"(...) Il film ricostruisce la vicenda, realmente accaduta in Cile nel 1960, di José Carmen Valenzuela Torres, soprannominato "Lo sciacallo di Nahueltoro" per i suoi crimini. Il film, dopo un rievocazione dell'infanzia di José, ricorda l'incontro dell'uomo con Rosa, una vedova con cinque figli, che gli dà da mangiare e successivamente decide di ospitarlo, divenendone l'amante. José beve e spesso picchia la donna. Ed un giorno che ha bevuto molto e vuole sottrarle la misera pensione la picchia più del solito e poi, perso il controllo, la uccide. Quindi elimina uno per uno i cinque bambini (al giudice che gli domanderà perché, risponderà: "Perché non soffrissero, poveretti") e scappa. Catturato, processato e condannato a morte, José stando in carcere in attesa dell'esecuzione, entra per la prima volta in contatto con la vita civile: abiti puliti, un lavoro, dei compagni, dei giochi. Gli si apre un orizzonte nuovo e fino ad allora per lui completamente sconosciuto. Quando il plotone di esecuzione punta i fucili su di lui, è un altro José che sta per essere giustiziato. Il vagabondo di prima era forse morto ammazzando Rosa ed i suoi bimbi. L'uomo "nuovo", entrato da poco in contatto con la vita civile non sa perché ha ucciso e neppure perché lo uccidono (...)" (di Lino Miccichè).
SCHEDA FILM
Regia: Miguel Littin
Attori: Nelson Villagra - José, Shenda Román - Rosa, Hector Noguera - Cappellano, Luis Alarcón - Giudice, Marcello Romo - Reporter, Rubén Stocolin - Caporale Campos, Luis Melo - Sindaco, Pedro Villagra, Rafael Benavente, Roberto Navarrete
Soggetto: Miguel Littin
Sceneggiatura: Miguel Littin
Fotografia: Héctor Ríos
Musiche: Sergio Ortega
Montaggio: Piedro Chaskel
Scenografia: Luis Cornejo
Altri titoli:
Lo sciacallo di Nahueltoro
Jackal of Nahueltoro
Der Schakal von Nahueltoro
Durata: 93
Colore: B/N
Genere: DRAMMATICO SOCIALE
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: CINE EXPERIMENTAL DE LA UNIVERSIDAD DE CHILE, CINE TERCER MUNDO
Distribuzione: ARCI UISP (1975)
CRITICA
"Da tale materia Littin cava un dolorosissimo poemetto che, lungi dal concedersi corrivi pietismi, muove con asciutto vigore alla denuncia di strutture sociali nel cui quadro la giustizia è irrimediabilmente di classe, commini o no condanne capitali. Ciò, attraverso una struttura narrativa tesa e vigorosa, che usa del flashback con magistrale agilità, lasciando la morale scaturire dai fatti stessi, esposti con un'asciuttezza cui non è estranea la lezione del nostro vecchio neorealismo. Un film, in complesso, girato in stato di grazia. E in stato di grazia anche il protagonista Nelson Villagra, di tal bravura da parere, anziché un attore professionista, un primitivo preso dalla vita: doppiare lui, e anche , gli altri, sarebbe stato letale all'autenticità espressiva dell'opera. Bianco e nero, dei più suggestivi e drammatici." (Guglielmo Biraghi, 'Il Messaggero', 1978)