celentano e «Ventiquattromila baci») ma quello che potrebbe essere un lampo di vitalità finisce per trasformarsi in una ulteriore prova per la novizia, quella della tentazione della carne a cui dovrebbe rinunciare con i voti e che l'esperienza le mette davanti per la prima volta. Alla fine le strade delle due donne torneranno drammaticamente a separarsi, sotto il peso delle proprie storie personali, e nell'ultima scena anche la macchina da presa abbandona la fissità mantenuta fino ad allora per «adeguarsi» al movimento più concitato del cambiamento (almeno per gli occhi di Ida) ma nello spettatore resterà il ricordo di un viaggio dentro le ferite della Storia, in compagnia di due donne che non si dimenticheranno presto." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 10 marzo 2014)
"Due donne che si conoscono appena partono per un viaggio che finirà per avvicinarle mettendole al tempo stesso di fronte a una rivelazione terribile. A raccontarlo così il bellissimo 'Ida', terzo film di un grande talento polacco cresciuto fra Germania, Italia e Inghilterra, potrebbe essere un noir anni 40, uno di quei gialli senza soluzione in cui le colpe e i sospetti tornano dal passato per addensarsi in un bianco e nero sfavillante e funesto. Ma 'Ida' non è un noir, è una storia ambientata nella Polonia del 1962, scandita da inquadrature sorprendenti e inventive. E i fantasmi che perseguitano le protagoniste, una giovane che sta per prendere i voti e la zia che non sapeva di avere, non vengono dalla loro psiche. Vengono da un passato recente ma in gran parte ignoto che quelle due donne così diverse affronteranno insieme. Con reazioni molto diverse, esplorate in tutta la loro profondità dal sensibilissimo bianco e nero di Pawlikowski. (...) Così Wanda, con tutta la sua vita addosso, e Ida, con l'innocenza dei suoi occhi mobilissimi, partono per far luce su quel passato. Imbarcandosi in una ricerca tormentosa. Ma anche percorsa da lampi di luce (un giovane sassofonista jazz, l'apparizione improvvisa del piacere, il miraggio di un'altra vita scandito anche dalle note di Buscaglione e Celentano) che rendono ancora più denso ed emozionante questo doppio viaggio iniziatico. Capace di calare dentro al tribunale affollato della Storia il teatro invisibile e inesorabile dell'anima." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 13 marzo 2014)
"Sarebbe bello che questo film, 'Ida', riuscisse a valicare i limiti di un pubblico ristrettissimo da festival (ha partecipato all'ultima edizione di quello torinese). Emana un profumo molto vintage da 'nuovo cinema' dell'est europeo a cavallo tra anni 50 e 60 (i primi Polanski e Skolimowski, o un possibile sviluppo del meraviglioso 'Cenere e diamanti' di Wajda), ma senza fare del proprio look un feticcio. (...) Teso, potente, intenso." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 13 marzo 2014)
"Straordinariamente fotografato con un rigorosissimo, elegante, austero bianco e nero che fa pensare a maestri del calibro di Robert Bresson e Ingmar Bergman, poetico e privo di qualunque retorica, sostenuto da una solidissima regia impreziosita dagli intensissimi primi piani della protagonista (la bellissima, magnetica Agata Trzebuchowska alla sua prima prova sul grande schermo), 'Ida', il film del polacco Pawel Pawlikowski distribuito nelle nostre sale da Parthénos, è una di quelle opere che pochissimo concedono allo spettatore. Eppure l'intimo dramma di Ida sullo sfondo di un paese scosso dalle turbolenze della propria storia, le contraddizioni che è chiamata a superare, la forza di perdonare l'imperdonabile e una coraggiosa scelta da affrontare hanno conquistato il pubblico e la giuria di numerosi festival internazionali, tra cui Londra, Varsavia, Toronto e Torino dimostrando come il buon cinema, quello fatto di idee forti seppure difficili, arrivi facilmente al pubblico non sempre anestetizzato da proposte banali e omologate dal mercato." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 13 marzo 2014)
"La fotografia è giocata sul magnifico bianco e nero dei primi lavori di Polanski, e del resto siamo nel 1962, anno di uscita di 'Il coltello nell'acqua'. Eppure questo è un film che nessuno nella Polonia di allora avrebbe potuto girare. (...) Anna apprende di essere ebrea e chiamarsi Ida, i ricordi costringono Wanda a riaprire ferite mai rimarginate. Insieme, zia e nipote intraprendono un viaggio in un traumatico passato che è al contempo un viaggio nel grigio presente di una società sovietizzata e infiltrata di perduranti pregiudizi religiosi, dove solo le note di Mozart o di un sassofono jazz riescono a far risuonare un palpito di vita. Di impeccabile bellezza formale, forte nei temi e vibrante (eccellenti le interpreti) nel doppio ritratto femminile, Ida conferma il sicuro talento di Pawel Pawlikowski, cineasta segnalatosi nel 2004 con 'My Summer of Love', di cui siamo certi torneremo a parlare." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 13 marzo 2014)
"Trattasi di un film polacco, in bianco e nero, in formato quadrato 1:1.33, ambientato nel 1962 dove si racconta di una novizia in cerca del suo passato. Paura? Tempo fa, neanche tanto, non ne avremmo avuta. Eppure in molti pensano che oggi non c'è più spazio in sala per questo tipo di cinema, che anche il pubblico più raffinato e sofisticato, nascosto chissà dove, non accoglierebbe più questo tipo di esperienza. Noi crediamo che questi «molti» si sbaglino, e pensiamo anche di non essere proprio una minoranza. 'Ida', appunto, rompe questa legge, dimostrando una volta di più che il cinema, anche se in bianco e nero, anche se polacco, anche se con un formato anni Quaranta, può volare sopra tutto e arrivare al cuore dello spettatore. Il suo regista Pawel Pawlikowski è polacco, appunto, ma di formazione eclettica, essendo partito a 14 anni per la Germania, poi per l'Italia e infine in Inghilterra dove ha studiato e ha mosso i suoi primi passi nel cinema e nella televisione. Suo è 'My Summer of Love', e niente lasciava intendere la possibilità del rigore dimostrato con 'Ida'. Ma la materia trattata richiedeva una macchina fissa, una composizione accurata, un controllo assoluto della messa in scena non fine a se stessa, ma funzionale a una narrazione dolorosa. (...) La Polonia del 1962, nel bianco e nero di Pawlikoski, è struggente e capace di rendere il senso di una modernità congelata, potenziale, ancora attraversata da un pizzico di trattenuta follia, come nei primi film di Polanski, a cui necessariamente si pensa, fors'anche per pigrizia cinefila." (Dario Zonta, 'L'Unità', 13 marzo 2014)
"Primo film girato in patria del talentuoso polacco ma residente inglese Pawlikowski, 'Ida' è un vero gioiello. Film sulla ricerca dell'identità individuale e collettiva, offre un'idea di cinema che oggi raramente si incontra e che a suo modo rievoca Dreyer, Tarkovski e il primo Polanski. Non c'è retorica nel retrocedere la Storia attraverso una memoria che indubbiamente è ancora dolorosa. Composto di inquadrature perfette in un b/n senza tempo, dialoghi ridotti all'essenza a definire una narrazione di puro cinema, e di un accompagnamento musicale di classe, 'Ida' è un film sorprendente, importante e dunque imperdibile. Pluripremiato nel mondo." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 13 marzo 2014)
"Chi mai andrà a vedere un film polacco, in bianco e nero, ambientato nel 1962, che parla di una novizia e di sua zia? Uno spettatore (masochista) su mille, probabilmente. Peccato, perché è un melò asciutto e struggente, anche se certo indigesto ai divoratori di popcorn. Molto brave le due protagoniste, di cui è impossibile tenere a mente il cognome, come del resto quello del regista. Basterà ricordarne il nome di battesimo: rispettivamente Agata (tutte e due) e Pawel." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 13 marzo 2014)
"I film 'difficili' si dividono in due categorie: quelli coerenti e necessari e quelli astrusi e mistificatori. 'Ida' del polacco operante in Inghilterra Pawlikowski, che appartiene tassativamente alla prima, va difeso dalla scure del mercato e recuperato, con la predisposizione giusta, da più spettatori possibili perché il suo austero bianco e nero non è inquinato da retorica, la sua scabra ambientazione trasmette un'intensità pressoché fisica e la sua ricostruzione di certe anse dimenticate o occultate della Storia non concede scappatoie né prevede consolazioni. (...) La regia, che in più di un tratto stilistico rievoca il cinema raffinato e morboso dei giovani Polanski e Skolimovski o dell'implacabile Kieslowski del 'Decalogo', tratta le figure come sentimenti, sceglie le angolature di ripresa pregnanti anziché quelle 'belle', profonde una musica maestosa peraltro misurata sui silenzi e non abusa mai dell'afflato mistico bensì lo fa sgorgare direttamente dallo sguardo delle sue attrici sconvolgenti. Il cui pathos di pura eloquenza - quella che non ha bisogno di essere abbellita o declamata - schiva l'esercizio compiaciuto delle metafore d'autore per potere affermare sullo schermo e nella memoria del pubblico un senso della trascendenza ben più audace e assoluto di quello imposto dalle ambigue religioni riparate sotto l'egida cattolica, ebrea, nazista o comunista." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 20 marzo 2014)