Nonostante sia affetta dalla sindrome di Williams, Gabrielle è una ragazza piena di una contagiosa gioia di vivere e con uno straordinario dono per la musica. Gabrielle canta in un coro ed è qui che ha incontrato Martin, il suo ragazzo. Tuttavia, a causa della differenza tra loro, le rispettive famiglie non consentono ai due innamorati di vivere liberamente questo amore. Determinata a vivere con Martin una storia d'amore che non ha nulla di ordinario, però, Gabrielle farà di tutto per dimostrare di poter essere autonoma e indipendente, affrontando non solo i pregiudizi ma i suoi stessi limiti.
SCHEDA FILM
Regia: Louise Archambault
Attori: Gabrielle Marion-Rivard - Gabrielle, Alexandre Landry - Martin, Mélissa Désormeaux-Poulin - Sophie, Vincent-Guillaume Otis - Rémi, Benoît Gouin - Laurent, Sébastien Ricard - Raphaël, Isabelle Vincent - Madre di Gabrielle, Marie Gignac - Madre di Martin, Véronique Beaudet - Inserviente del centro ricreativo, Robert Charlebois, Gregory Charles
Sceneggiatura: Louise Archambault
Fotografia: Mathieu Laverdière
Musiche: François Lafontaine
Montaggio: Richard Comeau
Scenografia: Emmanuel Fréchette
Costumi: Sophie Lefebvre
Durata: 104
Colore: C
Genere: DRAMMATICO MUSICALE ROMANTICO
Specifiche tecniche: DCP
Produzione: MICRO-SCOPE
Distribuzione: OFFICINE UBU
Data uscita: 2014-06-12
TRAILER
NOTE
- TRA GLI INTERPRETI: GLI STUDENTI DELL'ÉCOLE LES MUSES E LA GANG À RAMBROU.
- PRESENTATO AL 66. FESTIVAL DI LOCARNO (2013) NELLA SEZIONE 'PIAZZA GRANDE', HA OTTENUTO IL PREMIO DEL PUBBLICO UBS.
- DISPONIBILE ON DEMAND SU AMAZON PRIME (2020).
CRITICA
"Trent'anni fa Meryl Streep e Robert De Niro, fecero insieme un film dal titolo efficace quanto sintetico: 'Innamorarsi'. In 'Gabrielle - Un amore fuori dal coro', della canadese Louise Archambault, accade qualcosa di simile ma al posto dei due famosi divi ci sono due giovani sconosciuti che parlano lo strambo francese del Québéc, Gabrielle (Gabrielle-Marion Rivard) e Martin (Alexandre Landry). Anche Gabrielle e Martin infatti si incontrano ogni giorno, non sul treno ma nel coro in cui cantano (meravigliosamente) insieme. Anche Gabrielle e Martin si studiano, si desiderano, e approfittano senza pudore di ogni occasione per sfiorarsi, toccarsi, stare insieme: anche se ognuno di loro, come De Niro e la Streep, ha famiglia. Solo che Gabrielle la sera torna da sua sorella, Martin dalla madre. E il coro in cui cantano (esiste davvero, si chiama Les Muses) è un centro di arti dello spettacolo riservato a persone affette da ritardo mentale. Qui dunque cominciano i loro guai, perché per due persone così è difficile essere autonome e vivere l'amore fino in fondo. Ma cominciano in certo modo anche i nostri. Nessuno infatti si sente a disagio osservando i fremiti e le emozioni che si dipingono sul volto di due grandi e notissimi attori, ma con Gabrielle le cose cambiano. Chi 'sono' veramente quei due personaggi, dove finisce la finzione, dove inizia la realtà? Un attore che soffre di un deficit può interpretare se stesso o stiamo approfittando di lui? Domande doverose. Anche se Tv e web hanno sdoganato il peggior voyeurismo, al cinema vogliamo ancora sapere cosa stiamo guardando. Ma interrogandosi sulla natura di ciò che maneggia, come tanti prima di lei, la Archambault ridiscute tutti i nostri pregiudizi sui 'diversi' (e cambia radicalmente il modo di fare cinema, un po' come fece Cantet con 'La classe'). Basta infatti sovrapporre a Gabrielle e Martin un altro amore difficile, quello che lega la sorella di Gabrielle, Sophie, al suo fidanzato in India, che non raggiunge perché deve e vuole occuparsi di Gabrielle, per far affiorare una trama più complessa. Che oltre al sacrosanto diritto all'amore dei personaggi investe il nostro diritto-dovere di rappresentare il loro mondo, senza ipocrisie. Ma con tutto lo stupore e l'emozione di cui sono capaci. Qui infatti sta il punto: Gabrielle e Martin sono due artisti. Il coro Les Muses si esibisce davvero in pubblico (chi soffre della sindrome di Williams è predisposto al talento musicale oltre a possedere spesso una grande intelligenza emotiva). La Archambault insomma non fa pietismo, al contrario. Attraverso protagonisti e comprimari dà vita a una storia d'amore travolgente anche perché passa attraverso il più potente veicolo di emozioni che esista, la musica (indimenticabile la visita del famoso cantautore Charlebois ai ragazzi del coro, e felicissima la scelta delle canzoni). Controprova: uno dei due protagonisti soffre davvero della sindrome di Williams, l'altro no. Ma alla fine, cosa importa?" (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 12 giugno 2014)
"Premiato dal pubblico a Locarno, questo mélo di Louise Archambault, dal Canada, racconta come è difficile volersi bene in regime di disagio psichico. (...) Il film partecipa di un tema trattato dal cinema con discrezione, mostrando la vera Gabrielle Marion-Rivard che vive in prima persona il suo dramma." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 12 giugno 2014)
"(...) Ancora un film che viaggia sul labile spartiacque tra documentario e fiction, con una coppia da conoscere: Gabrielle Marion-Rivard, che interpreta in qualche modo se stessa donando al film una rara naturalezza, e Alexandre Landry, attore di professione che indossa con sensibilità il ruolo dell'handicappato. Premiata in vari festival, questa produzione targata Québec contiene una valenza didascalica non invadente, ma forte: i protagonisti sono proteste viventi contro l'esclusione e il pregiudizio; la musica condivisa può fare molto per le persone tecnicamente svantaggiate. Senza contare che questo Romeo e questa Giulietta 'diversi' ci ripagano di tanti fighi e pupe perfette circolanti per le commedie sentimentali di cui son pieni i teleschermi." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 12 giugno 2014)
"Ritardo mentale associato a un temperamento socievole e a un sicuro talento musicale: queste le caratteriste della sindrome di Williams da cui è affetta Gabrielle (Marion-Rivard), straordinaria protagonista presa dalla realtà del film di Louise Archambault. (...) Una piccola commedia romantica alternativa, oppure un documentario giocato su una sottile trama di fiction? Proprio da questa ambiguità (e anche da un eccesso di buonismo) deriva la principale debolezza del film. Ma è felice il modo schietto con cui la Archambault affronta temi a rischio, incluso quello della sessualità fra disabili; la Marion-Rivard possiede una comunicativa contagiosa e l'attore di teatro Alexandre Landry è un Martin di incredibile autenticità." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa' 12 giugno 2014)
"Ennesima variante di Giulietta e Romeo, con gli adulti che si impicciano di questioni che dovrebbero esulare dalla loro sfera. Louise Archambault è regista canadese e spiega di avere avuto voglia di raccontare questa storia dopo avere visto un servizio su una casa famiglia dove vivevano ragazzi «voluti da dio». Poi facendo ricerca è approdata a Les Muses un centro di formazione artistica che prepara ai diversi ambiti dello spettacolo, quindi balletto, recitazione, canto rivolgendosi a giovani portatori di handicap, che possono essere fisici o mentali. L'intento è quello di fornire loro strumenti per diventare professionisti senza nascondere i loro limiti. E lì Louise conosce Gabrielle Marion-Rivard, un'autentica forza della natura (...), realmente affetta da sindrome di Williams, capace di trasmettere nella vicenda di finzione raccontata nel film tutta l'autenticità della sua condizione. Una sensibilità musicale notevole che si esprime nel coro di Les Muses de Montréal cantando la canzone più nota del cantautore canadese Robert Charlebois, che partecipa al progetto. E nel testo si dice: «Se canto è perché mi si possa sentire/ quando grido è per difendermi/ mi piacerebbe tanto farmi comprendere», praticamente un manifesto programmatico. Affrontando una tematica di questo tipo ci si espone a un'infinità di rischi. Il primo è quello del buonismo retorico che presto scivola nel mélo. La regista cerca di evitare tutti i trappoloni disseminati lungo il percorso, sostanzialmente ci riesce, portando lo spettatore a provare un'empatia quasi contagiosa nei confronti di Gabrielle e della sua caparbietà nel voler coronare un sogno al quale sente di avere diritto. Un tema complicato, ricco di risvolti problematici complessi e scivolosi, quello del sesso o meglio dei rapporti sessuali tra persone che a qualche titolo non sono perfettamente allineate con la normalità (...). Qui però non ci si limita a questo aspetto, in gioco entrano famiglia e società, senza mai perdere di vista le persone, gli individui. Perché l'idea non è tanto quella di fare un film su una comunità singolare ma di realizzarlo insieme alle persone che la compongono, allievi di Les Muses in testa. Poi ci sarà chi dice che questa storia è zuccherosa, che c'è stato bisogno di reclutare attori anche al di fuori di quell'ambito, come Alexandre Landry, ma ci piacerebbe credere che l'entusiasmo vitale di Gabrielle non sia frutto di una sindrome singolare, ma derivi da un'esperienza che l'ha divertita, appassionata, portata in giro per il mondo e forse anche fatta innamorare, offrendo contemporaneamente a noi un 'ottima interpretazione." (Antonello Catacchio, 'Il Manifesto', 12 giugno 2014)
"Coraggioso dramma canadese, mediamente ruffiano e meno piagnucoloso del temuto. (...) Qualche sbadiglio è comunque lecito, fra melodiose canzoni, litigi in famiglia e la contagiosa voglia di vivere della brava, anche se poco attraente, protagonista." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 12 giugno 2014)
"Innamoramento, passione, separazione e ricongiunzione di due ragazzi del coro, Gabrielle e Martin, ventenni con deficit cerebrale che aumenta emozioni e reazioni. Ma appena al di sotto di quanto serve, c'è quel che serve: l'amore. Gabrielle nei panni di se stessa, magnifico interprete al limite dell'handicap Alexandre Landry per Martin, entrambi guidai a un difficile equilibrio tra istinti e ragione, diventano un reagente di desiderio e solidarietà in un sistema che vorrebbe tenerli separati (la madre di lui). (...) un finale di gloria un po' farcito, è più convincente l'analisi 'clinica' dei punti di vista, a partire dalla sorella di Gabrielle, nel solito dissidio di colpa e salvezza dei sani." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino - Giorno', 13 giugno 2014)