La pastorella Astrea ed il pastore Céladon si amano di un amore innocente e puro e si sono promessi eterna fedeltà. Tuttavia, un malvagio pretendente di Astrea le fa credere che Céladon l'abbia tradita e lei, delusa e arrabbiata, intima all'innamorato di non farsi più rivedere. Disperato, il ragazzo si getta da una rupe per togliersi la vita ma viene salvato da alcune ninfe che decidono di tenerlo con loro a patto che non riveda più Astrea. Céladon, deciso a riconquistare l'amore e la fiducia della donna amata, per riuscire nell'impresa, sarà costretto a superare sotto mentite spoglie una serie di prove.
SCHEDA FILM
Regia: Éric Rohmer
Attori: Andy Gillet - Céladon, Stéphanie Crayencour - Astrea, Cécile Cassel - Léonide, Véronique Reymond - Galathée, Rosette - Sylvie, Jocelyn Quivrin - Lycidas, Mathilde Mosnier - Phillis, Rodolphe Pauly - Hylas, Serge Renko - Adamas, Arthur Dupont - Semyre, Priscilla Galland - Amynthe
Soggetto: Honoré d'Urfé
Sceneggiatura: Éric Rohmer
Fotografia: Diane Baratier
Musiche: Jean-Louis Valéro
Montaggio: Mary Stephen
Scenografia: Jérôme Pouvaret, Marie Dos Santos
Costumi: Pierre-Jean Larroque
Durata: 109
Colore: C
Genere: DRAMMATICO ROMANTICO
Tratto da: romanzo "L'Astrée" (1607) di Honoré d'Urfé
Produzione: COMPAGNIE ERIC ROHMER (CER), RÉZO PRODUCTIONS, BIM DISTRIBUZIONE, ALTA PRODUCCIÓN S.L., COFINOVA 3, COFINOVA 2, CINÉMAGE, SOFICINÉMA 2, CANAL+, CNC, EURIMAGES
Distribuzione: BIM
NOTE
- PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 64. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2007).
CRITICA
Dalle note di regia: "Se ho deciso di realizzare l'adattamento de 'L'Astrée', scritto da Honoré d'Urfé, è stato, ovviamente, perchè vi ho trovato numerosi motivi presenti nei miei film precedenti. Ad esempio, il motivo centrale della fedeltà, un tema piuttosto costante in 'Ma nuit chez Maude (La mia notte con Maud)', 'Conte d'Hiver (Racconto d'inverno)', 'La collectioneuse (La collezionista)' e 'Les nuits de la pleine lune (Le notti della luna piena)'. Il mio unico pezzo teatrale, 'Le Trio en mi bémol (Trio in mi bemolle), è costruito su un genere di suspense simile a quello de 'L'Astrée'. Vediamo un personaggio puntare i piedi, in modo folle come quello di Celadon, e rifiutarsi di pronunciare l'unica parola con cui evocherebbe la frase che tanto desidera sentire dalla sua amata. Questa frase deve venire da lei soltanto. Io mi considero tuttora un regista hitchcockiano. Ma cos'è Hitchcock, se non un creatore di forme? Io non pretendo di creare forme alla sua maniera. Però mi rendo conto che nei miei film sono sempre presenti motivi geometrici, motivi che ricorrono anche nell'opera di Honoré d'Urfé. Nel film ho tentato di attenermi all'onnipresenza del cerchio nella radura, della spirale nel labirinto e del triangolo nella capanna. Non è un fatto intenzionale: se lo fosse, sarebbe artificiale e del tutto privo d'interesse. Ma questo film, come tutti i miei film precedenti, è organizzato attorno a queste enormi figure geometriche, con l'intervento decisivo del caso. La capanna, ad esempio, è stata progettata e costruita in tutto e per tutto dal mio art director. Ma durante il montaggio sono rimasto piacevolmente sorpreso a scoprire che 'faceva rima' con il fazzoletto messo sopra agli occhi di Astrea mentre dorme nella scena precedente. Mi sono anche accorto della presenza in tutta 'L'Astrée' di un movimento di attrazione-repulsione: un motivo costante nell'opera di Fritz Lang, un altro creatore di forme. Quindi non mi dispiacerebbe se si dicesse che questo film è la mia Tomba indiana!"
"Eric Rohmer, dopo le sottili ricerche psicologiche di 'Triple agent' e la ricostruzione d'epoca così ben risolta ne 'La nobildonna e il duca', ha ripreso quel testo con lo stesso spirito con cui ci aveva raccontato il Medio Evo di 'Perceval', ma si è divertito a svolgere di fronte ai nostri occhi una favola persa nella notte dei tempi mostrandocela, però, come avevano dovuto vederla i suoi lettori regnante Luigi XIII, con i modi, i costumi e le cornici di quegli anni che, in Francia, avevano visto i Borboni succedere ai Valois. (...) Con immagini splendenti, tese a proporsi in composte geometrie, con quella natura intorno - foreste e fiumi - cui la presa diretta del suono introduce spesso, tra i protagonisti, il vento, gli uccelli, la voce delle acque. Mentre, in mezzo, gli attori poco noti (ai due protagonisti danno volto Andy Gillet e Stéphanie Crayencour) scandiscono, come su un palcoscenico, dei dialoghi ingioiellati da un francese d'alta scuola, in cui la letteratura e il quotidiano sanno fondersi in modo quasi coinvolgente. Un film tutto fascino, perciò, degno di un autore fra i più grandi del cinema d'oltralpe." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 2 settembre 2007)
"Il 37mo film dell' 87enne doppio Leone Eric Rohmer, assente giustificato dall'età e dalla ben nota ritrosia alla volgarità del mondo, entra nella foresta con le sue mille meraviglie, addì V secolo, tempo di sacerdoti druidi. (...) Detto così è da evitare: meglio suicidarsi da piccoli con il cavaturaccioli, alla Paolo Rossi. Invece, rugiadosa sorpresa: su un romanzo pastorale di 5000 pagine ferocemente anacronistiche, Rohmer va alla ricerca di amore & fedeltà nella Gallia dei Druidi, come fece in 'Perceval' con un ritmo di attualità sentimentale travestito in rima libera. Trova fra i boschi, severo coi giovani attori che lasciava nell'acqua a sottozero, quell' eterna modernità del sentire, un gioco di pastorelli ed amorini. Un'eleganza che ha il suo marchio e in cui ci si dimentica di rime e druidi, ninfe e castellane. Nell'incantevole paesaggio nell'Auvergne, tra canzoncine amorose meno orecchiabili di 'Volare', che hanno fatto fuggire la platea dei critici, 'Les amours d'Astrée et de Céladon' prende un ritmo che attrae e diventa poetico, tipico scontro rohmeriano ragazzo-ragazza. L'autore, disinteressato ai battibecchi omologati di oggi, attualizza dolcezze arcadiche di foglie morte: 'Storia tra due pastori separati: l'amore resiste e trionfa, anche oggi'. (...) Il maestro gira col lusso della semplicità. Taglia e cuce un antico linguaggio attualizzandolo in una eternità di affanni, in un francese purissimo che rimbalza tra rocce e boschi della foresta. Così il film, superate le prime asperità, diventa un Rohmer sur l'herbe con i dubbi, i dilemmi, i problemi sentimentali, le eterne sorprese d'amore anche en travesti. Una delizia." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 2 settembre 2007)
"Rohmer ha spesso amato l'adattamento di testi letterari e le dislocazioni nel Tempo ('Perceval', 'La marchesa von...', 'La nobildonna e il duca'): la civetteria e la grazia elegante di questo film, dove persino il vento diventa protagonista, sono incantevoli." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 2 settembre 2007)