Un gruppo di operai di una grande falegnameria del Sud sciopera a difesa di un collega che sta morendo in seguito a un incidente sul lavoro. Al termine deallo sciopero l'azienda li pone di fronte ad un bivio: ritirare la denuncia penale oppure sottoporsi ad un nuovo lavoro "pulito" con tutti i diritti e il rispetto delle regole. Poiché nessuno di loro ritira la sua testimonianza, vengono tutti confinati in una palazzina dove sono costretti ad oziare in stanze vuote per tutto l'orario di lavoro.
SCHEDA FILM
Regia: Michele Bia
Soggetto: Michele Bia
Sceneggiatura: Michele Bia
Durata: 28
Colore: C
Genere: CORTOMETRAGGIO
Tratto da: un caso di mobbing accaduto all'Ilva di Taranto nel 1998
Produzione: COOPERATIVA QUESTACITTA' (GRAVINA DI PUGLIA - BARI)
NOTE
- GLI ATTORI SONO TUTTI NON PROFESSIONISTI
CRITICA
Dalle note di regia: "Quando la cooperativa Questacittà, una dinamica organizzazione dislocata in tre centri pugliesi, Andria, Gravina e Spinazzola, che si occupa di disabili psichici mi ha proposto di girare un cortometraggio con i propri utenti (una cinquantina appunto) mi è tornata subito alla mente questa storia di mobbing all'Ilva. (...) L'idea curiosa, poi, era che una categoria disagiata potesse rappresentare e difendere attraverso il cinema un'altra categoria disagiata. In termini più grotteschi: "i pazzi" difendono i lavoratori, quei lavoratori dell'Ilva che hanno rischiato seri problemi psicologici all'interno della palazzina a furia di oziare. Allora è nato un ponte tra il lavoro e la disabilità, ma anche tra il lavoro e il cinema e tra il cinema e la disabilità."
"Perché mai la gente va a cinema anziché altrove? Perché per alcuni il cinema non basta mai? Perché alcune scene tornano improvvise alla memoria e ci sembra di riviverle nella nostra vita quotidiana? Forse, la potenza del cinema trasforma, temporaneamente, il nostro stato di coscienza in una veglia sognante, al di fuori della cosiddetta realtà quotidiana che viviamo ogni giorno. Questa emozione ha dominato tutti noi, nei giorni di lavorazione del film. Amplificata dallo starci dentro, dal vivere realisticamente una realtà virtuale, con l'impegno di doverla rendere appetibile per il pubblico davanti allo schermo. Questo non è il cinema per la psichiatria, non è la rappresentazione artistica della malattia e dei nostri sintomi. E' una fetta della nostra salute e della nostra capacità, ancora attiva, di proiettare, per esempio su questi personaggi, le nostre parti buone. Proiettare questo film sullo schermo è come lanciare il nostro cuore oltre l'ostacolo. Affinché noi, lavoratori, usciamo dal cinema e rientriamo in una vita intera e non più dimezzata dalla sofferenza." (Fabrizio Cramarossa, psichiatra, www.ormag.it)